di Filippo Bencardino – già Professore ordinario di Geografia economico-politica – Università degli studi del Sannio – Benevento.

  1. I movimenti di popolazione come costruttori di civiltà

Sono trascorsi molti  secoli, forse  millenni, duecentomila anni, da quando comparvero   nell’Africa nord-occidentale, sulle alture  dell’odierna Somalia, un uomo e una donna che si chiamavano l’uno Filosofia, l’altra   Geografia. Era un luogo bellissimo, ricco di fiori e di frutti , dove si poteva vivere felici senza lavorare. Un Eden, un vero Paradiso terrestre.

Filosofia era riflessivo, si poneva tante domande a cui cercava di trovare una risposta. Geografia era più inquieta, molto curiosa, testarda, decisionista e allergica al rispetto delle regole.

Infatti, Geografia convinse Filosofia a mangiare  una mela, il frutto proibito  raccolto dall’albero della conoscenza, del bene e del male. Così  disobbedendo al Signore,   entrambi vennero puniti con la cacciata dall’Eden, diventando mortali. E così fu anche per i loro discendenti.

Da quel momento bisognò cercarsi da mangiare per sopravvive, procurandosi il necessario con il proprio lavoro e spostandosi nei luoghi dove il cibo era più abbondante.

E’ l’eterno dilemma tra fede e ragione. Per i  Cattolici  Dio è il creatore del Cielo e della Terra  e il suo figlio  Gesù è venuto duemila anni fa sulla Terra per redimere gli uomini e le  donne, per liberarci da peccato originale. L’universo, quindi, sarebbe  frutto della creazione di quel Dio che  ha creato anche l’uomo e la donna.

Ma la Scienza ci dice qualcosa di diverso.

Sulla base della ricerca scientifica,  in particolare  delle datazioni effettuate con il metodo del  radiocarbonio, possiamo datare la formazione della Terra a 4,5 miliardi di anni fa.

Lo studio  della storia geologica della Terra, inoltre,  ci consente di  affermare che nei territori del nordovest del Canada una roccia granitica è stata fatta risalire a 4 miliardi di anni fa. Si confermerebbe così la data di formazione del pianeta Terra.

Relativamente al popolamento,  recenti documentazioni  basate sul ritrovamenti di fossili, fanno risalire  i primi  rappresentanti del genere Homini  a circa 4,5 milioni di anni fa. L’Homo erectus, antenato dell’Homo sapiens,  comparve 1,5 milioni di ani fa,  mentre tra 150 mila e 200 mila anni fa comparve  l’Homo sapiens     nell’Africa nord-orientale, sulle colline dell’Etiopia, occupando una  fascia di territorio che si estendeva  dall’odierna Etiopia, al Kenya, fino al Mozambico.

Circa 80 mila anni fa apparve l’Homo sapiens, che cominciò a spostarsi da questi territori per colonizzare nel corso dei secoli successivi  l’intero Pianeta. E’ l’inizio del fenomeno migratorio, che investe ancora oggi il nostro mondo. Un fenomeno inarrestabile che ha consentito di creare nuove civiltà e che ha segnato la storia dell’Umanità.

Le migrazioni sono dunque sempre esistite, con intensità e motivazioni diverse, a volte in forma pacifica,  spesso con guerre, per conquistare territori già occupati da altri popoli. Le motivazioni possono essere diverse, oggi come ieri,   per cercare nuove  risorse in seguito all’aumento della popolazione o a causa di carestie, siccità, di eventi catastrofici, di  persecuzioni dovute a  regimi oppressivi e non democratici, per  discriminazioni razziali o religiose o a causa di eventi naturali  come  i   cambiamenti climatici, alluvioni,  movimenti tellurici che modificano la struttura della superficie terrestre, ma anche per cercare  un ambiente dove poter  vivere meglio, in particolare in una fase di crisi economica.

L’ambiente fisico ha  sovente  condizionato l’evoluzione  della specie, che si è sempre adattata ai grandi cambiamenti. Ma circa 12 mila anni fa terminò l’ultima era glaciale e l’evoluzione fisica della specie umana cominciò a diventare prevalentemente evoluzione culturale, con  le migrazioni che hanno  dato un significativo contributo alla evoluzione cultuale della specie umana..

Cominciarono così   a formarsi comunità più ampie e stanziali grazie alla scoperta della prima rivoluzione agraria, che ha consentito  di coltivare la terra non soltanto per le esigenze del gruppo ma anche per soddisfare con il baratto altre esigenze, scambiando i prodotti  con altri gruppi umani. Ciò ha consento all’uomo di potersi dedicare ad altre attività,  favorendo così la diversificazione   del lavoro, e quindi la nascita di villaggi prima e di città dopo. Nei luoghi dove si  scambiavano i diversi prodotti  sorsero i primi mercati, frequentati da popoli di estrazioni culturali diverse e   le relazioni esperienziali  cominciarono a essere  più ampie e intense, capaci anche  di modificare  culture e comportamenti consolidati, dando vita ad altre culture. Ed è così che comparvero le prime civiltà  e successivamente anche i primi imperi.

I popoli primitivi sapevano leggere bene il territorio e avevano anche l‘accortezza di rappresentarlo, prima sulle pareti delle loro caverne, poi su tavolette di pietra, argilla e altri materiali e si spostavano inizialmente seguendo i corsi d’acqua, alla ricerca di terre coltivabili e di maggiore resa.

Le prime migrazioni di massa iniziarono quando l’Homo erectus ha cominciato a “uscire” dall’Africa, 1,8-1,3 milioni di anni fa, dando inizio alla “colonizzazione” della Terra.

Bisognerà attendere il IV millennio a.C. perché si possa parlare di inizio delle prime civiltà, con la fine della fase di caccia e raccolta del cibo e l’inizio delle prime forme di agricoltura stanziale.

E’ nel Neolitico, risalente a circa 10 mila anni fa,  che l’Homo erectus diventa stanziale e comincia a praticare l’agricoltura e l’allevamento dando inizio a una economia di produzione basata sull’autoconsumo.

Ma è con l’Antichità, cioè con il IV millennio a.C. che inizia la formazione delle prime Civiltà, caratterizzate dall’agricoltura commerciale e dalla nascita dei mercati, delle città e della scrittura, la diversificazione del lavoro e la formazione delle classi sociali.

E’ anche l’inizio delle grandi migrazioni, dell’ascesa e del declino delle civiltà e degli imperi, ma anche delle grandi trasformazioni territoriali, economiche e sociali, delle guerre per la conquista dei territori e dei processi di sviluppo.

Le popolazioni  iniziarono a spostarsi  dalle aree più interne e disagiate, alla ricerca di terreni irrigui, in particolare lungo i corsi d’acqua.

Non è un caso che la prima “culla” della civiltà” è considerata la Mesopotamia, il territorio compreso tra i fiumi Tigri ed Eufrate, nel Vicino Oriente, tra l’attuale Siria e la Palestina.

Furono i Sumeri i primi popoli  a raggiungere la Mesopotamia, provenienti dall’altopiano iranico, formando una importante civiltà, ma molti popoli diedero vita ad  altre civiltà  nella cosiddetta “Mezzaluna fertile”, Accadi, Babilonesi,  Assiti, Ittiti, Hurriti e Cassiti, anche se le civiltà più importanti furono quelle dei Sumeri, degli Assiri, degli Ittiti e dei Babilonesi.

Qui, ad opera dei Sumeri, fu inventata la prima forma di  scrittura, a caratteri cuneiformi, incisi sull’argilla. Qui fu disegnata  la prima carta geografica, la Mappa Mundi babilonese.  Inoltre i popoli della Mesopotamia inventarono nuove tecniche irrigue, la ruota, il carro a due ruote,  e  fecero progredire discipline come la matematica  e l’agrimensura  e qui sorsero anche  le prime città, Eridu e UruK, dove vennero costruiti gradi templi.

Furono i babilonesi a  produrre per primi una raccolta di   leggi scritte, il Codice di Hammurabi

Erano popoli che avevano una organizzazione sociale basata sulla cooperazione e, in particolare tra i Sumeri, un senso di rispetto verso la donna, che godeva degli stessi diritti dell’uomo, anche se erano in conflitto tra di loro per la conquista dell’egemonia territoriale.

Ma nell’Antichità  alite Civiltà fiorirono in maniera autonoma, lungo la valle dell’Indo e del Nilo, in Anatolia, nella valle del fiume Giallo, nel sud-est asiatico, nella Cambogia, dove sorse l’Impero Khmer, che estese il suo dominio su parte della Thailandia, del Laos e del  Vietnam.

Altre culle della civiltà si svilupparono nell’America centrale e nelle Ande, con la civiltà  Olmeca (1500-200 a.C. e  le  quelle degli Aztechi, dei Toltechi, dei Maya,  dei Muisca, dei Vicus,  e degli Inca, cancellate dalla colonizzazione europea.

Fino all’avvento dell’età moderna le culle delle civiltà furono il Mediterraneo, l’Europa e l’Asia.

Queste civiltà si scontrarono fra di loro per il predominio territoriale ma non distrussero le civiltà precedenti e  utilizzarono  le  conoscenze acquisite, che le integrarono nelle loro, così formando   nuove conoscenze e nuove civiltà.

Tra il XII e X secolo a.C. altre ondate migratorie interessarono il Vicino Oriente Antico, che sconvolsero il precedente assetto politico-sociale, diventando i   protagoniste dell’ascesa di altre civiltà. Furono le cosiddette e non meglio definite  Genti di Mare,  che si sostituirono alle civiltà mesopotamiche, alla Minoica e alla Micenea, ma non  alla civiltà Egizia, che durò circa 4000 anni dal 3900 a.C.  al 332 a.C., quando finirono le dinastie  faraoniche che governarono l’Egitto dal 3200 a.C. al 332 a.C., anno in cui  presero il potere i persiani e  le dinastie Tolemaiche, queste di cultura ellenistica, che governarono l’Egitto dal 303 a.C. al 30 a. c.. anno della morte di Cleopatra e la conquista romana dell’Egitto.

Prima della conquista romana, nel Vicino Oriente  altri imperi si formarono, quello

di Alessandro Magno, che durò dal  336 al 332 a.C., cioè fino alla morte di Alessandro, che voleva creare un grande impero multietnico e multiculturale, impresa che  invece riuscì a  Ciro il Grande che creò un grande impero, l’Achemenide (o persiano), che comprendeva oltre all’Egitto, la Mesopotamia, la  Siria,  la Palestina, un impero multietnico in cui le diverse popolazioni convivevano pacificamente, conservando le proprie identità culturali  e la loro libertà.

L’impero Egizio fu quello che ha lasciato all’Umanità una cultura evoluta e molte nuove conoscenze.- E’ una cultura che trae origine dalla presenza del fiume Nilo che scorre in una vasta area desertica, le cui piene inondano un vasto territorio, rendendolo fertile.

La civiltà egizia ebbe  inizio nel 3900 a. C., quando l’insediamento sparso cominciò ad aggregarsi in villaggi raggruppati in due entità politico-amministrative governati da due re, il Basso e l’Alto Nilo.

I cittadini capirono che le due regioni avevano problemi e interessi comuni e decisero di unificare i due regni  in un unico Regno Ciò avvenne nel 3100 a.C. e ha in quella data ha avuto inizio  anche in l’Egitto dei faraoni. Un esempio di intelligenza politica che oggi manca ai nostri governanti.

Cosa ci ha lasciato   la Civiltà egizia?

Molte conoscenze tecniche e scientifiche, innanzitutto tecniche idrauliche per l’irrigazione  dei campi, l’agrimensura e la rappresentazione del territorio da suddividere nuovamente  tra i contadini dopo le piene, progressi nella geometria, nell’aritmetica, nella topografia, nell’astronomia, con il calendario solare  basato su 365 giorni, nuove conoscenze nell’ingegneria navale  e nelle costruzioni, con i templi di Luzor e le    piramidi, che hanno ispirato gli architetti nella costruzione della Piramide del Louvre, la scrittura geroglifica e molti testi e documenti,  il papiro, la pittura, prodotti di artigianato e statue zoomorfe, la Sfinge,  lo sshaduf,  uno strumento per pescare e pe sollevare l’acqua da usare per innaffiare. Inoltre, nuove professioni, soprattutto per la gestione delle acque  del territorio e quindi anche la professione del geografo.  Dall’Egitto  sono giunti anche  l’aratro, il make-up, l’inchiostro nero e infine la tecnica della catena di montaggi nella costruzione delle grandi opere e conoscenze molto avanzate nel campo della medicina.

Ma le invasioni delle Genti di Mare hanno portato anche  alla nascita di altre due importanti   civiltà, quella  fenicia e, soprattutto, quella ellenica.

I Fenici erano un’antica popolazione di origine semitica, come gli Ebrei, che sin dal II-III millennio  a. C. abitavano il territorio dell’attuale Libano, che avevano in Tiro, Sidone e Bibio i centri principali. Eerano un popolo  di mare che originariamente erano pirati e  predoni e abili marinai che commerciavano legname, vetro, ceeal,  prodotti artigianali, manufatti in bronzo e rame, prima del Vicino Oriente e le isole egee, poi, dall’VIII secolo a. C.,  estesero la loro colonizzazione nel Mediterraneo occidentale, lungo le coste atlantiche del Marocco e in Spagna. E nell’814 a. C. fondarono lungo la costa  del golfo di Tunisi Cartagine, che divenne presto un centro importante per popolazione  e  floridezza economica e culturale fino al 146 a. C., quando fu distrutta dai Romani.

I Fenici non crearono uno Stato o un impero ma molte basi commerciali autonome lungo le coste, della Sicilia  occidentale per non confliggere con i greci, in Sardegna, in Francia e in Spagna.

I Fenici hanno lasciato all’Umanità molte conoscenze e innovazioni che entrarono a far parte della cultura europea, come l’alfabeto di 22 lettere tutte consonanti, che venne poi integrato con le vocali dai Greci. Esperti costruttori di navi, inventarono la chiglia,  l’ariete a prua e il calafataggio delle imbarcazioni. Inventarono anche il timone, l’ancora e la navigazione notturna seguendo la stella polare, essendo anche bravi astronomi.

Dal punto di vista economico, introdussero la coltivazione della vite e dell’ulivo, promuovendo la produzione del vino e dell’olio, trasformarono centri agricoli in centri commerciali e artigianali, diffusero nuovi mestieri e nuove competenze.

Ma i popoli che fondarono una nuova civiltà che avrebbe poi   cambiato la storia,  la cultura e le Istituzioni dell’Europa furono le quattro  stirpi elleniche, Achei, Eoli, Ioni e Dori.

La civiltà greca nasce  dall’incontro tra genti nomadi provenienti dall’Asia centrale di origine  indoeuropea e popolazioni di cultura mediterranea provenienti dai Balcani..

Già nel III millennio a.C. genti di stirpe elleniche furono le prime a giungere nell’Attica, che si integrarono  con la popolazione preesistente. Erano agricoltori stanziali che vivevano in piccoli villaggi, mentre nell’isola di Creta esistevano  già dal III millennio  a. C.  due fiorenti  civiltà,  la minoica e la micenea, la cui economia era basata sull’agricoltura, sull’allevamento, sull’artigianato  e sul commercio. Intrattenevano rapporti  commerciali intensi  con le coste dell’Asia minore e con il Mar Nero, e con le isole dell’Egeo e con  la Grecia continentale, le cui civiltà vennero distrutte dall’invasione dorica della Grecia nella prima metà del II millennio a.C.

La civiltà  greca ha inizio nell’XII-XI secolo a. C., quando l’attuale Grecia venne invasa dalle stirpi di cultura ellenica, che  si distribuirono  sul territorio definendo delle sfere di influenza.

I Dori, i primi ad arrivare,  si insediarono prevalentemente nel Peloponnese meridionale in un’area collinare lussureggiante e lungo le coste dell’Asia Minore. Gli Achei nel Peloponneso  interno e nelle isole dell’Egeo, nella parte centro-orientale,  nell’Eubea, esu alcune zone dell’Asia minore e nelle isole di Chio e Sao. Gli Eoli in  si stabilirono nella Tessaglia e Beozia, nell’isola di Lesbo e  sulla costa anatolica. Gli Ioni si insediarono nella parte centrale della Grecia, nell’Attica, una regione caratterizzata da una parte montuosa e da ampie pianure   che si affacciano sul mare e da clima mite, dove po sulla collina dell’Acropoli i sorgerà Atene.

La Grecia attraversò periodi di benessere ma anche di crisi economica, specialmente nei periodi di crescita demografica, che favorirono l’insorgere di tensioni sociali.

Poiché le risorse erano scarse, specialmente nei periodi crisi,  tra VIII e V secolo  si ebbe una seconda colonizzazione, promossa dagli uomini liberi che chiedevano maggiore autonomia.  Questa seconda colonizzazione ebbe positivi  effetti economici, politici e sociali ragguardevoli, nella madrepatria e nelle colonie, tanto che si cominciò ad usare anche la moneta. Le città greche crearono colonie in tutto il Mediterraneo, in Sicilia e in Sardegna, lungo le coste del Mar Nero e dell’Africa settentrionale,, della Francia e della Spagna,  ma soprattutto nell’Italia meridionale , dove si sviluppò una fiorente civiltà, tanto da essere definita Magna Grecia.

La Grecia non fondò un impero, ma città-stato autonome, più di mille, più di un terzo fuori dalla Grecia.

L’emigrazione fu un processo organizzato dalle città-madre, che provvedevano a fornire ai migranti  tutto il necessario per fondare la nuova colonia, guidata dall’ecista, il   capo che coordinava la spedizione e che nella prima fase della vita della colonia trasmetteva ai coloni  i valori e la religione della madrepatria.

Le più importanti città-stato della madrepatria erano quattro, Atene, Sparta, Tebe e Corinto, ma solo Atene e Sparta erano potenti e influenti e pur essendo entrambe elleniche, erano spesso in guerra per il dominio sull’intera Grecia.

Le due città erano anche culturalmente diverse.

Atene venne fondata sulla collina dell’Attica, sull’Acropoli, , aggregando i piccoli villaggi della pianura circostante. Inizialmente fu governata da una monarchia e poi da una tirannia.

Nel VI secolo a. C. il potere politico ad Atene era in mano agli aristocratici con diritto ereditario. Fu Solone che fece nascere la democrazia  nel 594 a. C., che quando prese il potere (594 a. C.) avviò una serie di riforme politiche e sociali dando il diritto di voto ai cittadini, per censo   e sulla base del reddito, riducendo il potere degli aristocratici e migliorò anche la condizione di vita dei contadini abolendo i debiti pubblici. Poi fu Clistene nel 509 a. C. ad allargò ulteriormente  la base elettorale e poi furono anche  Temistocle (490) e ed Efialte  a rafforzare e  difendere  la democrazia. Ma fu Pericle che nel periodo 461-429 a. C. diede ad Atene una forma istituzionale di democrazia matura.

Tuttavia , la democrazia ateniese non era quella democrazia che oggi noi concepiamo come tale,  perché il diritto di voro non era esteso a tutti i cittadini. Del resto, ancora oggi molti paesi, anche occidentali, hanno forme di governo basate su democrazie che con un ossimoro definiamo illegali.  Con orgoglio possiamo dire che l’Italia ha una Carta Costituzionale che non esito a definire la migliore al mondo per i valori che esprime e per i diritti che garantisce a tutti i cittadini. E’ stata scritta da rappresentanti di tutti i partiti democratici, espressione di una classe politica colta e responsabile, che purtroppo non è stata ancora pienamente attuata per la presenza di forze conservatrici che ne ostacolano l’attuazione

Più volte,  da parte di partiti antidemocratici, mafie, massonerie e servizi deviati hanno tentato di far fermare il processo democratico del Paese. Oggi per nostra fortuna  non abbiamo come Capo dello Stato un qualsiasi Vittorio Emanuele ma Sergio Mattarella, che con vigore difende la nostra Carta Costituzionale.  La democrazia è di per sé fragile e va difesa da tutti i cittadini rispettandone le norme e i valori nell’agire  quotidiano

Atene e Sparta  erano le due città-Stato più importanti della Grecia ma erano completamente diverse. Sparta era  una città rozza, retta da una oligarchia che educava i giovani alla guerra  sin dalla giovane età. A sei anni venivano allontanati dalla famiglia per essere  forati per diventare ottimi guerrieri. Atene era una città commerciale, affacciata sul mare, aperta ai traffici e alle relazioni con altri popoli e culture. Le condizioni ambientali la rendevano attrattiva, tanto che molti intellettuali, scrittori e artisti vi andarono ad abitare. Educava i giovani con il metodo della Paidea, ossia una formazione umana che doveva far diventare i discenti colti e preparati per essere cittadini attivi.

Tra le due città non mancarono momenti di collaborazione e di pace, sanciti anche da trattati ufficiali, ma la competizione e le tensioni erano sempre latenti perché entrambe  ambivano ad avere il predominio politico  sull’intera Grecia.

Pericle era uno Stratega, comandante della flotta navale e dell’esercito e dopo la vittoria nella battaglia di Salamina contro gli invasori persiani rafforzò la flotta e organizzò un’alleanza militare con altre polis e fondò la Lega Delio-Attica alla quale Sparta contrappose la Lega peloponnesiaca.

Turro era ormai pronto per la guerra, si attendeva, almeno per Atene, il casus belli.

Non tutti i cittadini volevano la guerra, ma Pericle era un grande oratore che ammaliava il popolo e ciò gli consentì di avere un grande consenso. Possiamo dire che fu il primo populista della storia. Aveva organizzato  una guerra fatta di battaglie navali perché pensava di essere imbattibile e fece rinchiudere la popolazione all’interno delle mura .Ma Pericle, grande stratega, sbagliò la strategia.

La guerra durò a lungo, iniziò nel 431 e durò quasi trent’anni e  tenere chiusa la popolazione dentro le mura non fu cosa semplice, tanto più  che scoppiò anche la peste., nel  430 a. C.

