di Dario Chillemi

 

Nell’immaginario comune, in gran parte dei resoconti dei media o nelle scene delle fiction televisive, il racconto delle periferie è perlopiù dominato da una serie di stereotipi o semplificazioni: nel migliore dei casi sono dipinte come quartieri dormitorio, luoghi in cui non c’è niente di significativo. Oppure quello che c’è o succede qui è associato al disagio, alla illegalità, alle attività criminali. Francesco Erbani, cronista, a lungo nella redazione de La Repubblica, si mette in marcia da nord a sud del paese e realizza un reportage, un resoconto di un viaggio nei quartieri di alcune delle principali città italiane che vivono una condizione periferica. Dove ricomincia la città è un racconto, a metà strada tra un reportage giornalistico e un saggio. Da buon cronista, l’autore osserva, descrive, intervista attori e testimoni privilegiati, con l’obiettivo dichiarato nelle prime righe del libro, di mettere insieme “storie che ribaltano quegli stereotipi che avvolgono le periferie italiane” (pag. 5) e “tracciare una mappa di resistenza cui le politiche pubbliche […] possono e forse debbono riferirsi” (pag. 13).

Il viaggio fa tappa a Corviale, Laurentino 38 e Tor Bella Monaca a Roma, San Berillo a Catania Marghera a Venezia, Barriera di Milano a Torino e Scampia a Napoli. Erbani non si ferma al racconto dei problemi di questi quartieri, ma va alla ricerca di esperienza, progetti e protagonisti che animano questi luoghi difficili, che provano a costruire, se non un paese diverso come suggerisce il sottotitolo, almeno delle periferie migliori. Si tratta di un universo molto variegato che va da realtà autogestite o centri sociali, come il Rivolta che anima le battaglie per la bonifica delle aree ex industriali di Marghera; ai volontari che hanno trasformato un edificio abbandonato nel progetto Cubolibro, che è molto di più di una biblioteca nel cuore di Tor Bella Monaca; dalle associazioni che si sono messe in rete con le prostitute che esercitano a San Berillo per difendere il quartiere dalla speculazione che mette alla porta gli abitanti storici; fino al fitto tessuto associativo di Scampia, che con ostinazione lavora per ribaltare l’immagine di un quartiere totalmente in mano alla malavita. Di fronte allo stereotipo che descrive la periferia come un luogo immobile, dove non accade nulla di realmente positivo, il libro risponde con il racconto di quartieri in movimento, pieni di contraddizioni ma anche di iniziative culturali, lotte sociali, senso di comunità e voglia di riscatto.

L’autore parte dalla storia dei luoghi, dalle idee dietro i progetti, spesso utopici, realizzati nella seconda metà del secolo scorso. Dai dialoghi con architetti, urbanisti, ma anche con ex sindaci e assessori comunali, emerge con forza quella che viene considerata una delle principali cause che nel tempo ha determinato le attuali condizioni di degrado che avvolgono molte delle moderne periferie italiane: lo slancio, a volte anche utopico, di piani e progetti architettonici che avrebbero dovuto rispondere alla domanda abitativa dei ceti popolari, si è scontrato troppo spesso con la fame di profitto dei palazzinari, con gli ostacoli burocratici e con il clientelismo politico. Una dinamica descritta chiaramente nei paragrafi dedicati alla periferia di Roma, alla quale Erbani dedica lo spazio maggiore nel libro.

L’autore arricchisce il suo lavoro di cronista attingendo nozioni da diversi ambiti: urbanismo, architettura, sociologia, storia. Dati, ma anche riflessioni che contribuiscono ad ampliare la cornice teorica di quest’opera. Oltre a raccontarla, Erbani riflette anche sul concetto di periferia e sui processi che la attraversano, dimostrando di saper utilizzare categorie e chiavi di lettura tipiche della geografia urbana. Fin dalle prime pagine, infatti, vi è il tentativo di orientarsi attorno alla concettualizzazione della categoria di periferia e di rispondere ad alcuni interrogativi enunciati in apertura: che cosa è oggi una periferia? Dove la si incontra? I luoghi e le storie che l’autore sceglie di raccontare sembrando rispondere indirettamente a questi quesiti. Nel resoconto dei processi di trasformazione di questi quartieri emerge il carattere non definitivo ma mutevole dei luoghi: c’è una periferia fatta di diverse periferie, come a Roma, dove convivono la periferia storica, le borgate, le periferie abusive. Qui è difficile declinare questa categoria al singolare per descrivere territori diversi per storia, morfologia e composizione sociale. San Berillo e Barriera di Milano stanno a ricordare come periferia non sia solo un concetto spaziale, non sono solo quei quartieri lontani dal centro, ma che luoghi che vivono fenomeni di disagio ed esclusione sopravvivono anche nei pressi o al centro delle città moderne. Periferia atipica è anche quella di Marghera, un luogo che nella seconda metà del secolo scorso assume una centralità di rango europeo in termini produttivo-economici.

L’indicazione, almeno ideale, che rimane al termine della lettura di Dove ricomincia la città appare abbastanza chiara: lasciato alle spalle il biennio di limitazioni e inazione imposto dal Covid, le istituzioni locali e nazionali hanno di nuovo la possibilità, e il dovere, di occuparsi delle periferie. E questo libro prova ad indicare alcune possibili direzioni da intraprendere.