Di Giulia Vincenti

 

Il Mito della Civiltà occidentale. L’Occidente come categoria ideologia e mito politico edito dalla  Nova Publishers di NYC, è l’ultimo studio del professor Enrico Ferri, docente di Filosofia del Diritto e Storia dei Paesi Islamici presso l’Università Niccolò Cusano di Roma.

La tematica centrale del volume si snoda attraverso un articolato percorso, tra filosofia, critica storica, studi geografici e antropologici, ma pure analisi filosofica, politica e religiosa di fenomeni come l’ellenismo, il cristianesimo e la democrazia moderna. Dal testo emergono due principali direttrici di indagine, differenti ma strettamente interrelate: da una parte la nozione di “civiltà occidentale” viene problematizzata al fine di evidenziare come lungi da essere un dato storico assodato, questa sia in realtà una costruzione ideologica che riassume una varietà di istanze e significati e che risulta più complessa della semplice corrispondenza Occidente/Euro-America e Occidente/capitalismo-liberal-democrazia. Allo stesso tempo si evidenzia come la narrazione che cerca di ricostruire i vari momenti della cosiddetta Civiltà Occidentale, per un verso si identifichi con la storia del dominio e del potere in Europa, cioè con il primato dell’Europa, almeno sul piano politico, economico e militare, come per un altro verso il quadro della storia dell’Europa sia estremamente sfaccettato e difficilmente riconducibile solo allo sviluppo della civiltà greco-romana e di quella cristiano-democratica, elementi con i quali spesso si identifica il percorso storico del cosiddetto Occidente.

L’idea di un Occidente che si identifica come spazio culturale ed insieme geografico, nasce come l’dea di una realtà che si definisce nel contrato con un’altra realtà la cui diversità geografica è indice di diversità sul piano culturale e politico. Erodoto (V secolo a.C.) ha, infatti, trasmesso attraverso il racconto delle guerre persiane l’idea di un’opposizione binaria tra compagine greca e compagine persiana intesa estensivamente come antinomia tra Europa e Asia: «I Persiani considerano come cosa loro l’Asia ed i popoli che la abitano; e ritengono l’Europa ed il mondo greco un paese a parte». L’origine dell’inimicizia tra i Greci e i Barbari viene fatto risalire da Erodoto al mito, nelle prime pagine delle sue Storie ricorda il rapimento della greca Io da parte di fenici a causa del quale i greci rispondo con il ratto di Europa, figlia del re di Tiro. In seguito è la parte greca che replica all’offesa con il rapimento di Medea a cui Paride risponde con quello di Elena: i Greci portano allora la guerra in Asia e rovesciano il regno di Priamo. Si rintraccia dunque nel mito e nella storiografia che va dalla guerra di Troia alle guerre persiane, fino all’età di Alessandro Magno, il definirsi della stessa configurazione di un’Europa/Occidente contrapposta all’Asia/Oriente in un filo rosso che nello svolgersi dei secoli fornirà elementi di costruzione identitaria-politica- geografica europea in una dialettica binaria che si identifica con quella di libertà/schiavitù; democrazia/autocrazia; uguaglianza/gerarchia e via dicendo.

Su queste coordinate muove un lavoro che si dispiega su una linea temporale piuttosto estesa, dalla guerra di Troia come seme del mito occidentale all’attuale configurazione del concetto di democrazia moderna, e in uno spazio geografico che si estende dall’Europa al vicino Oriente.

Lo studio offre un percorso critico, supportato da una ricca bibliografia di fonti antiche e moderne, sulle accezioni, sulle configurazioni e ri-configurazioni di una nozione che dalla lettura geografica a quella storica e politica presenta elementi di complessità tali da metterne in discussione le stesse basi.