Con la citta assediata e le condizioni igienico-sanitarie il morbo causò migliaia di morti. Lo stesso Pericle  fu colpito dal morbo che gli causò la morte nel 429 a. C.

Ma Pericle non volle mai accettare di trattare con Sparta per far terminare la guerra che finì soltanto con la sconfitta di Atene nella battaglia navale dell’Egpspotami, nello stretto dei Dardanelli.

a lungo e terminò soltanto nel 404 a. C. con la sconfitta ateniese nella battaglia navale di Egospotami, nello stretto dei Dardanelli, che segnò la fine di Atene.

Nel corso della lunga guerra del Peloponnese Atene si impegnò in altre due guerre in Sicilia, la prima tra il 415 e il 413 a. C., .a seconda, contro Siracusa, nel 4n’altra sonora sconfitta  Atene l’aveva subita nelle spedizione navale ni Sicilia (415-413 a. C.), nella battaglia navale di Siracusa quand27 a. C., dove subì una pesante sconfitta.o Segesta chiese aiuto nella guerra  contro Siracusa-

La vicenda di Pericle è un monito per tutti i politici, per quanti credono che avere il consenso sia sufficiente per decidere da soli senza condividere con altri le decisioni  o per lo meno  ascoltare il parere degli altri,  per riflettere meglio sulle scelte da prendere. Un metodo di lavoro che non porta lontano, è accaduto a Pericle come  a tanti altri, a  Napoleone, a Mussolini, a Hitler, tanto per citarne alcuni. E’ cosa buona e giusta non innamorarsi del potere e considerarlo come un servizio per la Comunità.

Pericle ha comunque molti meriti, ha allargato la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica, ha introdotto il compenso per chi si dedica alla vita pubblica, per consentire anche ai cittadini con basso reddito per potersi impegnare nell’attività politica. Ha creato  nuovi posti di lavoro attraverso gli investimenti pubblici e attraverso  le  Cheruche, una sorta di moderne cooperative formate da cittadini inviati nelle terre da controllare e da valorizzare a fini agricoli per aiutare i poveri ad avere un’occupazione. Ma soprattutto ha investito in arte, letteratura e cultura, facendo di Atene il centro culturale più avanzato di tutta la Grecia.

Dopo un periodo di dominazione persiana iniziata nel 480 a.C., l’esercito del macedone   Alessandro Magno nel 338 a. C.  invase la Grecia assoggettandola al suo impero  fino alla conquista romana, anche se  convenzionalmente la fine della dominazione macedone viene fatta coincidere con la morte di Alessandro Magno nel 332 a. C.

Alessandro Magno fu un grande ammiratore della cultura greca perché venne avvicinato alla lettura dei poemi omerici da  Aristotele  e così il macedone si appassionò alla cultura greca, che considerò superiore alla cultura dei barbari.

Tuttavia, la conquista romana della Grecia avvenne ufficialmente nel 30 a. C.,con la battaglia di Azio, ma già  nel 146 a.C.

Ma la civiltà greca non finì con la sconfitta di Atene,  perché nella Grecia è nata la democrazia, l’arte, la letteratura , la filosofia e la pedagogia, il teatro, la tragedia, un patrimonio cultura che è  diventato le radici della identità europea. I romani furono affascinati dalla cultura greca e l’hanno integrata in quella latina, creando una nuova cultura, la greco-romana.

Nella metà dell’VIII a.C.,  quando venne fondata Roma, nel Mediterraneo orientale e in Asia Minore  esistevano già da molti secoli  numerose civiltà  e imperi.

La città di Roma, infatti, venne  fondata nel 753°- C., secondo il letterato romano Varonio, e  si formò con la progressiva aggregazione del villaggi presenti sui colli e, secondo risultanze archeologiche, il primo nucleo fortificato fu costruito sul colle Palatino.

La città fu retta fino al 509 a. C. da 7 re, gli ultimi tre  appartenenti ai Tarquini, di etnia Etrusca.

Man mano che la popolazione aumentava era necessario reperire altri terreni da coltivare e nello stesso tempo  difendersi dai popoli circostanti. Nel VI secolo, quindi, vi furono le prime guerre difensive ma anche espansive per conquistare terreni a danno dei villaggi esistenti nei colli vicini.

La monarchia finì nel 509 a.C., quando  il re etrusco, Tarquinio il Superbo, venne deposto.

Iniziò l’età repubblicana, che durò fino al 31 a.C., quando nacque l’impero.

E’ nel periodo repubblicani che Roma da piccola città-stato molto simile a tante alte già esistenti da tempo, divenne una potente e grande città, politicamente e militarmente.

Fu una espansione progressiva fatta di grandi vittorie  ma anche di grandi sconfitte, che però, non incisero sulla volontà di  continuare a combattere, fiduciosi  nel  futuro.

Il quadro etnico-culturale dell’Italia pre-romana era già molto variegata. Sulla dorsale appenninica esistevano numerose tribù di pastori e allevatori che erano in contrasto tra loro, ma talvolta alleati per fronteggiare un nemico comune.

Ma i popoli in grado di ostacolare l’espansine romana erano gli Etruschi, un popolo arrivato probabilmente via mare dal Mediterraneo orientale  e  che aveva il controllo dei traffici dal mar Tirreno al Mediterraneo orientale. Altri popoli ostili erano i Galli, ossia il popolo celtico, proveniente dal Baltico, presenti in un vasto territorio che da Bologna si estendeva fino alla Campania-

E ancora,  popoli aggressivi erano anche i Liguri, popolo pre-indeuropeo proveniente dall’Irlanda, gli Umbri, i Lucani, gli Apuli e soprattutto le città-stato della Magna Grecia. Un mosaico di civiltà che vennero integrate nella cultura romana.

L’espansione romana, quindi, non fu una impresa semplice.

La prima fase, di difesa ed espansione,  è stata finalizzata  a conquistare la penisola italica.

Nel 396 a.C. i romani conquistarono la città etrusca di Veio, posta a controllo del Tevere.Pochi anni dopo, nel 390 a- C., i Celti, guidati da Brenno, sconfissero i romani e saccheggiarono Roma. Bisognerà attendere la fine del II secolo e l’inizio del I secolo a.C. per vedere la vittoria romana sui Celti. La data certa non si conosce ma nell’89 a.C. era già colonia romana e nel 42. a.C. la pianura padana divenne parte integrante dell’Italia romana.

Nel frattempo i Romani si dedicarono alla conquista dell’Italia peninsulare con le guerre sannitiche (343-290 a. C.9 e poi fu la volta di Taranto, potente città-stato dorica che venne presa nel 272, dopo avere sconfitto Pirro, re dell’Epiro che era venuto in soccorso di Taranto, nella battaglia di Benevento. Tra il IV e il III secolo i romani conquistarono la Campania dando vita a un periodo fiorente. In questo periodo vennero attivate le fornaci di Eboli e vennero costruite molte  ville nei posti più ameni della regione.

La vittoria romana  in Asia Minore  nel 189 a.C.,  la conquista della città greca di Corinto  nel 146  a. C e nel 148 a. C.la conquista  della Macedonia  e con  la vittoria  sui Fenici con la distruzione di Cartagine nonché  con le campagne  militari condotte da Traiano tra 98 e 117 d. C. che portaroe della  Cappadocia, e della Numidia in Africa, l’impero assume la sua massima estensione con una superficie di5 milioni di kmq e una popolazione di  47-60 milioni e  Roma, con una popolazione di circa 1,5 milioni,  divenne la potenza egemone nel Mediterraneo. Tutte queste conquiste furono importanti perché consentirono di mettere Roma con la cultura orientale, che influenzò fortemente  la cultura e gli stili di vita romani. Dall’Oriente giunsero a Roma anche nuove colture di frutta sconosciute, che hanno modificato abitudini alimentari tradizionali.

L’espansione romana continuò con la conquista dell’Europa.

La conquista della penisola iberica era stata avviata già 218 a. C., ma venne completata nel  16 a.C. dall’imperatore Ottaviano, la Gallia (attuale Francia) venne  conquistata  tra il 58-50 d C.,  e tra 12  a. C. e il  9 d.C. venne occupata la Germania, che portò il limes orientale fino al fiume Elba.  Nel 43 d. C. l’impero romano conquistò la Britannia, per volere dell’imperatore Claudio.

Con l’imperatore Adriano l’mpero romano raggiunse la sua massima estensione, un vasto territorio che si estendeva dalla penisola Iberica al Reno e al Danubio, dal Vallo di Adriano  (Scozia) a Nord fino alle coste dell’Africa a Sud, compresi i Balcani e il Vicino Oriente, Egitto compreso. Un territorio pari a ben 54 stati odierni.

Nel   III secolo d. C. era già cominciata la decadenza dell’impero. Aveva raggiunto una dimensione territoriale molto vasta e i confini che ormai così vasti che era diventato  difficile controllare e difendere, la produzione agricola era insufficiente a causa dell’impiego  di molti contadini nelle operazioni belliche, i costi delle campagne militari erano non più sostenibili elevati costi  delle guerre. Era ormai necessario aumentare la tassazione, che però era una operazione  non indolore perché avrebbe  creato  scontento tra la popolazione. Tutto ciò mentre le popolazioni germaniche  premevano sui limes dell’impero con incursioni sempre più numerose.

Già nel 286 e fino al  402 la capitale dell’impero era stata trasferita a Milano e nello stesso anno era stato diviso l’impero in due diverse entità,  impero romano d’Oriente (l’impero Bizantino) che  durò fino al 1453 e Impero Romano d’Occidente, che durò fino al 476.

La cultura romana, pur essendo stata influenzata da quella greca, ha delle specificità che la distinguono già considerando le loro eccellenze culturali, la Grecia la filosofia, Roma il diritto, in particolare il privato.  Possiamo così dire che la Grecia era il Pensiero, Roma l’Azione, ossia orientata a risolvere problemi pratici connessi al raggiungimento dei propri obiettivi.

Anche il modello di espansione territoriale e di organizzazione dei territori conquistati erano diversi, la Grecia creava città-stato con larga autonomia, Roma estendeva ai territori conquistati  il proprio modello di organizzazione territoriale incentrato su città murata e vi forma quadrata e costruiva l “opere di urbanizzazione, teatri, anfiteatri, terme,  foro, acquedotti, sistema fognario.

I romani hanno anche inventato la casa a corye interna con la Spa e pareti e pavimenti con mosaici e pitture, hanno sviluppato la cartografia tematica come le carte stradali e la carta catastale a fini fiscali.

Come Atene, Roma curava molto l’educazione dei ragazzi, che fino a sette anni venivano educati in casa, poi in scuole pubbliche finanziate dalle famiglie.

Pur essendo conosciute tecnologie avanzate in campo costruttivo, edificavano senza sconvolgere il territorio, come nel caso del Vallo di Adriano.

Inoltre, non schiavizzava i popoli sottomessi ma li trasformava in alleati e nel 212 d.C. l’imperatore Caracalla  emanò la Constitutio Antoniana, col la quale si concedeva la cittadinanza romana a tutte le comunità dell’Impero Romano, cos, ogni cittadino della provincia romana poteva ance assumere cariche politiche, diventare senatore o imperatore, come anche avvenne.  E ancora, nel 313, con l’Editto di Milano, gli imperatori Costantino e Licinio concedevano nei due imperi d’Oriente e d’Occidente libertà di culto ai cristiani e restituivano i beni confiscati alla Chiesa.

In età imperiale la funzione della donna era ancora quella di gestire la casa e la famiglia, ma in certe fasi storiche ha  anche assumendo funzioni pubbliche e abbiamo anche esempi di donne che hanno avuto molta influenza sulla vita politica della Roma antica..

Nella civiltà romana ci sono interessanti elementi di modernità sconosciuti ai più, specialmente a chi ostenta la romanità con il saluto.

Risulta quindi evidente il forte impatto dell’eredità dell’impero romano anche sulla vita di oggi, non solo nel campo della  letteratura, della poesia, della storiografia, del diritto e della lingua, con il latino che è stato lungo lingua ufficiale a livello internazionale.

Eredità importanti sono le innovazioni tecnologiche nell’architettura, con la costruzione del Colosseo, del Pantheon, dei fori imperiali, la costruzione delle strade imperiali che dal centro di Roma si dirigono a raggiera, collegando la Capitale con tutti i territori dell’impero e che ancora oggi tracciano l’attuale rete stradale, gli archi di trionfo, le colonne, il calcestruzzo edifici che sono ancora oggi in piedi, porti, canali e condotti, tutte opere di ingegneria edile costruite con tecnologie all’avanguardia valide ancora oggi, e un modello di organizzazione amministrativa e di potere che ha ispirato le generazioni future.

Al tempo dell’Impero romano  un altro impero molto esteso  esisteva già dal 3000  a. C., che ha dato vira a una civiltà molto  evoluta, una delle più antiche al mondo, che si era  formata attraverso l’aggregazione di piccoli villaggi che sorgevano lungo il fiume  Giallo. E’ la civiltà cinese, che si sviluppata su un Paese di vaste dimensioni, dominata da varie dinastie appartenenti a etnie diverse, unificare dalla stessa lingua, il cinese, che si sono succedute fino al XX secolo.

Nel 221 a. C. la dinastia Quin operò la prima unificazione dando vita all’impero cinese. Da allora si susseguirono fasi di sviluppo e di decadenza, di chiusure e di aperture, di conflitti interni, di fratture e di nuove unità fino al 1206, quando il Paese venne invaso dai Mongoli, nonostante nel VII secolo a.C. fosse stata costruita la Grande Muraglia, un’opera di ingegneria avanzata, proprio per difendersi dai popoli del Nord.

Nel 1241 i mongoli sottomisero anche la Russia, separandola dall’Europa, una invasione che causò la decadenza della potenza di Kiev e favorirà l’ascesa di Mosca.

L’occupazione mongola della Cina favorì invece i contratti tra Cina ed Europa e  segnò l’inizio di un intenso periodo di invenzioni che favorirono lo sviluppo della Cina e dell’Occidente.   . Fu questo un periodo  ricco di innovazioni e invenzioni che continuò con la dinastia Ming, una delle due dinastie che governarono la Cina fino alla rivoluzione del 1912 (Ming, 1368-1644, Quing, 1644-1912).

Le scoperte fatte dai cinesi nel corso dei secoli che cambiarono la storia del mondo  e che giunsero in Europa attraverso la Via della Seta   furono: la carta, la bussola, la bara, i fiammiferi, la porcellana, la canna da pesca, i fuochi d’artificio, gli spaghetti, la carta igienica e i caratteri mobili per la stampa.

In questo periodo si svilupparono ulteriormente  i contatti con l’Italia, con i viaggi di Marco Polo nel 1275 e quelli dei missionari gesuiti, in particolare di Matteo Ricci, che raggiunse la Cina nel 1552, molto stimato in Cina come scienziato e filosofo.

Ricci fece conoscere ai cinese la cultura occidentale, traducendo in lingua locale alcuni libri come gli Elementi di Euclide, introdusse la conoscenza della cartografia  europea ed egli stesso curò la realizzazione di n Atlante mondiale, traducendo in cinese  i nomi europeo. Al ritorno in Italia  nel 1732 fondò a Napoli  li Collegio dei Cinesi, che diventerà poi l’ateneo L’Orientale.

Dopo l’impero Ming iniziarono le ingerenze europee che indebolirono e impoverirono l’impero ch, dopo oltre 2000 anni venne sostituito dalla Repubblica

Un altro gesuita Michele Ruggieri l’iniziativa di redigere un Atlante della Cina.  La sua prematura morte non gli consentì di completare l’opera, ma restarono le carte relative alla Cina dei Ming, pubblicate do recente dal Poligrafico dello Stato, nel  1993.

Durante la dinastia Ming la produzione della ceramica raggiunse il suo massimo  splendore ma, all’inizio dell’Ottocento i Quing interruppero i rapporti con l’Europa, limitarono l’esportazione dell’oppio, del tè e della seta, una politica che ebbe effetti negativi  sull’artigianato e sull’agricoltura, settori che entrarono in crisi. A ciò si aggiunse anche un   periodo di guerre, con la Francia, la Gran Bretagna e il Giappone,  che crearono depressone economica e malcontento tra la popolazione. Da allora la Cina fu un Paese  chiuso in se stesso, privo di relazioni economiche e culturali  con l’esterno e la Cina diventò uno stato sottosviluppato, a dimostrazione che l’isolamento e i sovranismi sono soltanto simbolo di decadenza.

In Europa, Tra V e Vi secolo, molti popoli germanici invasero l’Italia, in particolare attaccarono i territori che un tempo costituivano l’impero romano. Tra questi popoli i più importanti furono gli Ostrogoti e i Longobardi.

L’impero romano cadde quando nel 476,  Odoacre, generale e politico della tribù dei Goti  depose l’ultimo  imperatore, Romolo Augusto, divenendo re degli Eruli e patrizio romano.

Le popolazioni germaniche erano composte da  numerose tribù che già dal IIII secolo avevano condotto incursioni nei territori nei confini dell’impero per saccheggiare le popolazioni, ma dalla fine del IV secolo cominciarono a stanziarsi sui territori conquistati e in Italia diedero vita a regni romano-barbarici.

L’impero romano aveva vissuto un lungo periodo di pace  perché l’imperatore Augusto

l’aveva imposto a tutti gli stati dell’impero. Fu il periodo della Pax romana o Pax augustea. L’impero tra i suoi tanti successi,  c’era anche quello della unificazione dell’Europa , una condizione che sarà più volte ricercata ma che non sarà mai raggiunta, nonostante i tentativi di Carlo Magno e di Napoleone Bonaparte. A disgregare l’Europa fu l’arrivo di nuove ondate migratorie di popoli germaniche popoli del Nord Europa, come pure dal sud, in particolare gli arabi..

La cultura greco-latina è espressione di una cultura molto complessa che non è mai morta anche se i due imperi sono nati, si sono sviluppati e, come tutti gli altri imperi, sono  anche decaduti, ma non sono morti perché vivono in noi, sono le radici della nostra civilt.à

Non ci hanno lasciato soltanto la democrazia, l’arte, la scienza, la politica, l’etica, ma ci hanno fatto anche conoscere   l’esistenza  di  problemi e di conflitti sociali  che oggi affliggono le nostre società, conflitti tra ri,cchi e poveri, tra democrazia e dittature, guerre  per il controllo delle risorse, problemi ambientali guerre di conquista ed esigenze di cercare la pace, fenomeni corruttivi, conflitti religiosi, tutti  problemi su cui converrebbe indagare  per capire come sono stati affrontati o risolti, per illuminarci e sbagliare di men. Perché non è affatto vero che un politico ignorante possa riuscire a governare bene. Può essere  soltanto un buon affabulatore-

Non c’è nulla nella cultura greco-romana che non ci appartenga. Ed è la cultura europea che ha forgiato  quella americana e quindi di tutto l’Occidente.

Ma il provincialismo europeo e occidentale  non può cancellare il ruolo fondamentale che hanno avuto le culture Orientale nella storia dell’Umanità, e che la storia  con i suoi corsi e ricorsi storici fatti di fasi alterne, di crescita e di declino,  che determinano percorsi di sviluppo non lineari, che incidono sugli equilibri politici globali. Queste dinamiche   suggerirebbe agli Occidentali di non rinchiudersi in se stessi e rifiutare l’altro considerato barbaro, perché la storia ci insegna che  l’illuminazione dello spirito proviene da ogni civiltà, e che è l’isolamento o il mito dell’autosufficienza  a creare il declino.

Dopo la fine dell’impero romano d’Occidente l’Europa è entrato nel Medioevo, caratterizzato da invasioni di popoli “barbarici” che hanno determinato profonde trasformazioni politiche e territoriali fatti da scontri e incontri con popoli di diverse culture.

Sono popoli germanici che invasioni  confini dell’impero romano w gli slavi provenienti dall’est Europa che scendono lungp la penisola balcanica per raggiungere l’Oriente, scontrandosi con l’impero Bizantino, impegnato nel riconquistare i territori d’Occidente, in Sicilia, nell’Italia meridionale e lungo l’Adriatico, dove crea un Esarcato con a capo Ravenna.

L’Italia fu invasa da molte tribù germanica, ma  furono  gli Ostrogoti, il popolo che spodestò l’ultimo imperatore  romano,  e i Longobardi a lasciare tracce significative.

Gli Ostrogoti stabilirono pochi  insediamenti in Italia  a sud della linea  Roma-Pescara, più intensi furono quelli del Piceno, sulla via consolare Salaria, alcune aree a ovest di Ravenna, di Milano, pavia e le Alpi e nel apate settentrionale del Sannio, attestato anche da toponimi come Sant’Agata de’ Goti.

Più significativa la presenza dei Longobardi in Italia anche dal punto di vista artistico-monumentale, alcuni dei quali sono beni custoditi in sette località  sette localià che sono stati centri di potere e di culto tra gli anni del dominio longobardi in Italia (568-774 d.C.), oggi Patrimonio dell’Umanità.

Sono il tempietto e il Complesso episcopale di Cividale del Friuli.

Il Tempietto di Santa Maria in Valle  è importante per la sua caratteristica architettoniche perché agli elementi longobardi unisce  motivi classici, creando una continuità tra arte classica longobarda e islamica.

A Brescia è longobarda la Chiesa del Monastero di Santa Giulia,  a Castelseprio (Varese) l’area del castrum e gli affreschi della Chiesa di Santa Maia, a Spoleto l Basilica si San Salvatore, a Campello sul Clitunno la Chiesetta a forma di tempietto corinzio, a Benevento, sede del più importante ducato della Langobardia Minor la Chiesa di Santa Sofia, costruita dal duca Arechi nel 760 e molti tratti delle mura longobardi, a Monte Sant’Angelo la Chiesa di Sant’Angelo.

I Longobardi provenivano dalla Scandinavia  e, pur avendo avuto contatti con Roma già nel., arrivarono in Italia e , conquistarono quasi tutta la penisola, che era appena stata ripresa dai Bizantini di  Costantino.

