di Dario Chillemi

 

Nove ritratti, nove cartoline di città molto diverse tra loro per storia, localizzazione, processi urbani. Johannesburg, Ulan Bator, San Paolo, Bucarest, Giaffa, Napoli, Mumbai e Caracas, questi sono i luoghi al centro dell’analisi interdisciplinare che coinvolge geografi, economisti, sociologi, studiosi urbani e architetti, curata da Paola Piscitelli per l’Osservatorio sulla città e le trasformazioni urbane della Fondazione G. Feltrinelli. Il libro è il risultato delle giornate di incontri e dibattiti tenuti alla fondazione nel maggio 2019 nell’ambito della rassegna About a city 2019. Rethinking cities.

Il testo si apre nella prefazione con una citazione tratta da “Le città invisibili” di Italo Calvino, le cui parole sono utilizzate dagli autori per chiarire, fin dalla prima pagina, quali sono le idee che hanno orientato questo lavoro: indagare diseguaglianze e criticità che, attraverso forme eterogenee, si manifestano negli “inferni urbani” delle città contemporanee e provare ad individuare gli spazi per un ripensamento critico di queste ultime. Il titolo scelto non è casuale: proprio come un Atlante, il volume può essere sfogliato non seguendo esclusivamente il tradizionale ordine di lettura dall’inizio alla fine, ma si presta ad essere percorso liberamente, passando da un capitolo all’altro e permettendo al lettore di seguire le proprie prospettive e mappe mentali. Questo non perché manchi un filo conduttore, anzi, ma per la possibilità di individuare all’interno del testo diverse direttrici di osservazione e di movimento: lungo una mappa geografica, che tocca quelle aree a lungo lasciate in secondo piano dalle analisi basate sui modelli urbani occidentali; o in profondità all’interno dei processi urbani, chiaramente peculiari a seconda del contesto ma quasi sempre accomunati da quelle dinamiche prodotte dal capitalismo contemporaneo (crescita, speculazione, esclusione, segregazione). Ogni approfondimento poi incorpora anche una breve lettura storica dei luoghi, che così evita una mera fotografia statica della realtà, ma permette di inquadrare, per quanto possibile vista la brevità dei contributi, i processi descritti in un più ampio contesto temporale.

Gli autori provano a tessere dei fili tra città molto diverse tra loro, con un approccio critico evidentemente (e dichiaratamente) ispirato dai comparative studies, che esprime la necessità di superare una analisi dei processi urbani misurata in termini di distanza/lontananza rispetto alle traiettorie di sviluppo tipiche delle città occidentali. Le tappe di questo “viaggio planetario”, parafrasando il titolo, sono luoghi che potremmo definire periferici rispetto al centro globale, ma non per questo esclusi dai meccanismi della globalizzazione. Nell’epoca della urbanizzazione massiccia e delle iper-metropoli, guardare a questi luoghi permette di (ri)conoscere i diversi modi di essere città, le sfide che la modernità pone ai milioni di persone che confluiscono in queste megalopoli, ma anche le strategie di risposta e resistenza create e ricreate quotidianamente.

Il focus sulle città è intervallato da tre brevi saggi che aiutano a ricucire i diversi racconti e che sembrano scandire i tempi di questo viaggio. Si tratta di interventi che inquadrano alcune grandi questioni/dicotomie urbane (mobilità/immobilità; sicurezza/insicurezza; vulnerabilità/relazione) e che provano ad elaborare delle risposte ai quesiti che queste pongono. A fronte di una sempre maggiore mobilità di flussi, capitali e merci, resa possibile in particolare dallo sviluppo tecnologico e digitale, permangono nelle aree urbane segmenti sociali esclusi dai processi di valorizzazione e globalizzazione: “il contrasto tra crescente mobilità delle popolazioni, delle imprese e dei capitali e immobilità, finitezza dello spazio del suo ambiente e delle sue istituzioni, ha messo in crisi il tradizionale rapporto tra spazio e società”. Alessandro Balducci interpreta questa relazione come un elemento sicuramente di destabilizzazione delle forme tradizionali della civitas, ma allo stesso tempo di apertura verso nuove possibilità per le relazioni e la gestione della governance urbana (Alessandro Balducci, Mobilità/immobilità: Come si accede alla città?). La città moderna è luogo di incontro/scontro tra attori e interessi eterogenei, ma anche laboratorio di convivenza e sopravvivenza. Proprio per tali motivi è attraversata di continuo da tensioni e conflitti a più livelli, che contribuiscono ad alimentare il sentimento di insicurezza, accompagnato in molti casi da un desiderio di maggiore controllo: “la contraddizione che ci sta esplodendo tra le mani riguarda il fatto che le maggiori possibilità effettivamente disponibili [nelle città] non sono sufficienti a sostenere la libertà – e soprattutto la soggettività che la incarna – a causa della domanda di controllo che si sviluppa collateralmente a tale crescita.” È possibile sfuggire alla necessità di una limitazione delle libertà per assecondare il desiderio di sicurezza degli abitanti delle metropoli? Attorno a questo interrogativo riflette Mauro Magatti nel contributo “Sicurezza/insicurezza: come si resiste alla città?”. La sua osservazione non si limita ai meccanismi di gestione della sicurezza o di risposta alle paure della popolazione, ma offre lo spunto per ragionare sulla relazione tra libertà individuali e bisogno collettivi, sulle tensioni tra la difesa del privato e la sfiducia nel pubblico, tra la spinta alla mescolanza e la diffidenza verso lo sconosciuto. Solo rifiutando l’ossessione per la sicurezza e il controllo, ricostruendo sistemi di cura e ripensando il concetto di “comune”, inteso come bene relazionale riferito ad una comunità, è possibile secondo Magatti riallacciare lo sfilacciato ed impaurito tessuto sociale e resistere alla città. La ricostruzione di uno spazio relazionale “comune”, uno spazio di co-esistenza che accolga il crescente numero di abitanti non abitanti, cittadini a cui viene negato anche violentemente il diritto alla città, è l’orizzonte verso il quale si muove anche il contributo di Nicola Capone dal titolo “Vulnerabilità/relazione: come si cura la città”.

A chiusura, il libro è arricchito dell’inserto fotografico a cura di Filippo Romano. Una serie di scatti che restituiscono in maniera evidente alcuni dei tratti urbani descritti nel testo. Non una semplice didascalia della narrazione, ma un ulteriore contributo, che arricchisce ed amplia le tappe del viaggio “aprendo un gioco di rimandi geografici, visivi e lessicali, moltiplicati”.