Le tesi principali del volume possono così riassumersi: La nozione moderna di Occidente si identifica sul piano storico con quella di Europa, come realtà geografica e categoria ideale contrapposta ad Oriente; l’idea di Europa ed Asia come realtà geograficamente e ideologicamente distinte nasce con le guerre persiane, che secondo la storiografia greca a loro volta esprimono un’ostilità ben più antica fra i due mondi, confermata tanto sul piano del mito che della storia, come accade con la guerra di Troia, dove mito e storia si combinano. Già queste antiche ricostruzioni , per l’Autore dello studio, sono caratterizzate in senso ideologico, perché in conflitti come la guerra di Troia e le Guerre persiane, non si scontrano solo Grecia/Europa ed Asia/Persia. Tali conflitti furono pure delle stasis conflitti interni al mondo ellenico, come l’autore mostra chiaramente, in riferimento ad esempio al fenomeno dei medizzanti, cioè di quei Greci che si schierarono apertamente dalla parte dei Persiani. Sempre in riferimento al mondo antico, l’Autore evidenzia come sia improprio parlare di un’antichità greco-romana, poiché accanto alle consonanze ci furono anche delle evidenti differenziazioni, a partire dal fatto che i Romani vollero distinguersi dai Greci scegliendo come antenato Enea, un principe di una città, Troia, ritenuta la regina dell’Asia. Allo stesso tempo l’Autore ritiene da decenni superata dalla ricerca l’idea di un mondo greco nettamente distinto da quello orientale, da quello che i Greci stessi identificavano con l’Oriente, cioè il Medio Oriente. Una realtà come quella degli Ioni dell’Anatolia e delle isole ad essa prossime, che diede contributi essenziali all’Ellenikon, alla grecità, tra l’altro con personaggi come Talete, Ippocrate, lo stesso Erodoto, è una realtà tanto europea quanto asiatica. Allo stesso modo nello studio si sostiene con un’ampia documentazione che il vero centro vitale dell’Europa antica, il Mediterraneo, non fu solo un mare  europeo/occidentale/greco, ma una realtà dove culture come quella egiziana e fenicia prima, cartaginese poi contribuirono in modo determinate in modo determinante allo sviluppo della civiltà antica in ambiti come la navigazione, l’esplorazione, la geografia, le scienze, l’arte. La stessa nozione di classicità, sostiene il prof. Ferri, può essere fuorviante, se posta alla base della cultura occidentale, almeno per due motivi principali. Innanzitutto perché con tale formula si ricomprendono realtà fra loro poco compatibili o addirittura in conflitto, come mondo greco e mondo cristiano, in seconda istanza perché se con classicità intendiamo ciò che al mondo antico dà valore e lo contraddistingue, sarebbe del tutto arbitrario escludere da questo contesto popoli e culture come quella caldea, persiana, babilonese, fenicia, egiziana, ecc. Un capitolo del libro è anche dedicato alla ruolo avuto dal mondo e dalla ricerca arabo/musulmana nella conservazione del patrimonio classico, non meramente occidentale, e nella nascita della scienza moderna.

Nel libro si contesta quello che per molti è considerato un pilastro della Civiltà occidentale, il connubio romanità-cristianesimo, in nome della presunta classicità, per un verso, e del recepimento-continuazione della civiltà romana nel cristianesimo. Per l’Autore il cristianesimo non rappresentò un elemento di continuità, ma di frattura nei confronti del mondo greco-cristiano. Allo stesso tempo in The Myth of Western Civilization si esclude, come fa ad esempio Samuel Huntington, che il cristianesimo possa essere considerato come l’identità premoderna dell’Occidente che poi si sarebbe identificato con la democrazia. Il principio del cristianesimo, consistente nel primato della volontà di Dio, che si esprime nella rivelazione e, almeno nel cattolicesimo, nella dottrina della Chiesa e nel suo magistero, sono incompatibili con il primato della volontà popolare che caratterizza la democrazia, primato ritenuto assoluto e non rinviante ad entità ed autorità metafisiche.

Le ricostruzioni ideologiche di una presunta storia ed identità dell’Occidente, prendendo capitoli della storia europea ed assemblandoli insieme in modo forzoso, ha creato presunte identità europee, presunte Civiltà Occidentali assai composite. Si è messo insieme cristianesimo e illuminismo, mondo classico e liberal-democrazia, cattolicesimo e capitalismo e via dicendo, costruendo quello che l’Autore definisce un Occidente Arlecchino, o Frankestein , cioè un’identità artificiale tenuta insieme solo dall’ideologia.

Una considerazione finale va fatta sull’impianto di geo-politica presente nel libro. La nozione di Occidente, apparentemente geografica, in realtà è politica, ma nello stesso tempo, con qualche forzatura mantiene connotazioni geografiche in quanto i nemici storici dell’Europa/Occidente vengono prevalentemente individuati nel contesto asiatico-orientale e sono di volta in volta i Fenici, i Cartaginesi, i Persiani, i Musulmani e via dicendo, senza disdegnare il Comunismo “asiatico” o la Sublime Porta, anticristiana ed antieuropea. Nel libro si ricorda pure, un assunto che ritroviamo in Strabone, che può essere definito non solo il padre della geografia, ma pure della geografia politica, poiché lui stesso ricorda nella sua opera monumentale come la geografia “Sia in rapporto alla vita politica e all’attività di governo, come pure in relazione alla conoscenza dei fenomeni celesti e agli esseri viventi in terra e in mare”. Ci si riferisce al principio che la geografia è “lo spazio delle azioni umane” cioè “all’esercizio del potere” e che anche la stessa nozione di Occidente è nozione politica. Pertanto, sostiene l’Autore che vicinanze e distanze sono misurate non con il metro dell’ideologia, per cui i più prossimi non sono i più vicini, ma quelli a noi culturalmente ed ideologicamente più adeguati. In base a questo criterio i Fenici, i Signori dell’Occidente, sono stati considerati orientali, mentre i Giapponesi assimilati agli Occidentali. The Myth of Western Civilization rimette in discussione molti luoghi comuni della storiografia tradizionale, evidenziando il carattere ideologico di molte ricostruzioni della storia e della cultura europee.