I Longobardi, venendo da Est, dalla Pannonia, giunsero nel Friuli e si insediarono a Cividale e da  lì si spostarono verso Ovest, conquistarono la parte occidentale del pianura padana, dandole il nome di Lombardia. E successivamente conquistarono anche il Friuli Venezia Giulia, formando uno stato indipendente, la Langobardia Maior, che comprendeva anche la Toscana.

La capitale venne fissata a Pavia, città sul fiume Ticino, affluente del Po e quindi via navigabile per raggiungere l’Adriatico. I Longobardi conoscevano bene la Geopolitica! Di fatto l’occupazione longobarda divise in due l’Italia perché i Bizantino occupavano il cosiddetto “Corridoio Bizantino”, un territorio trasversale che  Bisanzio controllava, che comprendeva anche la Sicilia, le punte estreme della penisola salentina e della Calabria e la Sardegna.  Una “coabitazione” che durò fino  al  603.

Tra VII e VIII secolo, dopo la morte di Alboino, fondatore del Regno, il potere venne accentrato e i duchi, costretti a cedere larga parte dei propri patrimoni per costituire  un forte stato, organizzato su base moderna, gestito da funzionari, articolato su gastaldati.

Quando Auteri sposò  nel 589  Teodolinda, figlia del Duca di Baviera, cattolica e donna colta ed elegante, educata alla cultura greco-romana, che parlava correntemente il greco e il  latino, anche mecenata,   era molto amata dal popolo tanto che lo convertì al Cattolicesimo.

Alla morte di Auteri, Teodolinda divenne    reggente , in attesa della maggiore età del figlio  Adaloardo, che governò dal 616 al 626. Un anno dopo la morte del marito,  la regina  sposò il duca di Torino, Agiulfo. In questo periodo il Regno strinse stretti rapporti con le popolazioni germaniche, con i Romani e con il Papato, grazie ai buoni rapporti della regina con  papa Gregorio I.

Teodolinda morì nel 625, pochi anni dopo la morte del marito.

Fu Liutprando, che regnò dal  712 al 744, che diede un respiro europeo al regno e incrementò anche i propri territori con l’annessione dei ducati indipendenti di  Spoleto e Benevento, riuscendo anche a limitare l’influenza del Papato, anche se nel 728 era stato proprio Liutprando a cedere a papa Gregorio II  alcuni castelli e il Patrimonio di Sutri, dando inizio al potere temprale del papato.

Ma quando volle conquistare  anche Ravenna nel 750, ruppe i delicati equilibri politici che si erano creati e il Papa chiese aiuto ai Franchi che, nel 774 sottomisero i Longobardi e inglobarono i loro territori nel proprio Regno, lasciando fuori Benevento che, elevata a principato, mantenne la sua autonomia fino al 1077, quando divenne dominio pontificio.

Questa decisione non piacque agli eredi di Arechi e di conseguenza ci fu un periodo di rurbolenza.

Anche i Longobardi, come tutti gli altri popoli,  hanno lasciato in eredità tracce della loro presenza; l’arricchimento della lingua latina con nuovi termini longobardi, che si sono fusi nel latino medievale,  edifici religiosi di grande importanza storico-culturale, un esempio di  un nuovo modello organizzativo dello stato, emanarono  il primo codice di leggi scritte in latino riguardante il diritto penale e il diritto familiare con l’Editto d Rotari del 643, nuovi nomi relativi alla toponomastica, svilupparono il cristianesimo medievale europeo, assorbirono influenze culturali bizantine,  elleniche e mediorientali, facendone una sintesi che portò a un nuovo, originale stile architettonico. Inoltre, insieme ai  bizantini, hanno tentato la riunificazione dell’Italia, non riuscendoci.

Quando il re longobardo Astolfo minacciò di occupare Roma e il Lazio, il papa Stefano II chiese nuovamente aiuto ai Franchi per difendere la Chiesa. Nel 754 Pipino il breve scese in Italia e sconfisse i Longobardi, inglobandoli nel suo Regno e il papa, per ringraziarlo, lo incoronò imperatore.

I Franchi erano un popolo germanico stanziato sulle rive occidentali del fiume Reno che, nel VI secolo, cominciò a spingersi verso sud-ovest e verso est, formando  un regno e una dinastia  nel 688, che chiamò carolingia in onore di suo  figlio Carlo Martello, padre di Pipino il breve,  che si distinse per aver fermato l’invasione araba  verso l’Europa occidentale nella battaglia di  Poitiers del 732.

Nel 768 Pipino il breve morì e gli successero i due figli, Carlo e Carlomanno, che morì nel 771. Carlo detto il  Magno restò, così,  l’unico erede del  Regno dei Franchi  e ancora una volta, nel 773, un papa, Adirano I, chiamò il re Carlo Magno, divenuto re dei Franche,  per invadere l’Italia settentrionale, temendo che Belisario potesse ripristinare il dominio longobardo su Benevento. Carlo Magno sconfisse Belisario e conquistò tutta l’Italia settentrionale e si proclamò  re d’Italia e dei Longobardi. Iniziò una serie di vittoriose battaglie con le quali ampliò i confini del Regno, estendendolo dalla Marca spagnola a ovest e a est dal bacino dell’Ebro fino  all’Elba, al Danubio e al Tibrisco, fino  alla Polonia e a sud  l’Italia settentrionale fino a Roma, centro della Cristianità occidentale.

Il 25 dicembre dell’800, nella Basilica di San Pietro, il  papa Leone III  incoronò Carlo Magno imperatore e in quel momento nacque il Sacro Romano Impero, sacro perché consacrato dal Papa, romano perché considerato erede e continuatore dell’impero romano.

Carlo Magno per formare il suo  impero, ha dovuto affrontare numerose battaglie, contro gli arabi,  già fermati una prima volta da Carlo Martello nel 732,  quando dalla Spagna tentarono di occupare la Gallia.

Per espandersi a Est dovette scontrarsi con i Sassoni, e solo dopo poté  formare  un vasto impero ma non  vasto come quello romano, cui si ispirava Carlo Magno.

Rispetto a quello romano, il Sacro romano era un impero continentale e quindi non in grado di controllare le rotte marittime e   gli scambi commerciai, appannaggio degli arabi, bizantini e normanni. Il regno fu così  costretto a praticare  una economia del baratto e  un’agricoltura destinata all’autoconsumo.

Inoltre, il regno non aveva grandi centri urbani in grado di fungere da centri di elaborazione culturale e di crescita economia ed era anche  un impero costruito con la forza, senza una identità comune  né coeso, frutto di espansone territoriali conquistata cin la forza. Aveva anche una popolazione non colta, tanto che lo stesso Carlo Magno, pare, non sapesse né scrivere né leggere.

Nonostante ciò, Carlo Magno  m riuscì  riunificare l’Europa e per primo e a diffondere un’idea di Europa, a cui voleva dare un’unica cultura e un’unica economia tanto da essere considerato il fondatore dell’Europa e a tutti coloro che svolgono un ruolo importante per l’unificazione dell’Europa viene oggi  dato il “premio Carlo Magno.”

Consapevole che la cultura era importante per la crescita sociale ed economica promosse il Rinascimento Carolingio, impose l’obbligo del battesimo e l’osservanza dei precetti cristiani e diffuse il Cristianesimo in tutta l’Europa Occidentale come elemento unificante.  Unificò, inoltre, dal  punto di vista  militare e politico l’Europa, ma non riuscì a organizzare un’amministrazione sul modello dell’impero Romano.

L’incoronazione  di Carlo Magno nella Basilica di San Pietro da parte di Leone III non fu solo dettata da motivi religiosi ma anche  da motivi politici. Il papa desiderava che il re del più potente regno cattolico d’Europa non fosse un semplice re  ma un Imperatore che per dignità potesse collocarsi sullo stesso piano dell’imperatore di Costantinopoli.

Tra Costantinopoli e Roma non correva buon sangue, tanto che nel Secondo Sinodo  di Nicea (787) convocato dall’imperatore di Costantinopoli non fu dato largo spazio alla presenza occidentale e ciò perché la Chiesa di Costantinopoli era lacerata dalla  spinosa questione del culto delle immagini, ritenuta eretica, mentre in Occidente era largamente utilizzata.

Carlo Magno per far pesare la sua influenza, promosse l’indizione del  Sinodo di Francoforte (794), in contrapposizione a quello di Nicea.

Carlo Magno non disdegnava di far pesare la sua influenza come imperatore perché la cerimonia di incoronazione aveva fatto nascere la contrapposizione tra papa e imperatore in quanto il papa sosteneva che  l’incoronazione era avventa per volere di Dio per il tramite del suo rappresentante sulla Terra, mentre l’imperatore riteneva che essendo imperatore per volere di Dio no dovesse essere subordinato al papa. Una disputa che durerà per molti secoli e che porterà la religione a essere strumento di potere sia per la politica che per la Chiesa, finendo per alimentare le guerre di religione, che sostanzialmente sono sempre guerre di potere.

Notevole fu l’impegno di Carlo Magno per la cultura e l’educazione.

L’imperatore  si impegnò a diffondere la conoscenza intesa come educazione intellettuale e religiosa del suon popolo, creando nuovi ordinamenti scolastici, essendo fino ad allora l’insegnamento impartito solo nei vescovati, nelle parrocchie e nei monasteri, senza un programma didattico ben definito e coordinato. La scuola carolingia era basata  sugli insegnamento del trivio e  del quadrivio, secondo il modello formativo  inglese. Apri  ad Aquisgrana, capitale dell’impero, anche la “Scuola Palatina”, chiamando a insegnare i migliori studiosi, letterati, filosofi e uomini di scienza  da tutta Europa. Impose anche  il latino classico come lingua ufficiale.

Con queste iniziative Carlo Magno introdusse nell’Occidente per la prima volta il concetto di scuola in senso moderno, favorendo il confronto fra idee diverse basate sullla libertà di pensiero.

Nell’ 814 Carlo Magno morì e il regno passò  al suo unico figlio, Ludovico il Pio, che fu imperatore fino all’840, seguendo la linea politica e culturale del padre.

Ma già tre anni  dopo, nell’843, con il Trattato di Verdun, il regno venne diviso  tra i tre nipoti di Carlo Magno, figli di Ludovico il Pio.

Il regno venne, dunque, diviso in tre parti, centrale, occidentale e orientale.. A  Lotario  andò la parte centrale, dal Mare del Nord fino  Roma, la parte occidentale, dai Pirenei fino al Mare del Nord, a Carlo il Calvo, la parte  orientale, tra il Reno e l’Elba, a Ludovico il Germano. Il Regno che fu di Carlo Magno, pur esteso, non era paragonabile ai grandi imperi dell’Antichità, né per estensione, né per potenza economica e neppure  per organizzazione e per durata, appena un quarantennio. La tripartizione del suo territorio lo ha indebolito ulteriormente, specialmente  quando Carlo il Calvo nell’877 concesse il diritto all’eredità ai vassalli, che potevano trasmetterlo ai loro  valvassini. Con questo provvedimento il  potere reale  passò dal re ai vassalli, indebolendo ancor di più   il potere centrale, di per sé già indebolito dalla perdita della dignità imperiale, rendendo altresì’ più difficile gestire funzioni come l’organizzazione di un esercito e della riscossione  delle tasse, le due principali funzioni di uno stato. Non finì con l’impero il feudalesimo, anzi si rafforzò e disegnò i rapporti economici e sociali per tutto il medioevo, ostacolando la formazione del ceto borghese.

I Carolingi furono i capostipiti di molte case regnanti europee e ciò fu la causa di molte guerre di successione che insanguinarono l’Europa nei secoli successivi.

Nonostante ciò, il Sacro Romano Impero ci ha lasciato una grande eredità, nacque allora l’idea di una Europa unita, che nessuno riuscirà a realizzare, né Napoleone né Hitler, ma ci riuscirono, nel dopoguerra Adenauer,  Shuman e Degasperi realizzarono una intuizione di Carlo Magno, che oggi i cosiddetti patrioti vorrebbero cancellare. Persone di scarsa cultura fuori dal tempo e dallo spazio.

I tre regni così disegnati rappresentavano in  nuce, anticipandola, la nascita dei futuri stati moderni europei, di Francia, di  Germania e d’ Italia. In particolare,  il regno centrale è pressoché il territorio europeo che negli anni Settanta del XX secolo venne indicato  con il termine Banana Blu, ossia, una  dorsale di sviluppo economico e demografico a forma di mezzaluna che partiva da Londra e, passando per Parigi, arrivava fino a Milano, una definizione apparsa sulla rivista Nouvel Obaervateur. Era anche considerata una megalopoli europea che somigliava a una banana, che era  blu perché blu era ed è  il colore della bandiera europea.

Il confine  meridionale del regno di Lotario finiva a Roma e prefigurava una caratteristica politica, economica e territoriale tutta italiana, il   dualismo Nord-Sud,  che persiste ancora oggi. E forse anche la banana era ed è ancota l’area forte dell’Europa.

L’impero di Carlo Magno segna anche il passaggio dall’Alto medioevo e il Basso medioevo, un periodo di benessere e d pace, di sviluppo, ma anche di nuove ondate migratorie che ridisegneranno la politica e la società europea fino al XVI secolo.

Il breve periodo di pace che si ebbe dopo Carlo Magno favorì l’incremento di popolazione e la crescita economica, soprattutto  per le innovazioni tecnologihe introdotte nell’agricoltura.

Questi cambiamenti ebbero effetti positivi sulla ripresa del commercio, sullo sviluppo dei mercati, sulla crescita delle città.

Si modificò anche la struttura sociale della popolazione, oltre agli aristocratici, al clero e ai  contadini si ebbe la crescita di altre figure professionali, mercanti, artigiani, banchier, notai, uomini di legge e gli intellettuali,  cioè la nuova borghesia..

In città ritornò a vivere l’aristocrazia, che si era ritirata nelle campagne.

In tutta Europa si ebbe  il risveglio delle città, con i ceri produttivi che rivendicarono la gestione del potere, una rivendicazione  che portò alla formazioni dei comuni che, ampliandosi sui territori circostanti, fecero nascere le Signorie, una sorta di Stati regionali.

Le città affacciate sul mare svilupparono i traffici e il commercio su vasta scala, tanto che rivendicarono l’autonomia politica, trasformandosi  in Repubbliche marinare.

Questo fenomeno interessò soprattutto l’Italia in maniera significativa, un respiro di libertà in un paese occupato da potenze straniere.

Erano Repubbliche marinare Amalfi, Genova, Pisa e Venezia, oltre alle città marinare di Gaeta, Ancora, Noto e la dalmata Ragusa.

Erano tutte Repubbliche che diedero vita ad una fiorente attività commerciale che consenti loro di avere il dominio dei traffici del Mediterraneo . Poiché le sfere di influenza erano comuni a tutt le quattro Repubbliche , la competizione e la conflittualità erano sempre vive, per cui spesso entrarono in guerra fra di loro, con alterne fortune.

Avevano basi commerciali in tutto il Mediterraneo, dal Mar Nero al Mare del Nord.

La prima a emergere fu Amalfi, attiva nel Mediterraneo già dal IX secolo, ma fu anche la prima a decadere a causa della conquista del Mezzogiorno da parte dei  Normanni.

Amalfi era una piccola cittadina che è vissuta da sempre con l’economia del mare. Abili e coraggiosi marinai, nel IX secolo, cominciarono a dar vita a un fiorente commercio nel Mediterraneo, esportando olio, vino, ceramiche, legname in cambio di oro e spezie.

Amalfi è famosa per la elaborazione  del primo codine della navigazione, le Tavole amalfitane, che regolò  la navigazione  nel Mediterraneo fino al XVI secolo e perché un suo concittadino, Flavio Gioia inventò la bussola magnetica  nella prima metà del XIII secolo, usata anche da marinai,  arabi,   bizantini e normanni.

Gli amalfitani commerciavano olio, vino, ceramiche e legname in cambio di oro e spezie. L’attività mercantile cambiò il piccolo centro di pesatori in una città ricca dominata dalla borghesia imdiriale nata con lo sviluppo del commercio.

Anche Pisa nell’XI secolo divenne Repubblica marinara. La città, prima che l’Arno e il Sarchia con i loro depositi modificassero la linea di costa, era situata sull’Arno nei pressi della foce, dove esisteva un’ampia pianura alluvionale con diversi approdi e attracchi che formavano un sistema portuale ben articolato, il Portus Pisanus, che consentiva di alimentare un traffico commerciale

tra il Tirreno e, attraverso il fiume, i centri dell’interno fino a Lucca. Queste strutture portuale vennero poi potenziate cin la costruzione di un porto idoneo a sostenere un maggiore traffico, favorendo la nascita della Repubblica marinara di Pisa nell’XI secolo..

Questa espansione  allarmò le altre città marinare, soprattutto Genpvs, che aveva il controllo dei traffici nel Tirreno e nel 1284, nella battaglia navale di Meloria Genova sconfisse Pisa, distruggendo l’intera flotta. Per Pisa iniziò un lento declino anche perché la riduzione dei traffici non consentiva più di curare la costosa manutenzione dell’area portuale, che si trasformò in un acquitrino. Nel 1406 Firenze occupò Fisa entrando dalla PortaSanMarco.

Nel XIII secolo restavano soltanto le Repubbliche marinare di Genova e Venezia, entrambe nate sfruttando le occasioni offerte dalle Crociate.

Genova fino al IX secolo era un piccolo borgo di pescatori, molto povero e quasi disabitato, svuotata dall’emigrazione di molta part della popolazione verso l’Argentina. Quelli che restarono erano abili marinai coraggiosi.

Papa Urbano II nel 1099 diede inizio alle Crociate per la riconquista di Gerusalemme e già da qualche anno aveva cominciato a organizzarla cercando navi e marinai. Si offrirono i marinai genovesi, che si occuparono anche della ricerca delle navi, nonostante non avessero dimestichezza con la navigazione su lunghe distanze. Sfruttarono però l’occasione  per farsi cedere un vasto territorio bizantino dove far nascere le basi commerciali per dare inizio a una nuova attività. E’ l’inizio di Genova come Repubblica marinara, entrando in concorrenza con Venezia , specialmente quando genoa colonizzò il Mar Nero, facendolo diventare un “lago genovese”.

Venezia controllava i Balcani, dove aveva molte basi, perché il mare Adriatico aveva una forte valenza geopolitica per la sicurezza dei suoi velieri nel commercio con l’Oriente.

Nel  1202 papa Innocenzo III organizzò una Crociata a cui partecipò anche l’esercito veneziano, che non si fermò in Dalmazia ma raggiunse Costantinopoli occupandola e Venezia si separò all’impero bizantino divenendo uno stato autonomo. La  Serenissima per oltre settant’anni controllò Costantinopoli e in questo periodo si intensificarono i traffici con l’Oriente e per a città che dal VII secolo percorreva il Mediterraneo districandosi tra arabi e  bizantini, la concorrenza di Genova era un problema da risolvere. La battaglia decisiva avvenne a Chioggia quando Genova assediò Venezia, ma Venezia seppe reagire e la guerra si concluse con la Pace di Torino nel 1381.

Ma per Genova il Quattrocento fu l’inizio del declino tra lotte interne tra Guelfi e chi gurdava al Sacro romano impeto, tra aristocratici e nuova borghesia. Cambiò anche lo scenario geopolitico globale, con i Turco-mongoli che controllavano le vie di comunicazione determinando la riduzione dei t che  si ridussero ulteriormente con la scoperta dell’America. Nella prima meta del Cinquecento  le guerre italiche, combattute tra Spagna e Francia per il dominio sull’Italia,  destabilizzarono il quadro politico, con Genova che era contesa da Francia e Spagna, e  Genova che s  scoprì contesa dalle due potenze, si trovò invece nel 1625 sotto il dominio dei Savoia.

Genova perse i traffici mediterranei ma sviluppò un’altra  funzione, quella finanziaria  una nuova funzione, quella finanziaria, e divenne uno dei centri bancari più favosi che le consenti di aprire una nuova fase di sviluppo, divenendo attrattiva anche per investimenti nel campo delle assicurazioni.

Per Venezia l’arrivo di Carlo V in Italia non ebbe gravi conseguenze perché rimase autonoma fno al 1797 quando venne annessa all’impero assicurativo e dei traffici transatlantic

Le Repubbliche marinare contribuirono ad aumentare le conoscenza geografica e cartografica del Mediterraneo, introdussero in Italia innovazioni come la bussola magnetica a opera dell’amalfitano  Flavio Gioia. Erano espressione della rinascita delle città e traevano la loro  forza politica ed economica dal controllo delle vie marittime e dai commercio internazionali..

Hanno introdotto in Europa preziose merci altrimenti sconosciute, veicolavano nuove idee e notizie su paesi lontani, esercitando anche  un’influenza culturale in tutto il Mediterraneo.

Sul piano cartografico hanno influenzato lo sviluppo della cartografia nautica. Famosa è la cosiddetta Carta Pisana perché ritrovata a Pisa, un portolano che risale alla fine del XIII secolo, che raffigura il Mar Nero, il Mediterraneo e la costa atlantica fino all’Olanda, ossia le coste frequentate dalla Repubbliche marinare.

Le Repubbliche marinare, insieme alle autonomie comunali e alle Signorie, rappresentano un raggio di Sole nel buio di un’Italia dominata da potenze straniere.

Nel XIII secolo i Comuni attraversarono  un periodo di lotte intestine che alla fine si conclusero con l’assunzione del potere da parte di un Signore. Nacquero così le Signorie,                                                     un fenomeno che si sviluppò  nell’Italia centro-settentrionale,  basato sull’accentramento del potere comunale , appunto, sul Signore, avente carattere ereditario anche se scelto con una elezione popolare.

Le più importanti   Signorie furono  quelle   dei Visconti e degli Sforza a Milano, dei Medici  a Firenze,  dei Gonzaga a Mantova,  degli estensi a Ferrara, dei Malatesta a Rimini, dei Savoia nel canavese.

In un quadro di instabilità politica, le famiglie più potenti cercarono di organizzarsi per difendere e consolidare il proprio potere  anche con la forza per strutturarsi come stai regionali. La loro notevole ricchezza venne investita  in castelli, palazzi nobiliari, monumenti e, soprattutto, nella cultura  Questi “Signori” furono i protagonisti del Rinascimento italiano.

Questo rinascimento non si ebbe nel Mezzogiorno continentale e in Sicilia,   dominate da potenze straniere.  Dopo la caduta dell’impero romano, si sono alternati al potere Ostrogoti,  Bizantini,  Arabi, Normanni, Svevi, Aragonesi  e infine  i Borboni,  fino all’Unità d’Italia. E se Arabi, Bizantini e Normanni  e Svevi lasciarono tracce indelebili sul piano  economico, urbanostico-architettonico               economico, urbanistico-architettonico  e culturale, i Borboni usarono il Mezzogiorno come una colonia. Il simbolo di quel periodo è la Palermo dell’XII-XIII  secolo, città culturalmente vivace e affascinante, né europea né orientale, espressione di un Paese pieno di ambiguità e altrettanto opaco. Allora come anche oggi.

L’ultima casa regnante è stata quella dei Borboni, che ha governato il Mezzogiorno con una alleanza di potere con i feudatari, lasciando il popolo nella miseria. Anche in Sardegna si sono alternate potenze straniere che l’hanno sempre considerata una terra aspra e marginale, tanto che i Savoia non la volevano.

Se oggi nel nostro Paese è scarsamente diffuso il  senso dello Stato  e dell’etica pubblica è proprio conseguenza di una Terra che per secoli è stata dominata da potenze straniere che i cittadini hanno sempre considerate come invasori avidi e corrotti, ma,  nello stesso tempo,  adulatori disponibili a  mostrarsi  sudditi, per convenienza.

La presenza straniera è la cifra della storia d’Italia, un territorio dove dal 1500 in poi si sono alternate  come dominatori francesi, spagnoli e austriaci.

Le guerre, di successione o di conquista, si sono sempre concluse con una tregua e una pace, una partita a scacchi in cui i territori venivano “donati”, come birilli,  a una potenza e poi a un’altra, secondo il peso politico dei protagonisti. Apparentemente diverso il quadro politico-sociale nel centro-nord,  perché le autonomie locali avevano dato un peso politico al territorio e identità ai cittadini, creando un substrato culturale dove le Signorie avevano avuto peso politico, economico  e culturale tra la fine del Medioevo e l’inizio dell’età moderna con il Rinascimento, un movimento storico-culturale che ha consentito, grazie anche al mecenatismo della  nobiltà, di godere della  presenza di artisti, intellettuali, letterati di livello universale che hanno reso l’Italia culturalmente prestigiosa a livello internazionale, creando una condizione favorevole per lo sviluppo economico e civile, in particolare dopo l’unificazione del Paese.

Nonostante questa parentesi positiva, le guerre hanno continuato a devastare il Paese, fisicamente e moralmente. Le guerre italiche (1499-1505) videro protagoniste sul nostro territorio  la Francia di Luigi XII e la Spagna di Ferdinando II d’Aragona per la conquista del Regno di Napoli e il Ducato di Milano, mentre il Granducato di Toscana era governato da Leopoldo II d’Asburgo Lorena. Ancora un episodio di spartizione dell’Italia tra le grandi potenze d’Europa. E all’instabilità politica si era unito  anche  un periodo di crisi economica, conseguenza di carestie, pestilenze, crisi demografica e guerre religiose che hanno caratterizzato il Basso Medioevo.

Neppure la scoperta dell’America riuscì a distogliere l’interesse delle grandi potenze dall’Italia.

La conquista  dell’America è stata una occupazione straniera e predatoria di un continente, esercitata con la forza delle armi,i che ha favorito  scambi economici ma non culturali perché sono stati distrutti o cancellati popoli e culture pre-colombuane. Ha però determinato cambiamenti epocali di natura geopolitica cin lo spostamento del baricentro politico wd economico dal Mediterraneo all’Atlantico, ha allargato l’ecumene e ha dato inizio al relazioni su vasta scala avviando un processo di globalizzazione che diventerà esplosivo nel Novecento.

Nonostante  si siano modificati gli interessi politici ed economici delle grandi potenze europee, sono continuate le guerre, soprattutto quelle  di successione n Europa per l’egemonia sulle vie marittimi, mentre nelle Americhe le guerre furono  tutte  di espansione a danno della popolazioni indigene e con le potenze straniere, in particolare Francia e Inghilterra.

Anche se inizialmente la Spagna aveva cominciato a occupare territori eridionali dell’America de Nord, successivamente si concentrerà, insieme al Portogallo nell’America centro-meridionale. L’Inghilterra  istituì la prima colonia nel 1641 estendendo il suo dominio lungo la costa atlantica settentrionale fino a formare le 13 colonie che raggiungeranno l’indipendenza dalla madrepatria nel 1776, dando origine agli Stati Uniti d’America, dando inizio alla conquista del Far West:

La Francia iniziò l’avventura coloniale nel 1534,occupando il Quebec ed estendendo il suo dominio dal Labrador  al  Golfo del Messico e  alcune isole caraibiche. Ma

quando conquistò  nel 1682 la Louisiana cominciò ad entrare in conflitto con le comunità locali ma   il suo espansionismo allarmò l’Inghilterra con la quale entrò in conflitto anche con guerre in Europa. Decisiva fu la sconfitta che la Francia subì   nella guerra dei Trent’anni, che sancì la fine del sogno francese di fondare la Nuova Francia in America.

Anche gli olandesi diedero vita a colonie lungo le coste del Venezuela, conquistando Salvador e Recife e alcuni possedimenti portoghesi nella regione di Pemamuco, grazie anche ai Nativi in contrasto con i portoghesi.

Si può certamente dire che l’America è un prodotto europeo, specialmente se si pensa alle ondate migratorie europee nel periodo  seconda metà dell’Ottocento fino all’inizio della prima guerra mondiale E un contributo notevole a rendere ricca le Americhe l’hanno dato anche gli schiavi africani.

Dopo la caduta dell’impero romano e le invasioni barbariche l’Europa visse un periodo di decadenza e di disordine e

soltanto dopo l’anno Mille  in Italia e in Europa si ebbe un profondo cambiamento con la Rinascita delle città e il risveglio del commercio.

Questa favorevole  situazione  viene colta soprattutto dalle città che si affacciano sul mare, più pronte                                                                                                                                                                                per attivare traffici commerciali a vasto raggio, grazie ai quali riuscirono a raggiungere una condizione di floridezza economica molto consistente tale da avere un peso non solo economico ma anche politico..

Nascono così in Italia le Repubbliche marinare: Amalfi, Pisa, Genova, Venezia, tutte dotate di  consistenti flotte commerciali, idonee alla navigazione su lunghe distanze ma anche per contrastare  eventuali attacchi di pirateria da parte dei Saraceni e  quelli arabi che detenevano il  dominio arabo dei mari.

Sono città che godevano di ampia autonomia politica e organizzativa,  governate dalle famiglie dei mercanti,  che cominciarono ad aprire in tutto il Mediterraneo basi   commerciali e  uffici di rappresentanza.

La Repubblica di Amalfi fu la prima ad affermarsi nei traffici nel Mediterraneo. Importava dall’Oriente tessuti ed esportava olio e ceramiche. Aveva rapporti intensi con Costantinopoli  ed emanò le Tavole Amalfitane,  un codice di diritto nautico riconosciuto fino al XVI secolo. Fu però anche la prima ad andare in crisi, a causa dell’arrivo dei Normanni nell’Italia meridionale.

Genova e Pisa erano molto influenti in Liguria e in Toscana, sottrassero ai Bizantini  le isole  del Tirreno, ma  erano sempre in competizione tra di loro  per il controllo dei traffici tanto che  nel 1284 entrarono anche  in aperto  conflitto e Genova sconfisse i Pisani, distruggendo la loro flotta.

Le relazioni commerciali di Genova erano a vasto raggio, aveva basi commerciali in Corsica  e Sardegna, in Africa settentrionale, Tripoli, Tunisi, Alessandria d’Egitto, Cipro, Anatolia,  Nicea e in tutto il Regno di Napoli.

Venezia fu la più potente e longeva  fra le quattro repubbliche e  anche  quella che durò più a lungo, al 697, quando era città-stato governata da un doge,  fino al 1797,  quando fu ceduta agli austriaci.

Venezia era una vera regina dei mari, aveva rapporti commerciali   con  il Veneto, la Lombardia,  il Friuli Venezia Giulia e  dominava i traffici nell’Adriatico e aveva numerose basi nei Balcani e nel XV secolo aveva esteso i suoi possedimenti su  sull’Istria e sulla Dalmazia  e controllava  l’isola di Pago, Cittanova, Vrana,  Trau, Spalato, Almissa e le isole di Brazza, Lissa e Curzola, tutte località dove ancora oggi sono evidenti le tracce della cultura veneziana, soprattutto nell’architettura.

Nel   Mediterraneo aveva intensi rapporti con l’Impero Bizantino, basi in Tessaglia e sul Mar Nero, a Gibilterra e sulle isole dell’Egeo.

Gli scambi di merci erano intensi, interessavano i prodotti alimentari e dell’artigianato, il vetro di Murano e con lo sviluppo dei traffici crebbe anche  l’attività manifatturiera.

Altre importanti città  marinare erano nel XII secolo Ancona, Gaeta, Ragusa, Noli, Trani.

Tutte contribuirono allo sviluppo della navigazione e  delle conoscenze geografiche con informazioni sulla portualità, diffondendo nuove idee così  favorendo lo sviluppo culturale   e i rapporti tra popoli di culture diverse. Le città marinare controllarono i traffici  nel Mediterraneo fino al XV  secolo.

Le Repubbliche marinare contribuirono ad accrescere la conoscenza geografica, soprattutto delle aree costiere del Mediterraneo perché fino all’ XV secolo il mondo conosciuto era quello

lasciato dalla cultura ellenica, i cui documenti erano anche  andati  dispersi  o disponibili in copia unica perché  non ancora duplicati  dagli amanuensi, figura apparsa nel XIII secolo, nei monasteri.

La stessa Geografia di Tolomeo, risalente al II secolo a.C.  era divenuta accessibile  al mondo europeo di lingua non greca soltanto intorno al 1410, quando   una traduzione in latino dell’opera venne consegnata al Papa  Alessandro V,  e soprattutto quando nel 1482  apparve  una  edizione latina   pubblicata a Bologna.

Nella sua Geografia Tomeo pose le basi tecniche della Geografia “matematica”, disegnò carte  dell’intero mondo allora  conosciuto, riportò  un elenco  di 8000 località con le loro latitudini e longitudini, utilizzando per la prima volta le coordinate geografiche per la identificazione dei luoghi, che consentivano di  tracciare le rotte marittime, metodo poi utilizzato dai naviganti, rendendo la navigazione più sicura. Inoltre, affermò la sfericità della Terra,  già immaginata da Pitagora  nel VI-V secolo a. C.

Tolomeo per i suoi studi si rifà al cartografo greco Marino di Tiro e alle informazioni dei naviganti.

L’Ecumene  del xv secolo è limitato all’Europa, all’Africa settentrionale, al Medio Oriente e  all’India,  grazie ad alcuni mercanti italiani  che la raggiunsero   nel 500.

Dopo l’anno Mille, la crisi della Chiesa indebolì sia il papato sia  il potere imperiale, un processo  iniziato già  nel 600 con i Longobardi.

I Longobardi, dopo la loro conversione al Cattolicesimo avevano stretto con la Chiesa una implicita alleanza di reciproco sostegno, a difesa dei propri interessi.

Con le Repubbliche marinare finì la centralità dell’Italia nel Mediterraneo, perché sia il Mezzogiorno che gli altri territori della penisola furono aree di attrazione di popoli stranieri, anche se alcuni hanno amministrato promuovendo innovazione.

Così fu in Sicilia che  dopo la caduta  dell’impero romano fu terra di conquista di popolazioni straniere,  Ostrogoti, Bizantini,  Arabi, che ne avevano fatto un territorio ricco, introducendovi nuove colture e attività produttive come l’artigianato  e abbellendo le città con opere di grande valore artistico.  Questo sviluppo attirò i Normanni, che invasero la Sicilia integrandola nel Regno   di Napoli . A Palermo i normanni costruirono  un prestigioso palazzo adibito a sede del potere, oggi sede della Regione Sicilia. Questo dinamismo continuò con il normanno-svevo Federico II il mecenate che investì in  attività  culturali e che aprì a Napoli una Università, l‘odierna Federico II.

E’ con i Borboni che iniziò nel Mezzogiorno un lungo periodo di decadenza che durò fimo all’Unità d’Italia, in realtà una decadenza che continuò sotto la “dominazione” piemontese..

Il secolo XII-XIII fu un periodo difficile per la Chiesa determinata da conflitti con gli imperatori corruzione, malcontento dei fedeli.

Questa  crisi morale  della Chiesa venne avvertita da  Francesco d’Assisi, che impose al recalcitrante papa  la sua Regola nel 1210 e da  Benedetto da Norcia, che fondò l’Ordine dei Benedettini (1218).

Questi movimenti religiosi sono nati in un contesto di  crisi religiosa e culturale, dall’oscurantismo medievale, di  chiusure verso il mondo arabo e bizantino e contro  l’aristotelismo. A questa chiusura si contrapposero i monasteri, che divennero  luoghi di cultura e di conservazione dei documenti e delle  opere del passato e nel campo letterario il risveglio venne con il Dolce Stilnovo, che rinnovò la poetica siciliana togliendo la musica per renderla  poesia come godimento intimo.

Furono quegli anni  anche un periodo di transizione che porterà alla nascita dell’Umanesimo, i cui precursori furono Boccaccio e Petrarca, che riscoprirono la cultura classica, e il Sommo poeta Dante Alighieri, il padre della lingua italiana, che nella Divina Commedia invita gli uomini ad avere fiducia nella Speranza, nel Mondo, nella vita come percorso virtuoso, seguendo la morale e la ragione.

E’ una caratteristica italiana quella di dare risposte alle crisi, anche a quella del Trecento, causata da peste, carestia, crisi demografico e calo della produzione agricola, cioè dare risposte  a un periodo di impoverimento della popolazione  col risveglio della cultura come strumento  per trasmettere fiducia nel futuro. Un futuro di fiducia e di prosperità  che, in effetti, arrivò nel Cinquecento, un secolo che segnò  la fine del Medioevo e la scoperta dell’America, che determinò grandi trasformazioni,  nuove scoperte e nuove conoscenze, anche nel campo geo-cartografico, perché fino ad allora il mondo conosciuto era quello attorno al Mediterraneo, come  si  evince  dalla “Geografia” di Tolomeo e dall mappamondo di Ebstorf, ritrovato nel 1843 in un convento ma distrutto da un bombardamento nel corso del secondo conflitto mondiale.

La conquista  dell’America è stata una occupazione predatoria condotta da potenze europee esercitata  con la forza delle armi per produrre ricchezza alla madrepatria e ai conquistatore attraverso l‘attivazione di scambi economici ma non culturali perché sono stati distrutti o cancellati popoli e culture pre-colombiane senza effettuare nessuna politica di integrazione. La scoperta è stata, tutava, un evento  che ha determinato cambiamenti epocali di natura geopolitica, in particolare lo spostamento del baricentro politico ed economico dal Mediterraneo all’Atlantico, l’allargamento dell’ecumene, l’attivazione di nuove relazioni che hanno dato inizio a nuovi scambi  economico-politici  su vasta scala, avviando quel processo di globalizzazione che diventerà esplosivo nel Novecento.

Nonostante  si siano modificati gli interessi politici ed economici delle grandi potenze europee, sono  comunque continuate quelle guerre interne al continente europeo determinate dagli stessi motivi di sempre, guerre  di successione e guerre  di espansione per controllare i territori strategici del continente finalizzate ad acquisire l’egemonia politica e quindi economica in Europa. Nel continente  americano, invece, le guerre venivano combattute per espandere il dominio territoriale delle colonie, a   danno                                                                                                danno delle popolazioni indigene,  che venivano costrette nelle aree marginali se non addirittura annientate. Ma scoppiavano guerre anche tra le potenze europee, in competizione sul territorio americano,  in particolare tra Francia e Inghilterra  per allargare le proprie sfere di influenza.

Anche se inizialmente la Spagna aveva cominciato a occupare territori meridionali dell’America de Nord, successivamente si concentrerà, insieme al Portogallo, nell’America centro-meridionale per lo sfruttamento delle risorse e,  come  autogiustificazione, per civilizzare i nativi e convertirli al cristianesimo, così si accontentava anche il papato.. La famosa politica della esportazione della democrazia, che sarà adottata nell’Ottocento contro i popoli dell’Asia e dell’Africa.

I primi colonizzatori  nelle Americhe sono stati i Portoghesi e gli Spagnoli, paesi che già avevano raggiunto l’unità nazionale. . L’Inghilterra  istituì la prima colonia nel 1641  in Virginia, estendendo poi il suo dominio lungo la costa atlantica settentrionale fino a formare le 13 colonie che raggiunsero l’indipendenza dalla madrepatria nel 1776, dando origine agli Stati Uniti d’America e successivamente  alla conquista del Far West:          

La Francia iniziò l’avventura coloniale nel 1534, occupando il Quebec e poi si estese nella parte orientale dell’America settentrionale, in alcune isole canadesi e nei Caraibi. Lo scopo ea quello di sfruttare le risorse agricole e minerarie ed esportare in America manufatti.

Quando conquistò  nel 1682 la Louisiana cominciò ad entrare in conflitto con le comunità locali, ma   il suo espansionismo allarmò l’Inghilterra, con la quale entrò in conflitto anche con guerre in Europa,  per la competizione   sul dominio marittimo. Decisiva fu la sconfitta che la Francia subì   nella guerra dei Trent’anni, che sancì la fine del sogno francese di fondare la Nuova Francia in America e la consacrazione dell’Inghilterra come potenza marittima.

Anche gli olandesi diedero vita a colonie commerciali lungo le coste del Venezuela, conquistando Salvador e Recife e alcuni possedimenti portoghesi nella regione di Pemamuco, grazie anche ai nativi che, essendo  in contrasto con i portoghesi per la loro aggressività, si schierarono a favore degli olandesi.

Si può certamente dire che il continente americano è un prodotto europeo, specialmente se si pensa alle ondate migratorie europee nel periodo  che va dalla seconda metà dell’Ottocento fino all’inizio della prima guerra mondiale. E non bisogna dimenticare che, oltre ai migranti europei,  un contributo notevole a rendere ricche le Americhe l’hanno dato anche gli schiavi africani.

La conquista  dell’America è stata una occupazione straniera di tipo  predatori di un continente che poi si è scoperto essere ricco di risorse, anche sconosciute, come alcuni prodotti alimentari, agli europei e solo in questo senso si può parlare di scambi culturali.

Alla fine dei conflitti combattuti  nel nuovo continente dai paesi europei per la conquista dei  territori ha portato, in particolare a seguito degli ingenti flussi di immigrati che hanno disegnato un’America multietnica e multiculturale, sono però anche    spazi a cui le diverse comunità hanno dato una specifica identità che richiama elementi di quella cultura dei paesi di origine,  forse per non dimenticare la loro patria.

A livello macro la distribuzione degli immigrati  nel continente ricalca le sfere di influenza disegnate al tempo dei conquistatores e ciò ha contribuito alla formazione di comunità diverse, ma ben individuabili dal punto di vista etnico-culturale nella caratterizzazione che è stato dato allo spazio privato, che richiama elementi identitari della cultura di origine, senza che questo sentimento confligga  con il sentirsi comunque cittadini italiani  Lo strano, invece, ò un altro aspetto, forse più psicologico. Tutti i migranti, o quasi tutti, sono entrati in America da clandestini e pieno piano si sono inseriti, diventando, anche imprenditor o comunque benestanti. Oggi si avverte  in particolare negli Stat Uniti, specialmente con l’arrivo alla Casa Bianca di Trump un sentimento di avversione verso i nuovi immigrati, che vengono visti come “invasori” Un vero rigurgito di egoismo territoriale che it ifa rifiutare l’altro e  ogni sentimento di fratellanza  e di solidarietà umana.

Se consideriamo che Il ricordo del paese di origine è sempre vivo, anche in quelli di seconda e terza generazione, tanto che ritornano anche più volte nella vita per cercare tracce del proprio passato, perché, pur consapevoli  delle difficoltà dell’integrazione, perché quasi tutti sono entrati da clandestini  in America, questo passato difficile non aiuta a comprendere  e a  considerare che il nuovo migrante è anche  un nostro  fratello che ha bisogno di aiuto.

Il rifiuto dell’altro è un fenomeno iniziato in America e poi si è diffuso in Europa, modificando anche i comportamenti elettorali. Rappresenta un pericolo per l’Europa e per tutto l’Occidente, dove si sono affermati dalla seconda guerra mondiale i valori di libertà, di democrazia, di fratellanza, di solidarietà, che sono anche i valor della Rivoluzione francese e anche di quella americana, una nuova cultura che rischia di trascinarci nella barbarie. condizionando anche le scelte politiche, un rischio per i valori che caratterizzano l’Europa, che sono quelli della Rivoluzione francese e, in fondo, anche quelli della Rivoluzione americana.

La politica di Trump rischia di modificare il DNA di un continente che o stato sempre  luogo di convivenza di popoli e culture diverse, guardato sempre come modello di integrazione, dove poter realizzare il sogno americano. Due continenti uniti dalle migrazione che hanno fatto l’America, legati anche dai sacrifici che le forze angloamericani hanno fatto per restituirci la libertà e pensare che oggi la Casa Bianca sta avviando un percorso illiberale e di appoggio  a Paesi che non rispettano il diritto internazionale, che semina il disordine internazionale non c’è altro da fare che invitare l’Europa tutta ad assumersi la responsabilità di essere la frontiera della Libertà-

Pur essendosi verificata tra XI e XII secolo una fase di crescita demografica e di sviluppo economa, tuttavia durante il Basso Medioevo l’Europa è  continuata a essere teatro di guerre, di crisi demografiche, di carestie e di peste

Nel 610 il profeta  Maometto ricevette la Rivelazione sul monte Hira e da quel momento nasce una nuova religione, l’slam, abbracciata subito da pastori nomadi del deserto, che diventano stanziali e  danno  inizio a migrazioni  nel Mediterraneo e verso l’Europa, dove convivono pacificamente con altre popolazioni di diversa fede.

Su sollecitazione di Papa Urbano II, nel 1096 ebbe inizio la prima crociata contro gli  infedeli, dando inizio alle Crociate, la prima della quale, iniziata nel 1092, si concluse  nel 1099 con la conquista di Gerusalemme.

Altre ne seguirono fino al XIII secolo, con l’obiettivo di liberare Gerusalemme e la Palestina dai turco-musulmani. Furono guerre di religione caratterizzate da cruenti battaglie, massacri di ebrei, e saccheggi, che si conclusero nel 1272 con la vittoria del musulmani, che con Saladino avevano già riconquistato Gerusalemme   nel  1187.

Continuò anche la crisi della Chiesa, dilaniata  al suo interno, accusata di corruzione per la vendita delle indulgenze e dalla querelle tra papato e imperatore per le investiture, una crisi che durò fino al XV secolo, ma che già nel XI-XIII secolo aveva dato luogo alla rinascita del monachesimo e al formarsi di movimenti che combattevano la Chiesa dall’esterno.

Eppure, nell’XI secolo, papa Gregorio VII con la sua riforma cercò di rompere il legame tra potere temporale e potere spirituale, riportando la Chiesa sotto il controllo del papa.

Furono  San Francesco d’Assisi e i monasteri cistercensi, che si rifacevano alla Regola di San Benedetto, a  impegnarsi nel riformare la Chiesa dal suo interno.

Esistevano monasteri in Oriente ,già nel IV secolo, in Occidente cominciarono ad apparire nel VI secolo, soprattutto per merito di San Benedetto da Norcia, che ne fondò uno a Subiaco e poi quando si trasferì a Cassino, dove fondò l’Abbazia di Montecassino. Molti furono i monasteri che vennero fondati successivamente in tutta Europa. Nel monastero si formò, alla fine del XII secolo un movimento di riforma  ecclesiale  rinnovò l’ordine benedettino,  che poi si diffuse in tutta la Chiesa.

Fu un rinnovamento che durò poco. La mancanza di monaci, la difficoltà di gestione, la severa vita monastica  determinarono la decadenza delle abbazie, che vennero affidate in commenda a famiglie potenti locali, che le usarono per i loro esclusivi interesso.

Ben diversa la “rivoluzione” spirituale  di San Francesco d’Assisi, animato dal suo amore per ogni creatura, diede vita a un movimento di rinnovamento di rinnovamento della Chiesa, che è durato nei secoli, lasciando tracce indelebili.

San Francesco, un laico penitente, figlio di una ricca  famiglia, si spogliò di tutti i suoi beni  pei   abbracciare la povertà pe servire la Chiesa, fondò nel 1223 l’Ordine dei mendicanti e impose al

recalcitrante papa Onofrio III la sua Regola cambiando la storia della Chiesa e dell’Umanità, in un periodo in cui il papato dava il suo migliore impegno a curare il suo potere temporale

Il XIV  secolo fu un periodo di profonda crisi, politica, economica, sociale e soprattutto demografica, che colpì l’intera Europa

Le cause principali furono le carestie dovute a due annate di ridotta produzione agricole (1313 e 1317) e l’epidemia di peste del 1348, che durò fino al 1352, causando  20-30  milioni d vittime, impoverendo la popolazione, devastando l’Europa medievale.

Ebbe origine in Asia centro-settentrionale e si diffuse in Europa, attraverso i mercanti e i soldati mongoli.

La pandemia trovò la popolazione indebolita dalla carestia che fu causata da un brusco cambiamento climatico che causò clima arido e freddo a cui seguì un periodo di intense piogge che distrussero i raccolti.

Non capendo la sua origine, la popolazione attribuì la responsabilità agli ebrei, scatenando la caccia all’untor, che provocò ulteriori morti e fece nascere nuovi movimenti religiosi, come quello de flagellanti.

La peste causò l’abbandono dei centri rurali e le città subirono la decadenza e la produzione artigianale si arrestò per carenza di lavoratori.

Anche in Italia la peste si diffuse , in maniera tragica nel 1348, diffondendosi su tutta la penisola. Ispirò il Boccaccio ,che la descrisse nel Decameron, E Manzoni che dedicò ben due capitoli ne’ I Promessi Sposi alla peste di Milan del Seicento..

La peste  non fu un episodio passeggero perché ritornerà nei secoli successivi fino al ‘700.

Ma nel XIV secolo l’Europa fu anche  teatro di una lunga guerra, detta dei  “Cent’anni” iniziata nel \337 e terminata nel 1453, combattuta tra  Francia e Inghilterra svoltasi  in diverse fasi coinvolgendo altri paesi, scoppiata per motivi ereditari, perché il re d’Inghilterra, vassallo del re di Francia, aspirava alla corona francese. Finì con la sconfitta dell’Inghilterra e l’espulsione  degli inglesi da tutti i territori francese, con l’eccezione di Calais.

Il XV secolo fu un periodo di transizione, di consolidamento delle grandi monarchie europee, , della fine delle Signorie e l’inizio delle guerre italiche  (1499-1559). Ma l’evento più importante del XV secolo è la scoperta dell’America da parte  di Cristoforo Colombo

Le guerre italiche sono, ancora una volta, guerre di successioni, che poi diventarono   anche guerre di religione, combattute sul territorio italiano.

Fu la Francia a iniziare il conflitto perché rivendicava diritti ereditari sul Ducati di Milano e sul Regno di Napoli, un conflitto che presto divenne europeo perché si creò un’alleanza contro la Francia formata Inghilterra, Spagna,  Sacro Romano Impero, impero ottomano, il Ducato di Milano e la Repubblica di Venezia e alcuni stati regionali italiani, riuniti nella “Lega di Venezia” Dopo alcune vittorie e sconfitte  che avevano assegnato  lo stesso  territorio una volta a una potenza e un’altra volta a un’altra potenza, l’assetto definitivo dell’Europa e dell’Italia fu il seguente. e vittorie la guerra si concluse con il ridisegno degli equilibri politici in  Europa,  con il trattato di pace di Cateau-Cambrésis del 1559:

Ancora una volta furono le grandi potenze a decidere cosa fare per l’volta entrò in gioco anche il papa Giulio II, che con due diverse alleanze condizionò non poco le decisioni finali.

L’Italia purtroppo  era debole perché frammentata,  una popolazione rurale, ma non solo,  apatica e  sfiduciata e la morte di Cosimo de’ Medici, che aveva favorito una politica di equilibrio, l’aveva resa ancora più debole.

Nel 1498 morì Carlo VIII e gli successe Luigi XII, che vantava diritti sul Ducato di  Milano e fu questa pretesa che scatenò la guerra.

Alla fine della guerra la  Spagna ebbe il dominio sulla Toscana, sul Ducato di Milano,  sul Regno di Napoli e le due isole di Sicilia e Sardegna, che  nel 1720 passò ai Savoia, insieme alla Savoia e il Piemonte, a Francia conservò la Lombardia e ottenne anche Calais- e alcuni vescovadi, la Corsica andò alla Repubblica di Genova.

Il papa Giulio II rafforzò lo Stato pontificio nelle Marche e in Romagna a spese della  Repubblica di Venezia.

La  Spagna conservò la parte meridionale della penisola, alleandosi con l’aristocrazia feudale per conservare il potere, lasciando il popolo nella miseria, e arricchendosi con le tasse dei ceti produttivi. Una politica disastrosa che poi continuerà ancora con i Savoia, dopo l’Unità d’Italia.. La sola Francia alla fine fu la vera sconfitta.

Nel Cinquecento un altro episodio cambiò la storia della Chiesa, che influenzò la vita sociale in tutta Europa: la riforma protestante dell’agostiniano Martin Lutero che, nel 1517, affisse le sue 95 tesi sul portone della Chiesa di Wittemberg, in Germania., con le quali condannava la corruzione e lo spreco di risorse della Chiesa di Roma, provocando uno scisma tra la Ciesa di Roma e le Chiese riformante d’Europa, facendo nascere il protestantesimo, che si diffuse a partire dal  1521 in Germania e oi in Austria, Olanda, in Svizzera e in Svezia.

La Riforma cambiò radicalmente gli ordinamenti cattolici,  in particolare  quello relativo al ruolo del sacerdozio universale perché non c’è bisogno di intermediazione perché tutti sono responsabili della propria fede  e la salvezza dipende solo dalla fede e non dalle opere, ossia dalle offerte.

La Riforma luterano non cambiò solo i principi e le regole del rito cattolico, ma ebbe molti risvolti  sulla società, perché emersero come fondamentali altri valori come la verità, la libertà, la giustizia, la pace, la carità, ma soprattutto la responsabilità personale, un nuovo concetto della ricchezza e del lavoro buono.

Il protestantesimo crede che l’uomo sia predestinato da Dio e ognuno può rendersi coto di esserlo con il lavoro buono, col successo, con l’arricchimeno, ma la ricchezza non deve essere un fine ma un mezzo per creare nuovo lavoro e benessere diffuso.

Secondo Max Weber la riforma protestante ha dato  origine alla rivoluzione industriale e ha diffuso una nuova morale, l’Erica protestante, pssia , cioè la correttezza nei rapporti e l’onesta, essere uomo risoluto  e responsabile verso se stesso, la società  e il suo Dio..

Purtroppo la Chiesa romana rispose alle sollecitazione della Chiesa luterana con la Controriforma, si limitò a istituire i seminari per formare i sacerdoti, obbligò i vescovi a risiedere nella Diocesi, a imporre il latino come lingua ufficiale della Chiesa, ma nulla si fece per reprimere la corruzione, il lusso, lo spirito mondano. Per avere un papa che professa una Chiesa povera e che prende il nome di Francesco per la prima volta, abbiamo dovuto attendere otto secoli.

 

  1.     La scoperta dell’America e i nuovi equilibri geopolitici

Ma è la scoperta dell’America che determinò grandi cambiamenti, che cambiò il tempo e lo spazio, segnando il passaggio dall’età medievale all’età moderna, anche se penso che la modernità arrrvi nella seconda metà del Seicento, quando la scienza prende il posto dei pregiudizi.

Quando Colombo approdò, il 12 ottobre 1492, dopo tre mesi di navigazione, approdò sull’isola di Guanahani, che chiamò S. Salvador, pensava di aver raggiunto il Cipango, ossia il Giappone e solo nel 1507 Amerigo Vespucci capì che Colombo aveva scoperto un nuovo continente, l’America.

La ricerca  di una nuova via per le “Indie” era una esigenza per l’Europa, considerato che la Via della Seta era ormai difficile da percorrere a causa della presenza araba nel Medio Oriente e Colombo era convinto  che navigando verso Occidente si potesse raggiungere l’Oriente, convinto della sfericità della Terra. Erano stati i portoghesi per primi a intraprendere la circumnavigazione dell’Africa nel XV secolo. Nel 1487 fu il navigatore Bartolomeo Diaz a raggiungere il Capo di Buona Speranza ma il viaggio per le “Indie” era lungo e difficile. Bisognerà attendere il 1869, anno in cui venne aperto alla navigazione il Canale di Suez per avere un collegamento rapido tra i Mar Rosso e il Mediterraneo.

La scoperta dell’America ebbe conseguenze a livello globale, si allargò l’ecumene, si ampliarono le conoscenze geografiche, si sviluppò la cartografia, fino ad allora basata sulla Geografia di Tolomeo. Ma soprattutto iniziò uno scambio di prodotti tra l’Europa e l’America e iniziò la estrazione dell’oro, dell’argento e la coltivazione della terra, tutti beni che vennero esportati in Europa, rendendola ricca. Nel XVI secolo fu soprattutto la Spagna ad avvantaggiarsi delle ricchezze d’oltre Atlantico.

Dopo la scoperta dell’America si intensificarono i viaggi di esplorazione lungo la costa atlantica del continente , ma soprattutto aumentò la conquista dei territori da parte delle potenze europee,  che diedero vita a imperi coloniali.

Furono Spagna e Portogallo le principali potenze marittime dell’epoca a conquistare i territori dell’America centrale e meridionale e, per dirimere i conflitti tra le due potenza cattoliche, nel 14949                                                                                                                                                                                         il papa Alessandro VI  impose ai due stati la firma del Trattato di Tordesillas, il primo trattato di geopolitica che solo un papa di quel tempo poteva imporre. Si definivano così c le sfere d’influenza di Spagna e Portogallo attraverso una    linea virtuale, la raya, tracciata  a 100 leghe a ovest delle isole di Capo Verde, approssimativamente lungo il 46° meridiano.  A ovest di tale linea le terre spettavano alla Spagna, ad est al Portogallo. Al Portogallo, quindi, spettava anche il dominio  sulla parte orientale del Brasile, dove creò alcune colonie.

La conquista dell’America segnò l’inizio della colonizzazione delle potenze europee, condotta in maniera violenta,  che causò la scomparsa dei popoli indigeni e delle culture pre-colombiane.

Particolarmente violenti le parole  del cardinale spagnolo Bartolomeo de Las Casas,  che considerava gli indios “non figli di Dio” e quindi che potevano anche essere eliminati.

La scoperta dell’America ha introdotto al di là dell’Atlantico beni  sconosciuti alle popolazioni locali e viceversa, ha portato in Occidenti altri beni che non erano conosciuti in Occidente, dando origine alla scambio ineguale. Ineguale perché lo scambio non è mai stato di pari valore, avvantaggiando l’economia europea.

Non c’è stato neanche uno scambio culturale, perché è stata imposta la cultura occidentale. Ma se si considera che in entrambe le direzioni sono stati trasferiti prodotti alimentari sconosciuti, in questo senso si potrebbe parlare di scambio culturale perché sono cambiate le abitudini alimentari a livello globale, introducendo, in particolare in Italia, prodotti che hanno che sono stati utilizzati per creare la dieta alimentare, oggi identitaria della cucina dei paesi mediterranei.

Dall’America giunsero in Europa  i prodotti connessi alla flora e alla faun: castori, pappagalli, anatre, tacchini, visoni, pesce persico, piccioni, cervi, nutrie e, ancora, pomodori, patate, ananas, girasoli, mais, fagioli, farro, peperoni, caffe, cacao, cotone, oltre a oro e  argento:

Gli europei portarono nelle Americhe asparagi, cetrioli, carciofi, cavoli, lattuga, sedani, e poi la  mucca, il bue,  l’asino, il  cavallo, che ha fatto la storia del West, ma anche molte nuove malattie.

Con la conquista dell’America ha avuto inizio  un’altra modalità di scontro-incontro tra popoli diversi, perché nell’Antichità si invadevano i territori ma non si distruggevano le civiltà dei vinti non si imponeva quella dei vincitori, ma  a quella civiltà  ne seguiva un’altra che era frutto di i integrazione, che portava allo sviluppo di una nuova civiltà, anche più evoluta.

Con la colonizzazione dell’America iniziò, quindi,  un nuovo modello di occupazione territoriale,  basato sul controllo politico e sullo sfruttamento delle risorse del paese occupato. .

Lo scambio ineguale non è quindi solo commerciale, è basato su un rapporto di sottomissione e soppressione dei popoli, perseguito attraverso battaglie impari, fucili e munizioni da una parte e di frecce dall’altra parte, che mira non all’integrazione ma alla sostituzione etnico-culturale delle popolazioni locali

Portoghesi e spagnoli hanno operato con ferocia e violenza, sequestrando i terreni e ogni bene ao nativi, uccidendo uomini, donne e bambini, rendendosi responsabili di genocidio. Particolarmente feroci sono stati i conquistadores Hernan Cotés, che ha conquistato la città di Tenochrirlan e ha distrutto la civiltà Azteca e  Francisco Bizarro, che conquistò il Perù e  distrusse la civiltà Inca e fondò la città di Lima.

Un genocidio fu anche quando gli spagnoli occuparono la Florida nel 1539. E’ una logica imperialistica che nasce nel Cinquecento, si diffonde nell’Ottocento e usata ancora oggi per regolare i rapporti internazionali, basati sulla forza e non sul diritto o, almeno, sul buon senso.

Queste campagne di conquiste territoriali erano sempre autorizzate dai cattolicissimi sovrani europei per compiacere la Chiesa, gratificata con la promessa della evangelizzazione dei pagani e la diffusione del Cristianesimo.

La Chiesa nel Cinquecento stava vivendo una profonda crisi  e si presentava debole istituzionalmente e incoerente sul piano dottrinario, divisa in diverse chiese e sette dopo la Riforma luterana, alla quale la Chiesa   rispose con la Controriforma e nel Concilio di Trento(1545-1563)  non decise altro che ribadire la dottrina cattolica , condanna ogni altra dottrina. Si istituirono  i Seminari per la formazione del clero, venne dichiarato il a latino  lingua ufficiale della Chiesa anche nelle liturgie, e nel 1542 , con la Bolla Licet et initio, di papa Paolo III Farnese viene istituito il Sant’Uffizio, ossia  l’inquisizione romana universale.

Ben diversa la risposta alla crisi della Chiesa da parte del Cardinale Carlo Borromeo, arcivescovo di Milano, autentico riformatore della Chiesa.

Egli fondò seminari, costruì ospedali e ospizi, abbellì il Duomo, utilizzò il patrimonio familiare per aiutare i poveri, liberò la Chiesa dalle influenze della nobiltà lombarda e impose una nuova organizzazione delle strutture ecclesiastiche e per tutte queste opere venne anche “premiato” con un fallito attentato, evidentemente organizzato da chi non gradiva il rinnovamento della Chiesa.      Il Cinquecento è stato anche il secolo del Rinascimento, un fenomeno culturale, filosofico, artistico che si sviluppò tra la fine del medioevo e l’inizio dell’età moderna, tra la metà del XV secolo e rutto il XVI secolo, che favorì un fiorire di attività culturali, artistiche e filosofiche, che influenzò  a lungo le arti figurative, che interessò tutta la penisola ma ebbe il suo massimo splendore nel Rinascimento fiorentino, grazia a  Lorenzo de’ Medici, mecenate e politico, esponente di una  potente famiglia fiorentina, che nel 1478 subì la Congiura dei Pazzi,  organizzata da una famiglia di banchi, rivale deiriv Medici, organizzò un agguato nel Duomo d Firennze.l di banchieri fiorentini, rivale dei Medici e sostenuta dal papa che, per  abbattere l’egemonia politica e culturale dei Medici, organizzò un agguato nel Duomo di Firenze, che però non riuscì.

Nella Congiura morì  Giuliano ma non Lorenzo, che ordinò una spietata repressione contro i Pazzi, contro i quali si rivoltò tutta la città.

Il Rinascimento fu un’epoca  di cambiamento durante il quale maturò un nuovo modo di vedere il mondo e l’uomo. Nato in ambito letterario, finì poi per influenzare anche la Filosofia. In quel periodo si affermarono personaggi come  Leonardo da Vinci, Raffaello, Michelangelo, Donatello, Brunelleschi, Masaccio, che hanno dato lustro all’Italia con riconoscimenti internazionali.

Il Rinascimento trae spunto dall’Umanesimo, un movimento culturale che nacque nella fine del XIV secolo e si sviluppò per tutto il XV e si caratterizzò per la riscoperta e la rivalutazione degli studi classici, considerati fondamentale per la formazione e la elevazione spirituale dell’Uomo. Gli ispiratori dell’Umanesimo furono Petrarca e Boccaccio.

Anche il Seicento è stato  un secolo contraddittorio, caratterizzato da grandi guerre, grandi contrasti, dalla rifeudalizzazione, che  provocò le rivolte dei contadini, dalle pestilenze , dalle carestie, da crisi economiche, dall’assolutismo, dai conflitti tra Spagna e Francia per il dominio sull’Italia, dal contrasto tra papato e impero per le investiture, dall’ingerenza della Chiesa nella società e nella scienza. Ma è stato anche il secolo della rivoluzione scientifica che fa entrare pienamente l’Italia e l’Europa nella modernità.

L’Europa è stata colpita dalla peste portata dai mercanti o dai soldati dell’impero mongolo, causò 20 milioni di morti,  si diffuse in tutta Europa e in Italia, a Napoli e a Milano. Quella di Milano è stata descritta da Alessandro Manzoni ne I promessi sposi. Un’altra ondata colpì pesantemente Londra nel 1660  e altre ondate seguirono vero la fine del secolo. Queste epidemie, anche se talvolta avevano la capacità di regolare il rapporto tra popolazione e risorse riiducendo i rischi delle carestie, della disoccupazione e anche delle rivolte, producevano effetti rilevanti sul piano sociale ed economico perché determinando una caduta della produzione agricola, dell’artigianato  del settore  manifatturiero, tutti fattori che causavano la riduzione dei  traffici e delle relazioni tra i popoli. Turro ciò causava anche  inflazione e aumento dei prezzi, un circuito vizioso che creava stagnazione e l’insorgere di nuove rivolte.

Una lunga e disastrosa guerra, quella dei Trent’anni, che  coinvolse quasi tutte le potenze europee  devastò l’Europa centrale. Si svolse, in più fasi, dal 1618 al 1648 e, iniziata come guerra di successione divenne guerra di religione, quando l’imperatore del Sacro Romano Impero divenne re di Boemia, i cui sudditi, protestanti, si ribellarono e diedero inizio alla  guerra. Fu una guerra che vide lo scontro tra due schieramenti, da una parte gli stati cattolici, dall’altra parte gli stati protestanti. L’elemento religioso è anche alla base dei conflitti che più recentemente hanno sconvolto anche i Balcani.

La guerra dei Trent’anni finì nel 1648 con la pace di Westfalia., che segnò la decadenza della Spagna come grande potenza, l’accresciuta potenza di Svezia e Francia, il riconoscimento dell’autonomia della Svizzera, che si staccò dall’impero austro-ungarico e ratificò la fine delle guerre di religioni e il riconoscimento della  libertà di coscienza.

Nella seconda metà del 1600 emerse una nuova visione dell’Uomo e della Natura, influenzata dal pensiero Umanistico, che mette l’uomo al centro dell’Universo e vede la Natura come una realtà autonoma , regolata da leggi proprie, di cui l’Uomo deve servirsi e goderla, tenendo conto però della sua fragilità  e che quindi deve anche curarla.

E’ la visone antropocentrica che si contrappone alla visione eliocentrica dell’epoca medievale.

Non è più Dio che determina il futuro ma è l’Uomo con il  suo ingegno e la sua curiosità a ricercare la Verità..

E’ il vero inizio dell’era moderna, che segna il progresso di scienze come la matematica, la fisica, la medicina, l’astronomia che favorirono la nascita di nuovi metodi di ricerca e nuove strumentazioni utili per lo sviluppo della ricerca.

Vengono inventati in questo periodo la bilancia di precisione, il barometro, il microscopio, il cronometro, l’orologio a pendolo, la calcolatrice meccanica, il sestante e, soprattutto, il telescopio e il cannocchiale che consentiranno a Galilei di scrutare l’Universo.

Galilei è anche l’inventore del nuovo metodo scientifico, detto metodo galileiano, basato sull’osservazione, sulla sperimentazione,  sul modello (definizione dell’ipotesi ), verifica delle ipotesi.

Con il suo metodo e con  l’utilizzo del cannocchiale da lui inventato, Galilei arriva a dimostrare la sfericità della Terra, contribuendo all’affermazione della teoria geocentrica.

Di Terra sferica avevano già parlato Pitagora nel VI secolo a.C. e Aristotele nel IV secolo a.C., osservando la forma della Luna durante un’eclisse lunare. Ma fu l’astronomo polacco che pose le basi della  Teoria eliocentrica, affermando che  il Sole è al centro dell’Universo e che la Terra gira intorno al Sole, ipotesi che Galilei avvalorò con le sue osservazioni.

Il libro di Copernico,  pubblicato nel 1543, venne contestato dalla Chiesa perché in contrasto con le Scritture. Andò peggio a Galilei, che venne accusato di eresia e condannato a morte. Dovette abiurare per non farsi “arrostire”  in pubblica piazza.

La Rivoluzione scientifica del 1600 anticipò l’Illuminismo, un movimento che nacque in Inghilterra  nel 1700 e si diffuse in tutta l’Europa negli anni successivi.

Tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento nacque in Italia un nuovo movimento estetico, filosofico, culturale che investì anche la musica, l’architettura e le arti figurative, che si presenta con valori  etici ed estetici bel riconoscibili, con opere emotivamente intense,, con decorazioni che destano sorprese, con opere pesanti. La caratteristica è la strampalatezza, l’esagerazione, che si oppone alla Bellezza e alle   forme regolari, al razionale del classicismo: E’ il Barocco, un movimento che segna un ritorno sl passato, che lo lega, anche se non esplicitamente, alla Controriforma.

Al Barocco si contrappose l’Accademia dell’Arcadia, fondata a Roma alla fine del 1600, con l’obiettivo di ricondurre l’Uomo alla vita normale, lontano dalla corruzione della civiltà, per contrastare la decadenza culturale dovuta agli eccessi del Barocco anche nella poesia, auspicando un ritorno alla semplicità e alla chiarezza della tradizione classica.

E’ un movimento che anticipa e annuncia l’arrivo dell’Illuminismo, un ritorno all’eleganza, alla Bellezza, al razionale del classicismo, che caratterizzerà il Settecento.

  1. L’età dell’Illuminismo

Alla fine del Seicento la nascita dell’Accademia dell’Arcadia  che,  contrapponendosi al Barocco, una forma di reazione alla bellezza e al rigore delle forme del classicismo, anticipa il movimento politico, culturale, sociale e filosofico che caratterizzerà il nuovo secolo, l’illuminismo il cui motto è Sapere Aude! , un incitamento all’Uomo affinché si scrolli di dosso  lo stato d minorità e diventi protagonista attraverso l’uso della ragione., valorizzando le sue capacità intellettuali in maniera autonoma e critica.

L’Illuminismo nasce in Inghilterra e si diffonde subito in Francia, dove conosce il suo massimo sviluppo, e si diffonde in America e in Europa e anche in Italia, a Milano e a Napoli in particolare.

Non è un caso se la scintilla che fa esplodere la ragione si accende proprio in Inghilterra, che aveva superato la crisi derivante dalla guerra civile e nel 1707, con l’unificazione della Scozia, dell’Irlanda e del Galles, si era trasformata in Regno di Gran Bretagna che, dopo la guerra dei trent’anni  era divenuta la prima potenza marittima, dando inizio a una espansione coloniale che porterà la Gran Bretagna a diventere nel 1920  un impero esteso su una superficie di oltre 32 milioni di kmq e 500 milioni di abitanti.

Illuminismo, dunque, è un movimento culturale, un metodo di indagine capace di illuminare la mente per allontanare l’Uomo dall’ignoranza e dalla superstizione per  diffondere la conoscenza attraverso l’istruzione.

Rifacendosi a Socrate, l’Uomo illuminista è consapere di non sapere e quindi, attraverso il dubbio e la scienza cerca la verità, offuscata, secondo Platone, dall’oscurità.

Con l’Illuminismo emergono nuovi valori, la libertà, l’uguaglianza, la fraternità, la tolleranza, valori che sviluppano principi fondamentali come la fiducia nella ragione, il rifiuto dell’autoritarismo, la fiducia nel progresso.

E, infatti, nel Settecento si diffonde il metodo sperimentale di Galilei,  numerose sono le nuove invenzioni: il telaio con la spoletta volante, la filatrice meccanica, il termometro a liquido, il paracadute, il sottomarino, il sestante e la macchina a vapore.

L’illuminismo, rifiutando il sapere del sapere fondato sulla teologia, concetto già  maturato  nel Rinascimento, unendo il sapere   allo stato laico, rompe il legame tra papato e impero.

Una vera rivoluzione di pensiero che favorirà l’affermazione di due rivoluzioni: la rivoluzione industriale e la rivoluzione francese.

Anche la rivoluzione industriale nacque in Inghilterra intorno al 1730 e fu favorita dall’invenzione della macchina a vapore di Watt, che ebbe ripercussione sul settore metallurgico e tessile, dando vita alla prima rivoluzione industriale, che si concluse nel 1850.

Nel 1776 erano nati gli Stati Uniti d’America con la guerra di secessione e questo evento fu certamente da stimolo allo scoppio della Rivoluzione francese nel 1789.

La Francia del XVIII secolo era gravata da seri problemi economici e sociali, con un pesante debito pubblico e una popolazione quasi totalmente agricola, a fronte di una nobiltà e di un  e clero che vantavano privilegi come l’esenzione dal pagamento delle tasse, pur avendo immense proprietà.

La situazione era non più tollerabile, anche perché in Francia si era diffuso lo spirito dell’Illuminismo,  risvegliando le coscienze al punto che nel 1789 scoppiò la Rivoluzione che abbatté la monarchia, sostituita dalla Repubblica.

Dopo la Rivoluzione  la Francia visse un periodo di turbolenze e di contrapposizioni  create da  diverse visioni sul futuro assetto politico-istituzionale da dare al Paese.  Si contrapponevano posizioni  radicali rappresentate dai Girondini e posizioni più moderate espresse dai Giacobini.

Ne approfittò un ambizioso generale, Napoleone Bonaparte, che nel 1985, con un colpo di stato, si impossessò del potere.

Napoleone diede inizio a una serie di guerre, la prima contro l’impero austro-ungarico  per difendere i confini della Francia e la Rivoluzione, temendo una reazione delle monarchie europee, ma poi le guerre le guerre si estesero su tutta l’Europa, che portarono la Francia a dominare  su quasi tutta il continente . Ma Napoleone  non si accontento di aver conquistato buona parte dell’Europa, voleva conquistare anche la Russia, ma, nonostante venisse considerato un abile generale e grande stratega, commise molti errori nell’organizzazione della battaglia e  a Waterlòo, nell’ultima delle sue battaglie, una coalizione formata da tutte le potenze europee sconfisse l’armata francese ponendo fine alle ambizioni di Napoleone e alla Rivoluzione francese perché nel 1815, con il congresso di Vienna e la conseguente   Restaurazione, l’Europa ritornò allo status quo ante bellum.

Pur nella brevità della loro durata, la Rivoluzione francese e Napoleone Bonaparte hanno  determinato la fine dell’Ancient Règime, dominato dall’assolutismo regio e dalle ineguaglianze  sociali ed economiche. Fallì soprattutto il tentativo di dar vita in modo stabile a un nuovo modello di governo basato sul rispetto di tre valori essenziali, della rivoluzione, Libertà, uguaglianza e fraternità, valori che ancora non sono patrimonio comune di tutte le democrazie occidentali.  Questi valori restano una un obiettivo da realizzare, in un mondo in cui l’individualismo invade sempre più le nostre coscienze a scapito dell’umanitarismo universale. Spetta ad ognuno di noi trovare modi e tempi per invertire la rotta.

Quella esperienza rivoluzionaria fu, comunque, una stagione di grandi sconvolgimenti politici e sociali, che condussero a una nuova concezione dell’uomo e dello stato. Napoleone ci ha lasciato un’idea di amministrazione dello stato affidata a funzionari competenti e indipendenti dal potere politico (anche questo valore è stato disperso), e articolata su settori in base alle competenze, un modello di sviluppò economia capitalistica, il riordino del catasto, promuovendo la realizzazione di mappe per la rappresentazione delle proprietà, un sistema di tassazione basata sul reddito.

Napoleone amava l’arte e valorizzò i beni artistici e culturali, tanto che in Italia trafugò molte opere e reperti archeologici provenienti dagli scavi di Pompei, oggi esposti al Louvre di Parigi.

Potremmo definire illuministi filosofi come Kant, Cartesio e Bacone, perché già troviamo nel loro pensiero elementi propri dell’Illuminismi.  Sapere Aude è il motto kantiano per indicare  il significato del termine Illuminismo e la  capacità critica dell’Uomo per comprendere la realtà, abbandonando i pregiudizi, ossia avere il coraggio di conoscere, di ricercare la Verità,  usando l’intelligenza, liberando il cervello dai pregiudizi del passato e avere il coraggio di non sottomettersi al Potere, che invece preferisce l’ignoranza.

Le idee dell’Illuminismo hanno avuto riflessi sulla società sulla politica, sulla cultura.

Valori come la tolleranza, la giustizia, il rifiuto dell’autoritarismo, l’aspirazione al progresso, la partecipazione e il concetto di cultura  come strumento di emancipazione sociale e benessere collettivo sono tutte rivendicazioni  che sono stati alla base dei movimenti studenteschi originatisi in Francia per diffondersi poi in tutta Europa. Valori che, per affermarsi, devono far parte del nostro agire quotidiano per diffonderli e farli radicare nella società,, valori come Pensiero e come Azione.

I maggiori esponenti sono: in Inghilterra John Locke, padre dell’empirismo, secondo cui la conoscenza deriva dall’esperienza, e teorico della Felicità, della divisone dei poteri, della proprietà come diritto naturale da acquisire con il lavoro onesto e senza  violenza o inganno, come anche  il concetto di libertà, di fare ciò che si vuole senza ledere i diritti degli atri.

In Francia l’Illuminismo ha assunto toni più radicali e pensatori come Montesqueu, Voltaire, Rousseau, Diderot e D’Alembert, questi due ultimi autori della prima Encyclopédie per facilitare la diffusione della conoscenza.

In Italia l’Illuminismo si sviluppò come movimento culturale e filosofico e ha avuto come  centri principali Milano e Napoli.

A Milano l’Illuminismo nacque all’interno dell’Accademia dei Trasformati, fondata nel 1743 ed ebbe essenzialmente carattere aristocratico. Il personaggio più prestigioso fu il  filosofo ed economista. Pietro Verri e, sul piano politico la regina Maria Teresa d’Austria, sovrana illuminata,  abbracciò le idee dell’Illuminismo d trasformandole in agire politico, varando molte riforme.

Rinnovò l’amministrazione delegando a un Consiglio di Stato il coordinamento delle attività,  approvò la divisione dei poteri, rinnovo l’agricoltura e le attività manifatturiere, potenziò la lavorazione della seta e fece la riforma del catasto.  Abbellì Milano con numerose opere pubbliche; il Teatro alla Scala, la Biblioteca Braidense, il Palazzo Reale, l’illuminazione pubblica, la pavimentazione delle strade e pose la Madonnina sul Duomo.

Anche a Napoli  l’Illuminismo fu importante per il rinnovamento delle istituzioni e della società, favorendo un risveglio culturale ed economico della città, grazie a degli illuministi che non disdegnarono di “sporcarsi le mani”  collaborarono con il tollerante re Carlo di Borbone  dando vita a un periodo di forte innovazione.

Gli illuministi napoletani furono personaggi di grande cultura, tra gli altri, Antoni Genovesi, Ferdinando Galiani, Gaetano Filangieri, Mario Pagano.

In un’Italia s debole, frammentata, con forti squilibri interni, dominata da potenze straniere, se

il centro-nord poteva vantare un certo dinamismo economico-imprenditoriale grazie alle esperienze dei Comuni e delle Signorie, il Mezzogiorno era all’inizio del Settecento un’area depressa.

Nell’Italia meridionale, infatti, se si escludono alcuni periodi di particolare rilievo, la  lunga dominazione borbonica basata  sull’autoritarismo e la vessazione, che  costringeva i contadini a produrre per il proprietario terriero ricavando per se soltanto quel poco per una vita stentata e gravava  di tasse elevate, condizioni che disegnavano una realtà  depressa fatta di poche e piccole attività industriali, di  scarsità di  infrastrutture, di  analfabetismo diffuso e di elevata  mortalità infantile.

Il Regno delle Due Sicilie, diventato  stato autonomo con Carlo di Borbone nel 1734 e durato fino al 1861, non ha cambiato il quadro economico e sociale del Regno, un vasto  stato con una superficie di 120700 kmq e 9 milioni di abitanti nel 1859. Poteva contare su risparmi pari a 440 milioni di lire, notevoli rispetto a quelli di tutti gli altri stati, che non superavano i 230 milioni di lire. Aveva inoltre una riserva aurea di 48 tonnellate d’oro. E tutte queste risorse confluirono poi  nelle casse del nuovo Regno d’Italia.

E’ sull’abbrivio dell’Illuminismo se  a  Napoli  si  sia sviluppato  una intensa attività culturale, tale da diventare una fucina di idee e di pensiero che portò una ventata di rinnovamento politico e sociale, che però  fu un fenomeno elitario che coinvolse la capitale ma non  le province del Regno.

I promotori di questo rinnovamento furono gli intellettuali seguaci dell’Illuminismo, in particolare,  Antonio Genovesi, che occupò per la prima volta una cattedra universitaria di “Economia sociale” diffondendo tra gli studenti le nuove idee, utilizzando la lingua italiana anziché il latino al fine  di raggiungere un pubblico più vasto e per togliere dall’ignoranza la maggior parte dei cittadini. Secondo  Genovesi l’istruzione era l’unico mezzo per  risanare il Regno di Napoli. Autore del libro Lezioni di commercio o sia di economia civile, nel quale suggerisce un  modello alternativo  all’economia capitalistica basato su una economia di mercato fondata sul principio della reciprocità e della fraternità. Quanta modernità nel suo pensiero!

Altro personaggio  illustre fu il giurista  Gaetano Filangieri, che scrisse  una Scienza della legislazione, in cui affermava che nessun tiranno è mai riuscito a far tacere l’opinione pubblica per cui erano necessarie istituzioni e leggi democratiche, suggerendo anche la istituzione di un tribunale laico  per l’amministrazione della giustizia-. Un testo che ogni politico e ogni professore dovrebbe oggi studiare.

Altro illuminista riformatore è stato   Ferdinando Galliani, teorico dell’economia, che scrisse sul valore economico dei beni e sulla relazione tra  quantità e qualità del lavoro e sulla utilità e rarità del prodotto.

Accanto a questa  triade di grandi illuministi napoletani, che svolsero un ruolo di stimolo e di impegno civile ma non ebbero nessun ruolo di gestione della cosa pubblica,   non può mancare il riferimento al personaggio che effettivamente è stato l’artefice del rinnovamento del Regno delle Due Sicilie, un giurista toscano, Il Tanucci, , chiamato da Carlo di Borbone alla Corte come consigliere e ministro e presidente del Comitato di gestione del Regno che,  quando Carlo V salì  sul trono di Spagna, fu nominato presidente di gestione del Regno quando al trono del Regno salì il figlio Ferdinando IV ancora minorenne.

Il Tanucci, definito un decisionista autoritario, riformò il Regno dal punto di vista istituzionale nel segno dell’autonomia  dinastica, promuovendo iniziative per la crescita economica e culturale del Regno.

Importante fu la realizzazione di nuove infrastrutture come la ferrovia Napoli-Portici e la progettazione della Napoli- Brindisi, poi non realizzata. Realizzò l’Osservatorio astronomico sul Vesuvio, la prima illuminazione elettrica delle strade, la prima nave a vapore.  Sul piano urbanistico vennero costruiti i siti reali di Napoli, il Palazzo Reale nell’attuale  Piazza Plebiscito e la Reggia di Capodimonte, il Casino di caccia di Carditello, la Reggia di Caserta. Vennero costruiti il Teatro Reale e la Biblioteca Reale. Vennero incentivate le iniziative culturali, sorsero nuove accademie e venne istituita  la Scuola militare della Nunziatella. Nel    Regno esistevano nel Settecento quattro Università, quella di Napoli, l’attuale Federico II, fondata  nel XIII secolo da Federico II, e le  due università siciliane di Messina e  Catania. Nel 1732 venne fondato a Napoli, da parte del gesuita Matte Ricci, il Collegio dei Cinesi, poi Università L’Orientale. Nel1806 Ferdinando III di Borbone trasformò l’Accademia delle Scienza mediche, fondata nel1621 in Università degli Studi di Palermo, con l’autorizzazione a rilasciare lauree in Medicina, T. Giurisprudenza e Filosofia.

Ancora, venne fondato il Banco del Regno, poi Banco di Napoli,  assorbito dal Banco San Paolo di Torino e attualmente entrato nel gruppo Banca Intesa, perdendo la sua antica autonomia. Venne anche istituito un Banco dei Pegni,  che, insieme all’Albergo dei Poveri, altrimenti noto come Palazzo Figa, un imponente edificio con ben cinque cortili interni, poi ridimensionato a tre, rappresentavano gli i interventi di tipo sociale insieme a quelli culturali, , essendo tutti gli altri  residenze reali.  La stessa ferrovia   Napoli-Portici era al servizio della popolazione, anche se era stata costruita per portare  il re dalla reggia di Napoli a quella di Portici. Tuttavia, sono tutte costruzioni che oggi sono beni pubblici che danno prestigio alla città e che a suo tempo hanno alimentato l’economia locale.

Importante, sia dal punto di vista economico chee sociale è stata la costruzione del Borgo di San Leucio, Caserta, dove vennero aperte i laboratori artigianali per la lavorazione della seta, con annesse residenze e servizi per i lavoratori. Ancora oggi i laboratori sonno attivi e producono stoffe di gran pregio vendute in tutto il mondo.

Da ricordare è l anche ’impulso  ce il Regno ha dato agli studi geo-cartografici. Un ricco esempio della produzione cartografica del Regno è oggi consultabile presso la Biblioteca Nazionale di Napoli dove è custodito  il Fondo Palatino.

Nel  1781 venne fondato il i “Reale Officio topografico” dal geografo e cartografo Giovanni Antonio Rizzi Zannone,  un istituto scientifico militare preposto alla costruzione di mappe topografiche, carte orografiche, geografiche e idrografiche del Regno di Napoli, che operò fino al 1961, quando venne trasferito a Firenze diventando l’Istituto Geografico Militare.

Nell’Officio operò anche il cartografo  Mario Cartaro, disegnatore, incisore, cartografo,  e altri cartografi e incisori, come Nicola Antnio Stigliola,  che consenti alla Istituzione di produrre una vasta quantità di prodotti cartografici, come  l’ Atlante geografico del Regno di Napoli, pubblicato nel 1808 e completato nel 1812 sotto il dominio di Giuseppe Napoleone I, con la dicitura “per ordine di Ferdinando IV che l’aveva commissionato nel 1781. L’autore fu  Giovanni Antonio Rizzi Zannone e l’incisore Giuseppe Guerra.

Altro geografo e cartografo illustre fu Benedetto Marzolla, Ingegnere topografico presso il Reale officio topografico, autore di oltre centosettanta carte di vario tipo, topografiche, corografiche e geografiche, poi raccolte in Atlanti universali. Fu anche autore di un Atlante corografico storico statistico del Regno delle Due Sicilie del Regno  contenenti oltre alle carte,   dati e informazioni e illustrazioni sui territori rappresentati, essendo egli anche redattore statistico del Ministero degli Interni del Regno.

L’Atlante del Regno contiene   31 fogli a scala 1;114545 ed è una delle più importanti opere cartografiche italiane del Settecento ed è espressione di quel movimento culturale  alimentato dall’Illuminismo, che a Napoli faceva riferimento all’Abate Galliani il quale  riteneva che “la politica di utilizzazione delle risorse” dovesse essere definita solo dopo  una “capillare  conoscenza del

Territorio”.

Da ricordare è l’impulso dato agli studi geo-cartografici. Un ricco esempio della produzione cartografica del Regno è oggi consultabile presso la Biblioteca Nazionale di Napoli dove è custodito  il Fondo Palatino.

Nel  1781 venne fondato il i “Reale Officio topografico” dal geografo e cartografo Giovanni Antonio Rizzi Zannone,  un istituto scientifico militare preposto alla costruzione di mappe topografiche, carte orografiche, geografiche e idrografiche del Regno di Napoli, che operò fino al 1961, quando venne trasferito a Firenze diventando l’Istituto Geografico Militare.

Nell’Officio operò anche il cartografo  Mario Cartaro, disegnatore, incisore, cartografo,  e altri cartografi e incisori, come Nicola Antnio Stigliola,  che consenti alla Istituzione di produrre una vasta quantità di prodotti cartografici, come  l’ Atlante geografico del Regno di Napoli, pubblicato nel 1808 e completato nel 1812 sotto il dominio di Giuseppe Napoleone I, con la dicitura “per ordine di Ferdinando IV che l’aveva commissionato nel 1781. L’autore fu  Giovanni Antonio Rizzi Zannone e l’incisore Giuseppe Guerra.

Altro geografo e cartografo illustre fu Benedetto Marzolla, Ingegnere topografico presso il Reale officio topografico, autore di oltre centosettanta carte di vario tipo, topografiche, corografiche e geografiche, poi raccolte in Atlanti universali. Fu anche autore di un Atlante corografico storico statistico del Regno delle Due Sicilie del Regno  contenenti oltre alle carte,   dati e informazioni e illustrazioni sui territori rappresentati, essendo egli anche redattore statistico del Ministero degli Interni del Regno.

L’Atlante del Regno contiene   31 fogli a scala 1;114545 ed è una delle più importanti opere cartografiche italiane del Settecento ed è espressione di quel movimento culturale  alimentato dall’Illuminismo, che a Napoli faceva riferimento all’Abate Galliani il quale  riteneva che “la politica di utilizzazione delle risorse” dovesse essere definita solo dopo  una “capillare  conoscenza del

territorio.

E’ proprio vero che le Istituzioni camminano sule gambe delle persone e funzionano quando le gambe sono solide.

Dopo la breve esperienza della Repubblica napoletana, che costrinse  la Corte borbonica fu costretta a rifugiarsi in Sicilia, nel 18oo, in seguito all’invasione del Regno  da parte dell’esercito francese, in questo breve periodo di dominazione francese , che determinò la fine di un processo di rinnovamento rivoluzionario e democratico,  il Regno venne affidato al fratello di Napoleone per due anni e poi a Gioacchino Murat., fin al 1815. La sconfitta di Napoleone a nella battaglia di  Waterloo spense la speranda di una Europa libera e democrTIC fondata sui valori dell’Illuminismo e della rivoluzione francese.

La breve occupazione francese fu anche occasione per i francesi   di saccheggiare la città, portando in Francia numerose carte geografiche e  disegni,  statue, quadri e  reperti archeologici trafugati dagli scavi di Pompeo, che oggi fanno bella mostra nel  Museo del Louvre a Parigi.

Qualcosa di positivo comunque rimase.  In quel breve l periodo Murat  riordinò i conti dello stato, organizzò l’Ufficio del Catasto, istituì il Liceo per la formazione della classe dirigente, confiscò i beni ecclesiastici e riordinò la fiscalità.

Anche l’Ottocento fu un secolo molto complesso e ricco di avvenimenti.

Si aprì di fatto con il Congressi di Vienna del 1814-15, che si concluse con la decisione di rispettare stabiliti il principio di equilibrio tra le grandi potenze  e quello di legittimità, sulla quale si giustificò la Restaurazione e l’annullamento  dei cambiamenti avvenuti con la Rivoluzione francese, che scontentò tutti quei Paesi che aspiravano ad avere uno stato autonomo e democratico.

Come sempre, i trattati di pace vengono decisi dai vincitori, scontentando i vinti e sono i prodromi di nuove guerre.

Sul finire del XVIII secolo nasce in Germania un nuovo movimento culturale, il Romanticismo, che subito si diffonde in tutta Europa. E’ lo Sturm und drag, degli intellettuali tedeschi che esprime rime un sentimento di tormento ed estasi, d irrazionalità.

E’ la reazione all’Illuminismo e al Neoclassicismo, che si contrappone alla razionalità e al culto della cultura classica con  la spiritualità, la fantasia, l’emotività, l’immaginazione.

Questi sentimenti e la presenza di  monarchie che il Congresso di Vienna aveva ripristinato nonché lo spirito di libertà che la Rivoluzione francese aveva diffuso fecero  nascere l’aspirazione a costruire lo  stato nazionale moderno, fondato su identità comuni, un  territorio delimitato da confini certi e una popolazione libera di autodeterminarsi, senza più dipendere da potenze straniere. Un sentimento che viene distorto, finendo per esprimere uno stato chiuso nell’esaltazione della propria identità che rifiuta la diversità e il confronto, un concetto ben diverso  dl  desiderio di libertà e di liberazione dal dominio straniero insito nel concetto ottocentesco di nazione.

Nell’Ottocento le guerre napoleoniche  avevano determinato la fine del Sacro Romano Impero (1806) ma esistevano ancora alcuni imperi, come l’impero  austro-ungarico e quello mongolo,  che al loro interno racchiudeva popoli di diversa entità che aspiravano all’autonomia. Anche l’Italia frammentata in più stati dominati da potenze straniere aspirava a unificare i suoi territori in uno stato nazionale. L’Italia del 1810 era divisa tra Regno di Sardegna  di Casa Savoia, l’ Impero francese e Regno di Napoli dei Birboni di Spagna.

L’Impero ottomano, nato in Anatolia aggregando popolazioni nomade  nel 1299 per conquiste successive condotte con violenza e brutalità,  divenne un grande impero che si estendeva su tre continenti ,dall’Asia centrale e dall’Africa settentrionale fino ai Balcani e   all’Europa centro-orientale, uno dei più grandi imperi della storia, con una superficie di 3,9 milioni kmq e una popolazione di 35 milioni di persone e che durò fino al 1922.  Il suo forte potere centrale e il  controllo del territorio dell’impero rese sicura la Via della Seta, favorendo la ripresa delle relazioni tra l’Oriente e l’Occidente, soprattutto con la Cina, dopo i viaggi di Marco Polo.

L’aspirazione allo stato nazionale  fece scoppiare in tutta Europa i moti rivoluzionari, che si svolsero in più rirese, nella prima metà dell’Ottocento.

Nonostante la sua potenza, non riuscì a entrare a Vienna, nonostante l’assedio della città  nel 1683, quando il suo esercito fu completamente distrutto.

Per unificare il nostro Paese sono state necessarie tre guerre di indipendenza soltanto  per liberare il centro-nord e la Spedizione dei Mille per consegnare il Mezzogiorno a Vittorio Emanuele III il 20 ottobre 196o nell’incontro di Teano.

Restava ancora da annettere il veneto e  lo Stato Pontificio, annessi nel 1866 e  nel 1970, con la Breccia di Porta Pia.

L’unificazione italiana è stata ottenuta con conquiste successive da parte di una casa reale “straniera”, i Savoia. Fermare Giuseppe Garibaldi a Teano per non farlo arrivare a Roma fu  una scelta  precisa ideata da Crispi al fine di evitare un processo democratico sul futuro assetto istituzionale, poiché le idee erano diverse, in particolare tra centralismo e federalismo. La scelta centralistica   ha  penalizzato soprattutto il Mezzogiorno, che è passato dalla dominazione borbonica a quella dei Sabauda, specialmente se si tiene conto che l’Illuminismo aveva aperto la via a uno sviluppo del Mezzogiorno su un modello basato sulla valorizzazione delle risorse locali e che il quadro economico non era molto diverso da quello del Nord.  Quella “conquista”  ha consentito a Crispi di progettare uno stato unitario, ponendo fine a un dibattito sull’Italia federale auspicata da molti, una soluzione che avrebbe potuto dare all’Italia un assetto statuale più moderno ed efficiente, anche  per rispettare le differenze storico-culturali dell’Italia..

 

  1. Prime brevi considerazioni

 

La storia dell’Umanità è fatta di migrazioni e guerre. La popolazione si è  sempre spostata, per ragioni diverse, comunque per cercare un posto migliore dove vivere e così sarà fino alla fine del mondo.

L’ascesa e il declino degli imperi è stata una costante della storia, non sono tuttavia sparire le civiltà perché le idee, le conoscenze le innovazioni e le scoperte sono diventate patrimonio comune, che hanno costituito le fondamenta di nuove e più evolute civiltà, in particolare nell’Antichità. . Le società aperte hanno scambiato con i popoli con i quali sono venuti a contatto idee e conoscenze che hanno favorito uno sviluppo cumulativo, quelle chiuse sono state sempre aree di arretratezza  e di sottosviluppo.

Lo sviluppo dell’Europa è avvenuto anche grazie alle  conoscenze derivate dall’incontro con altri popoli con i quali siamo venuti in contatto o che hanno invaso il nostro territorio, modificandolo, invasioni che sono state facilitate dalla peculiarità del nostro Paese, che non ha barriere fisiche invalicabili.  Per questi aspetti sarebbe interessante leggere il libro dello storico inglese Eric L. Jones, Il miracolo economico, una utile lettura per comprendere meglio il valore delle relazioni.

Nell’Antichità il Mediterraneo è stato la culla delle civiltà e quella che ha lasciato tracce  più significative è stata la greco-romana, che ha rappresentato e rappresenta le radici della cultura occidentale.

Con l’età moderna lo scenario geopolitico è cambiato, la si è spostata nell’Atlantico, ma il Mediterraneo è continuato ad essere  di cerniera e di equilibrio tra Asia, Africa e Continente americano. Per comprendere meglio questo ruolo è sufficiente riflettere sul ruolo  strategica della Sicilia, attraversata dai cavi sottomarini  che mettono in comunicazione l’Oriente con l’intero Occidente. Stesso discorso  vale per il Canale di Suez.

Con l’età moderna l’Occidente non ha valutato con attenzione l’importanza strategica che ancora restava al Mediterraneo e ha messo in atto una politica rivolta a valorizzare le risorse del continente americano dopo la scoperta di Colombo. Soltanto nell’Ottocento l’attenzione delle potenze si è riivolta all’Africa, all’indo Pacifico e al Medioriente  con una nuova fase di colonizzazione attraverso il dominio politico-territoriale dei territori conquistati per lo sfruttamento delle risorse., destrutturando le strutture territoriali e sociali, distruggendo le culture locali e dividendo tribù in nuove entità politiche create con confini artificiali, per poter meglio controllare le popolazioni locali.

Il Medioriente è stata sempre un’area che si è mantenuta unita anche quando è diventata parte dell’impero persiano o con Alessandro Magna, entrambi portatori di un’idea di impero multietnico e multiculturale dove i popoli potessero convivere conservando le loro diversità. Questa pacifica convivenza ha caratterizzato anche il periodo dell’Impero romano. E’ stata con  la  colonizzazione e  la decolonizzazione che la regione del Medioriente è stata frammentata con la creazione  di nuovi stati senza identità o dando vita a stati-cuscinetto funzionali agli interessi economici delle potenze europee, che hanno favorito l’insorgere di conflitti di matrice etnico-culturali e religiosi, che il Congresso di Vienna aveva bandito.

Ed è stato  soprattutto la creazione dello Stato d’Israele, come forma di “risarcimento”” per la shoah che ha destabilizzato l’intero Medioriente perché alla nascita dello Stato d’Israele non è seguita  la nascita di uno stato palestinese, a cui è seguita ,invece, la colonizzazione di Israele di pandersi nella Cisgiordania, costruendovi i Kibuz, nell’indifferenza  delle istituzioni internazionali..

L’Ottocento ha segnato una nuova fase di colonizzazione da parte delle potenze europee, che ha interessato l’Africa, l’indo-Pacifico e il Medio Oriente una volta esaurita la fase della colonizzazione delle Americhe, che ha visto protagoniste in particolare l’Inghilterra e la Francia e solo in misura minore Italia e Germania. Si è trattato di una colonizzazione basata sul dominio politico dei territori e la destrutturazione  delle vecchie organizzazioni tribali, creando nuove entità organizzative destinate a ospitare popolazioni di etnie diverse per poterle meglio controllare, alimentando di conseguenza conflitti interni alle varie tribù. Una grave responsabilità che è alla base del sottosviluppo dell’Africa e della instabilità di molti paesi africani e del Medioriente, dove sono state create nuove strutture politiche create artificialmente per meglio controllare le diverse popolazioni, un modello che non ha dato vita a nuove civiltà, finendo per creare una strutturale, persistente instabilità politica l’instabilità politica..

I conflitti religiosi che oggi sono causa di disordini e attentati terroristici sono il frutto di un confronto aspro per l’affermazione di una fede sull’altra   iniziati con le Crociate e la cacciata degli arabi, ebrei e ugonotti dalla Spagna e dalla Francia, negando la libertà di religione  che è poi sfociata nella guerra santa.  E le guerre di religione non  sono ancora finite, restano vive tra sunniti e sciiti, tra cattolici e ortodossi, tra arabi e l’Occidente infedele, conflitti spesso alimentane da interessi politici  non dichiarati, come è successo di recente nei Balcani, con il ricorso all’elemento religioso come strumento di lotta politica.

L’Ottocento è stato anche il secolo del nazionalismo,  della nascita dello stato-nazione e delle guerre di liberazione dall’oppressione dei popoli a parte di potenze straniere.

L’aspirazione allo stato-nazione è il sentimento collettivo di un popolo di riconoscersi  in una entità per porre fine agli imperi multinazionali esistenti ancora nell’Ottocento, l’impero austro-ungarico, l’impero ottomano, l’impero russo.

La  nazione nasce dal convincimento di una comunità di condividere alcuni valori che la identificano e la distinguono da un’altra comunità, rendendola  unica e coesa attraverso la lingua, la religione, la storia, la tradizione, le usanze, gli stili di vita, la cultura, un idealità che si trasforma in  una presa di coscienza politica che sottende il desiderio di autodeterminazione e di libertà  stimolato dalla Rivoluzione francese e dal movimento culturale noto come Romanticismo, che nasce in Germania alla fine del Settecento e si diffonde nei primi anni dell’Ottocento in tutta Europa, contrapponendosi all’Illuminismo, alla razionalità, alla bellezza del classicismo, per affermazione di altri valori come la spiritualità, l’emotività, la fantasia, l’immaginazione , il sentimento, l’arte come espressione individuale. E’ lo sturm und drag dei filosofi e letterati tedeschi, un sentimento di tormento ed estasi.

E’, dunque , il Romanticismo che promuove l’idea di nazione come espressione dell’individualità dei popoli contro l’universalismo illuministico, che si traduce in liberalismo politico e nella rivendicazione dell’autodeterminazione dei popoli  in un’Europa dominata dall’assolutismo r dall’oppressione straniera.

Il nazionalismo romantico e liberale, che in Italia ha significato la liberazione dall’oppressione straniera, nella seconda metà dell’Ottocento assume significati diversi in Europa, e sostanzialmente viene utilizzato per giustificare politiche imperialiste ed espansioniste, protezionistiche,  fino ad assumere in Germania e in Italia forme autoritarismo e di difesa degli interessi nazionali e della sovranità nazionale contro la globalizzazione e  gli organismi sovranazionale e internazionali. E quello che oggi sviene identificato  col termine sovranismo,  che caratterizza la politica dei partiti di destra, non solo in Europa.

Lo sviluppo degli studi nell’ambito della biologia ha portato Charles Darwin  a elaborare la Teoria evoluzionistica. L’applicazione di questa teoria  agli stati, insieme alla teoria dello spazio vitale, è stato uno strumento per giustificare  le nuove forme di invasioni territoriali da parte di stati che mirano a formare nuovi imperi. Sono oggi esempi significativi l’invasione dell’Ucraina, le rivendicazioni di Trump sul Canada, sulla Groenlandia, sul Canale di Panama, sulla striscia di Gaza, rifacendosi a vicende storiche del passato, reinterpretandole on chiave geopolitica, utilizzata pro domo sua.

Gli studi di Ratzel sull’areale in biologia hanno ispirarono Haushofer  a utilizzare la teoria dell’areale agli stati come esigenza di uno spazio vitale per soddisfare le esigenze di una popolazione in crescita o di stati dotati di dinamismo r di maggiori capacità di sviluppo. Il concetto di spazio vitale  applicato alla Geopolitica,  giunta a Hitler per il tramite di Herman Hess e divenne progetto politico per giustificare l’espansione territoriale  come azione indispensabile  per la sopravvivenza di uno Stato. E’ una  teoria che  piacque anche a Mussolini che per imitazione la fece propria per rinverdire i fasti dell’Impero romano e creare  una regione Pan-Mediterranea attraverso la colonizzazione dell’Africa orientale per fondare la Nuova Italia, dove trasferire i disoccupati italiani per coltivare la terra sottratta ai legittimi proprietari  per produrre beni da esportare in Italia.

Queste teorie si basavano anche sulla distorsione del concetto di Stato-nazione e sulla razza come elemento di inferiorità  che autorizzava i popoli più evoluti a educare i popoli incivili o addirittura a eliminare  popoli  per preservare la razza pura, quella  “ariana”,  seconda la visione nazista, mentre per il Fascismo la regione  Pan-Mediterranea era qualcosa dove rinchiudere i selvaggi per rieducarli, sottomettendoli.

C’è qualcosa nel mondo d’oggi che somiglia a un rigurgito del pensiero nazifascista. Lo potremmo ritrovare nella politica migratoria basata sui respingimenti, sui centri di accoglienza, nel diverso che mina la sicurezza pubblica o addirittura è causa di sostituzione etnica. Minando la purezza della nazione.

Lo straniero che fisicamente non ha i connotati del Bianco viene petò utilizzato come schiavo o  rinchiuso nei centri di accoglienza per fare business, magari  dandogli la possibilità di ”arrangiarsi” da solo fuori dai centri per risparmiare sul vitto e sui corsi di formazione finalizzati alla integrazione, con la complicità di chi dovrebbe promuovere i controlli.

Il nazionalismo  ottocentesco condizionerà molto la politica e la società nel Novecento,                                                                                                                                                                   un  secolo definito impropriamente “breve” ma caratterizzato da  forte innovazione e sviluppo, ma anche di barbarie, da guerre regionali, di due guerre mondiali, di stermini di tale brutalità mai vista nei secoli passati, anche in quelli definiti bui.

Dopo la seconda guerra mondiale l’Europa per la prima volta nella storia ha vissuto un lungo  periodo di pace lungo ottant’anni. E’ stato possibile perché uomini con elevato senso dello Stato e lungimiranti avevano capito che la pace poteva essere ottenuta attraverso il dialogo e il confronto tra i popoli europei, creando strutture dove il dialogo potesse sostituire lo scontro armato. Di qui la nascita della CECA, della CEE e dell’Unione Europea e di tutti gli altri organismi internazionali.

Il nazionalismo ottocentesco , come già precisato, è stato un movimento di liberazione dei popoli oppressi che aveva portato alla nascita di nuove entità statali su base identitaria, per restituire ai popoli oppressi la libertà, un concetto, che poi è diventato strumento di oppressione nel periodo del nazifascismo.

C’è qualcosa nel mondo d’oggi che somiglia a quel periodo. Lasciando da parte il discorso sui centri di accoglienza per gli immigrati, il ritorno all’uso si termini come nazione o di espressioni come “Dio, patria e famiglia” mi pare un ritorno a un passato che non dobbiamo dimenticare ma certamente neanche  rimpiangere.

C’è un po’ di confusione nell’uso di certi termini come sostituzione etnica, nazione, stato, che hanno significati specifici e esprimono concetti storicamente e politicamente diversi.. Mi r nell’espressione “sostituzione ernica” o  utilizzare nazione e stato come sinonimi, tanto più se invece si fa riferimento al termine nazione in  contrapponendolo a stato..

La nazione è una comunità che si identifica in alcuni valori comuni e condivisi Innanzitutto come  c la lingua, la religione, le tradizioni, gli usi e i costumi, l’uguaglianza, la storia comune,  valori che rendono coesa la comunità che vive su un territorio che la racchiude nella sua interezza. Quando si verificano queste condizioni lo stato coincide con la nazione, cosa rara perché ci sono popoli senza territorio, come i palestinesi e i curdi o minoranze linguistico culturali all’interno di stati di cultura diversa da quella della minoranza o addirittura gruppi etnico-culturali frazinati in diverse strutture politiche..

Lo stato è, dunque, una entità politica giuridicamente definita, che ha proprie leggi e  organi per il suo funzionamento, che esprimono i tre poteri dello stato, l’esecutivo, il legislativo, il giudiziario, rigorosamente separati e indipendenti, soprattutto dalla politica. Il governo che guida lo stato deve essere caratterizzato da una gestione finalizzata a garantire a tutti i cittadini di qualsiasi credo religioso, orientamento politico, di etnia, di provenienza, di genere, gli stessi servizi. I governanti devono agire con disciplina e onore e intendere il proprio uffucio come servizio offero alla comunità non come forma di potere da gestire per soddisfare nteressi personali o di gruppi di pressioni o corporazioni.

Il cittadino è tenuto a pagare le tasse, a rispettare le leggi dello stato, a curare il bene comune, a esprimere il proprio voto, libero e non condizionato, nelle tornate elettorali. I servizi necessari per assicurare il benessere e l’educazione attraverso i servizi quali la scuola, la modo equo i necessari servizi come scuola, la sanità, il lavoro, la libertà di espressione e di pensiero e una corretta informazione. Il cittadino ha l’obbligo di pagare le tasse in modo equo e proporzionale al proprio reddito. I servizi che lo stato deve garantire ai cittadini sono la formazione, la sanità, il lavoro, il wealfar,o servizi pubblici come  strade, acquedotti, trasporti, sicurezza e favorire la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica, fornendo loro una corretta informazione sull’operato del governo, garantendo loro la libertà di pensiero e di parola e tutte le libertà civili.

E’ lo stato laico, moderno, democratico, basato sulla separazione dei poteri non confessionale nato con la Rivoluzione francese.

L’Italia è una nazione? E’ uno stato moderno, libero e democratico, indipendente da qualsiasi potere?

L’Italia ha avuto i sui momenti migliori quando ha potuto liberamente esprimere le capacità di creatività, di intelligenza e di saggezza della sua popolazione nel periodo dell’impero romano, da imitare per modello organizzativo e per la politica di integrazione dei popoli conquistato. Sarebbe oggi  da imitare come modello ideale  per creare una organizzazione di tipo multilaterale per diffondere la pace e una politica di sviluppo e coesione tra popoli di culture diverse per realizzare un organismo di tipo federale multietnico e multiculturale che potrebbe fe da area  cuscinetto  per promuovere la pace e la coesione tra le grandi aree geopolitiche  del Pianeta, per la sua storia, per la sua cultura, per le sue capacità artistiche, che fanno del nostro Paese uno dei più prestigiosi al mondo. E stata l’idea che ha portato alla creazione dell’Unione Europea e al suo allargamento verso Est sotto la presidenza di  Romano Podi. L’altra sponda del Mediterraneo  è certamente  da considerare  come complementare dal punto di vista economico per una politica di buon vicinato, troppo timidamente tentata dagli organismi dell’Unione. Mancano purtroppo politici visionari capaci di volare alto e investire su progetti di medio-lungo tempo, senza guardare i sondaggi.

Si è scelto invece di usare le armi per esportare la nostra… civiltà, anche per far contenti i produttori di materiale bellico. L’Italia avrebbe dovuto e potuto svolgere un efficace ruolo di ponte tra culture  e paesi diversi, in particolare in un momento in cui  si sta ridefinendo un nuovo ordine mondiale con  l’Italia e l’Europa essere gregari e non protagonisti,  E’ n gioco di una nuova Yalta, che vede in campo solo tre giocatori, Cina, Russia e Usa. Cosa faranno gli altri attori dell’Asia dell’America latina,  paesi europei e gli altri player internazionali di Asia, America e Australia?

Ma torniamo al nostro Paese. Cos’è oggi l’Italia? Non è certamente una nazione, non ha coesione interna, ha molte differenze qualitative e quantitative tra le diverse regioni, è frammentat sul piano culturale, stili di vita, condizioni di benessere, infrastrutture materiali e immateriali, aspettative di vita.

La Germania in pochi anni ha integrato le regioni orientali, in Italia le diseguaglianse in oltre 150 anni si sono allargate, eccezione fatta per gl anni Sessanta-Settanta , periodo in cui si è noyayo una certa convergenza.

Come può definirsi nazione un paese così diverso al suo interno, dove esistono minoranze linguistiche, religiose stili di vita, livelli culturali differenti’

Il riferimento continuo alla nazione e a Dio, Patria e Famiglia ha solo una matrice ideologica e nostalgica, che favorisce la contrapposizione anziché la coesione, che fa leggi corporative ritenendo che una maggioranza può fare il gioco delle carte con la regola del’asso pigliatutto.

Non è l’Italia in Paese civile perché ha la scuola disastrata, un sistema sanitario che non riesce ad assicurare cure efficaci specialmente a chi vive in condizioni precarie, ha infrastrutture arretrate, che ha distrutto il suo patrimonio ambientale con costruttori abusive che poi sono state condonate, che non riesce a far pagare le tasse a tutti i cittadini e per raccattare qualcosa fa continue rottamazione di cartelle fiscali, che restituisce i soldi delle multe ai negazionisti della scienza e non crede al cambiamento climatico sono le poche cose che uniscono il Paese sono l’evasione fiscali, le truffe allo stato e la equa distribuzione della malavita organizzata. Un Paese che ha livelli di ignoranza elevata che po’ godere della televisione pubblica che l educa con spettacoli che addormentano la mente e la coscienza Ma non bisogna preoccuparsi, il futuro è roseo, se va male puoi fare il politico perché avrai successo anche senza studiare.

C’è molta nostalgia del passato in una parte della rappresentanza politica che si contrappone all’altra cercando di delegittimarla anche con la falsificazione della verità, perché tutto è lecito per chi è maggioranza in Parlamento ma non nel Paese. Conta il popolo, anche se sei maggioranza perché una legge elettorale ti consente di essere tale anche se hai preso un milione di voti in meno degli avversar, ma adesso ho il mazzo in mano e gioco ad asso pigliatutto, faccio i favori e poi vincerò ancora io. E’ il popolo che mi vuole.

Ma l’Italia non è neanche un Paese a democrazia matura, è un luogo dove non c’è civismo, contano le raccomandazioni, esiste il voto di scambio, questo conta, non è importante che la popolazione invecchia, che i giovani migliori vanno via dall’Italia, che siamo in crisi demografica, carpe diem,  del doman non v’è certezza. L’importante è difendere la purezza della razza (padrona. Ho fatto di recente l’analisi del mio DNA, i mei geni sono così distribuiti: 60% antichi popoli meridionali, 3t0% greci e albanesi, 5% Italia settentrionale, 5% egizio. Quale etnia dobbiamo difendere e qiale è il pericolo della sostituzione etnica? Personalmente mi sento italiano perché sono nato in Italia, e vivo in Italia, sono contento di esserlo e di avere un DNA così ricco di differenze, grazie al quale sono in grado di comprendere l’altro e di rispettarlo.

Possiamo definire l’Italia  uno stato moderno? Ho seri dubbi. E’ uno stato corrotto, con un debito  pubblico pari a circa il 150% del PIL e una ricchezza privata enorme, frutto di un benessere superiore alle nostre possibilità. Molti sono ricchi anche se guadagnano poco, sono efficienti le organizzazione malavitose tanto che sostituiscono lo stato nel welfare, siamp imgegnosi, sappiamo costruire anche sulle spiagge, tanto poi arriva il condono e se non paghi le cartelle non ti preoccupare, tanto c’è la rottamazione. Siamo un bel Paese, il Paese di Bengodi, per questo la premier è contenta, Tutto va bene Madama la Marchese.

Ma che Paese è questo? In che epoca viviamo

E’ l’età del caos, del disordine internazionale, del negazionismo che rischiano, delle fake news, della precarietà, del debito facile. Abbiamo ricevuto 300 milioni di fondi dall’UE per ristrutturare il Paese, ma non riusciamo a fare veramente lavori strutturali in grado di modernizzare il Paese e nonostante questa valanga di risorse il PIL non cresce e sull’occupazione i risultati sono modesti. Negli anni Cinquanta-Sessanta il Piano Marshall ha consentito di ricostruire il Paese e farlo diventare la quarta potenza industriale d’Europa.

Non sarà per caso una questione di classe dirigente?

Non è un bello spettacolo vedere alla TV le scene del Parlamento, non c’è decoro, non c’è serietà, non c’è senso di responsabilità, mi sembra uno spettacolo da avanspettacolo, non c’è neppure senso civico, abbiamo tolto l’insegnamento di educazione civica dalla scuola, tutto è lasciato alla buona volontà, alla bontà dei singoli.

Per ricostruire il Paese è necessaria una rivoluzione morale che può essere fatta con la cultura e l’educazione, per educare i giovani al sacrificio e alla rettitudine. Ai miei tempi il primo libro che dovevamo comprare era quello di educazione civica. Quando frequentavo la scuola elementare un giorno venne a farci visita un signore che ci regalò la Costituzione e un libretto bancario con 500  lire. Quel salvadanaio l’ho aperto quando da studente universitario sono andato in Inghilterra per preparare la tesi universitaria. Mi ha portato fortuna.

Nel corso dei secoli sono nati movimenti culturali di ispirazione filosofica che si sono poi diffusi su larga scala, anticipando cambiamenti socio-culturali che successivamente hanno avuto riflessi sull’agire politico. Oggi questi movimenti culturali  sono il trash, l’influencer,  la mistificazione della verità, la disinformazione organizzata, il Festival dell’ignoranza diffuso attraverso i social media,   gli spettacoli televisivi, che creano solo disordine mentale.

Il mondo si muove sulle ruote della Geografia nelle sue varie sfaccettature,  fisica, geo-economia e  geopolitica. Per capire  da dove veniamo  e dove vogliamo andare abbiamo bisogno di studiare, non solo l’IA, ma soprattutto  la Storia, la Filosofia e la Geografia. Ma ai politici il sapere fa paura.

Nell’Ottocento e nata la  Geografia come scienza. Il mondo oggi si muove sulle ruote della Geografia e della Geopolitica. Bisognerebbe studiarle meglio, insieme alla Storia, per comprendere la complessità  del mondo  e diventare cittadini attivi e responsabile.

Oggi le identità, la religione, addirittura la razza, vengono sbandierate per fini politici e anche la Storia viene interpretata per giustificare comportamenti politici antistorici.

Le scelte politiche dell’attuale governo  sono l’espressione di una sintesi ideologica di tre movimenti culturali e politici che sono stari causa delle tragedie del Novecento: il Futurismo, che esaltava la tecnologia, la guerra come pulizia dell’Umanità, il maschilismo; il Nazionalismo e il sovra, la forza; il nazionalismo, che separa e  non uniscono; e il  Fascismo, espressione di autoritarismo e violenza. Una miscela esplosiva di cui liberarsi il più presto possibile.

Una riflessione più approfondita sul Novecento mi sembra opportuna per capire dove stiamo andando.

 

  1. L’eredità’ del Novecento. L’Italia è ancora un paese civile?

Il secolo XIX si chiude con la fine della grande crisi nel 1895, mentre il 1900 si apre  con l’uccisione del re Umberto I, uomo incolto e rozzo, incapace di gestire il regno, amante dei cavalli e delle donne, ma molto autoritario, da parte di Gaetano Bresci, un anarchico appena rientrato dagli Usa, ufficialmente per vendicare la ferocia con la quale il generale Bava Beccaris represse, nel 1898, i moti di Milano contro la politica autoritaria, che causò ufficialmente 82 morti ma secondo altre fonti i morti furono 118.

Nel primo Novecento anche in Italia  si sviluppò la grande industria, favorita dal protezionismo e dalla Banca commerciale italiana. I settori principali furono la metallurgia, il metalmeccanico, il chimico, l’automobilistico.

Alla fine dell’Ottocento venne inventato il primo triciclo a motore (1884) e pochi anni dopo (!88)a Giovanni Battista Ceirano venne l’idea di costruire un automobile ma, incontrando difficoltà finanziarie, penso di rivolgersi a un gruppo di nobili e uomini d’affari guidati da Giovanni Agnelli e nel 1899 nacque la Fiat S.p.A., nel 1906 nacque la Lancia e nel 1910  l‘Alfa Romeo.

Un contributo allo sviluppo industriale lo diede  la Banca Commerciale Italiana,  che deteneva una grossa quota di capitale tedesco, aiutò la società Elba di Milano ad acquisire la gestione delle miniere di ferro dell’isola d’Elba e così potenziare la produzione di Terni e controllare altre imprese metallurgiche italiane, i cantieri navali e le compagnie di navigazione.

Nel 1924 subentrò una nuova società, la S.p.A. Elba,, che nel 1934 venne assorbita dall’ILVA. Nel1980 le miniere dell’Elba vennero chiuse..

Con lo sviluppo industriale crebbe l’occupazione nel secondario e anche il proletariato. Crebbero le organizzazioni sindacali, in particolare la CGIL, i partiti di sinistra, il partito Socialista di Filippo Turati e si affermò il movimento sindacale ,che con gli scioperi costrinse i governi reazionari  e la borghesia  a rinunciare a metodi di gestione reazionari.

L’inizio dell’età giolittiana segnò anche l’inizio di una fase di compromesso che consentì di approvare alcune riforma a tutela dei lavoratori, il diritto di sciopero, la riduzione delle ore di lavoro e l’allargamento della base elettorale.

Il malcontento della classe operaia, cui si aggiunse anche il movimento femminista con l’ingresso delle donne nel mercato del lavoro, aumentò la tensione tra il proletariato e la borghesia. La notizia della  uccisione di operai che manifestavano in Sicilia e Sardegna aumentò la tensioni e iniziarono scioperi a Milano, Napoli, Firenze, Roma  e in molte altre città che paralizzarono le industrie.  Lo scioglimento della Camera del Lavoro a Genova trasformò gli scioperi locali in sciopero generale.

L’industrializzazione aveva prodotto un aumento dei consensi al partito socialista e al partito popolare  e un forte incremento demografico, che fece passare la popolazione   dai 13 milioni del 1700, ai 18 milioni del 1800 ai  34 milioni del 1900,  con un conseguente aumento del tasso di urbanizzazione. Fenomeni comuni anche all’Europa e al resto del mondo.

La maggiore richiesta di prodotti alimentari ha fatto lievitare i costi della merce. E se si pensa che l’industria ha cominciato a fabbricare beni di consumo durevoli e che il maggior reddito non aveva

favorito la classe media ma soltanto la borghesia industriale e commerciali, le tensioni sociali diventarono più aspre.

Le richieste dei sindacati riguardavano innanzitutto un aumento dei salari, ma anche case a basso costo e confortevoli per migliorare le condizioni di vita.

Il quadro sociale, quindi, diventava sempre più articolato e disomogeneo. Al divario Nord-Sud si affiancava un divario fra classi sociali e fra  territori tra il Nord ricco del Triangolo industriale e le aree agricole povere del Nord-Est.

Ben diversa la situazione in Europa.

All’inizio del 1900 in Europa c’era un apparente benessere che produceva fiducia nel futuro,  specialmente nella classe borghese ricca e dinamica, anche se in realtà esistevano forti diseguaglianze economiche e sociali destinate a creare conflitti interni. Alla fine dell’Ottocento in tutta Europa si era sviluppato una maggiore partecipazione alla vita politica da parte delle masse  formatesi con il nascente movimento sindacale e dei partiti di sinistra, socialista e comunista. Questo risveglio progressista mise in discussione i sistemi politici basati sul potere in mano ai ceti più abbienti, che pensarono di tutelare i loro interessi con interventi autoritari c finalizzate a  mettere in discussione  le istituzioni liberale e a limitare il potere del Parlamento a vantaggio del Governo.

Anche tra i diversi Paesi esistevano rivalità e competizione, soprattutto nella politica coloniale,  che favorì la nascita di alleanze tra stati, l’Alleanza  tra Inghilterra, Francia e Russia e la Triplice Intesa tra Germania, Austria e Italia. Inoltre, in Europa esistevano realtà istituzionali diverse: stati nazionali consolidati da tempo, stati nazionali che ancora ambivano ad annettere  territori  culturalmente omogenei ma che appartenevano ad altri stati, come nel caso dell’Italia. Inoltre, esistevano  Imperi multiculturali, con stati che ambivano a ottenere la propria autonomia.

Una miscela esplosiva alimentata anche dalle ambizioni su alcuni territori che i vari stati consideravano  geostrategici: i Balcani, l’Adriatico, il Mediterraneo e il corridoio Germania-Francia-Italia,  che interessava la Germania.

L’eccidio di Sarajevo del   28 giugno  1914 che causò la morte dell’Arciduca d’Austria Ferdinando e di sua moglie fu soltanto una causa occasionale per lo scoppio della guerra tra l’Impero austro-ungarico e la Serbia, da cui divampò la Prima Guerra Mondiale, una guerra di trincea che causò oltre 10 milioni di vittime.  La Prima Guerra Mondiale fu  la prima  tra potenze europee combattuta non con spade, frecce e cavalli tra guerrieri che si battevano in campo aperto, ma con mezzi molto più letali, come l’artiglieria pesante, i cannoni,  le mitragliatrici, i gas e i  lanciafiamme,  i mezzi corazzati  e gli aeroplani. Fu la prima guerra moderna, che portò miseria e lutti ma anche forme di eroismo  di donne e uomini, in particolare da pare degli italiani, dove numerosa è stata la partecipazione alla guerra da parte dei meridionali, che hanno dato un contributo determinante alla vittoria, specialmente dopo la disfatta di Caporetto. Una guerra che ha fatto incontrare giovani di varie regioni e di diversa cultura, ognuno dei quali parlava il proprio dialetto, favorendo coesione tale da far pensare che la guerra abbia “fatto” gli “Italiani”.

Fu per l’Italia un completamento del Risorgimento, per la conquista di Trento e Trieste, ma non  Fiume, la Dalmazia e  Nizza.

Nel Novecento si affermò  sul piano filosofico il Nazionalismo romantico, basato sugli ideali espressi dalla Nazione  come comunità culturale e storica identificata nel concetto di Patria, ma che presto divenne espressione della difesa delle identità  intese come purezza della razza, che non riconosceva l’altro come simile, una razza individuata anche con i tratti somatici e i colore della pelle, che consentiva di individuare come razza superiore quella europeo, meglio quella ariana, la Germanica, da unificare e proteggere anche con la forza e il genocidio. Una razza pura espressa dall’Europa, che aveva il dovere morale di educare i popoli arretrati e renderli civili,  Si giustificò così l’imperialismo ottocentesco, basato sul la difesa delle identità, una visione ideologica che in Germania e in Italia favori l’affermarsi di regimi autoritari, antidemocratici e violenti, come il Fascismo e il Nazismo.

La Prima Guerra Mondiale segnerà anche la fine di quattro imperi, il russo, il tedesco, l’asburgico, il turco-ottomano. Emersero come potenza internazionale gli  Stati Uniti d’America al posto dell’Inghilterra, che restò comunque la più grande   potenza coloniale. Con la guerra  si ridisegnò la carta geopolitica dell’Europa con la nascita di nuove entità statali, diventarono importanti i confini, che spesso includevano al loro interno etnie diverse, foriere di nuovi conflitti.

Nel primo  Novecento nacque  ufficialmente la società di massa che favorì la trasformazione delle città, una più accentuata forma di socializzazione e una impennata dei consumi e del tempo libero. Nacque anche il turismo, sia pure elitario e un nuovo stile di vita che si consolidò  dopo la fine della Grande Guerra,  sbocciò in Francia e si diffuse in tutta Europa e  che diventò un fenomeno artistico, socio-culturale, musicale,   chiamato la Belle Epoque. In Italia venne ben interpretata nei film di Fellini ambientati a via Veneto.

L’Italia, Paese membro della Triplice, non entrò in guerra nel 1914, dichiarandosi  Stato neutrale, ma vi entrò nell’anno successivo, però, a fianco dell’Alleanza, cambiando schieramento …in corso d’opera.

I motivi dell’ingresso in guerra furono diversi.

La popolazione in larga parte non gradiva che l’Italia entrasse in guerra ma prevalsero i belligeranti. Erano  gli interventisti, i nazionalisti, i socialisti rivoluzionari, tra cui si distingueva Benito Mussolini e i liberali non giolittiani. Erano contrari i cattolici, i neutralisti, ossia i moderati.

Tra i fautori della guerra erano anche i futuristi. Il Futurismo fu un movimento artistico, culturale, filosofico, politico che nacque all’inizio del Novecento in Italia e influenzò anche la nascita di movimenti  simili in Europa e negli Stati Uniti.

La nascita viene influenzata dallo sviluppo industriale e vede nell’arte nella poesia lo strumento per esaltare  la nuova era industriale, la tecnica, la tecnologia e quindi il movimento, la velocità, la corsa che la rivoluzione industriale esprime, tutti cambiamenti con  forti riflessi sulla società. E’ una corrente che si contrappone  alla cultura del passato e del proprio tempo e auspica un futuro “moderno” rifiutando tutti i valori del passato , contro la tradizione letteraria e politica, contro la società borghese ed esalta la macchina, la tecnica, l’aggressività. Considera la guerra come igiene dell’uomo come distruzione del passato e in questo senso anticipa il Fascismo.

Interessi diversi, dunque, indussero il governo a dichiarare la guerra all’Austria-Ungheria: speranza di guadagni territoriali e anche la speranza  la guerra potesse indebolire la borghesia, i borghesi interessati alla politica coloniali, fabbricanti di armi, ma soprattutto un patto segreto tra Italia  e Gran Bretagna  con la promessa  di una espansione territoriale a danno dell’Impero austro-ungarico. Ma incise pure la preoccupazione che la Germania potesse invadere l’Italia come avvenne con la Francia attraversando il Belgio, paese neutrale.

Le aspirazioni italiane, però,  vennero in parte disattese perché come potenza vincitrice ottenne soltanto Trento e Trieste ma non  Fiume  e la Dalmazia.

L’accordo di pace firmato nel 1915 impose condizioni durissime alla Germania, che vennero accettate temendo che  le rivolte scaturite da un esito della guerra che non aveva portato nessun vantaggio,  potessero sfociare in  una rivoluzione civile, come avvenne in Russia nel 1917. Ciò lasciò un risentimento che fu la causa della Seconda Guerra Mondiale, che  scoppiò con l’occupazione della Polonia da parte della Germania nel 1939,  una prima delle undici occupazioni che seguirono.

La Conferenza di Pace organizzata a Parigi nel 1919 dai paesi vincitori della guerra disegnarono un nuovo equilibrio geopolitico in Europa e nel Medio Oriente.

Vennero smembrati i quattro grandi imperi (austro-ungarico, ottomano, russo e tedesco, che era stato appena formato) e vennero creati nuovi stati: Polonia, Cecoslovacchia Jugoslavia, Finlandia, Lituania, Lettonia, Estonia e Albania. Altri stati ebbero modifiche  territoriali con conseguenti variazioni di confini: il Trentino-Alto Adige, Gorizia, Trieste, e l’Istria passarono all’Italia; la Boemia, la Moldavia e la Slovacchia formarono la Cecoslovacchia; la Bucovina passò alla Romania; la Carinzia venne divisa tra Austria e nuovo Regno dei Serbi che, insieme a Croati e Sloveni e il Burgenland,  che, con un plebiscito, formarono la Jugoslavia.

Lo smembramento dell’Impero ottomano ebbe notevoli riflessi sulla ridefinizione dei confini territoriali nel Medio Oriente, le cui decisioni prese nella Conferenza di Parigi rappresentano le cause principali che alimentano  ancora oggi i conflitti  in quell’area.

La presenza di una entità politica come la  Sublime Porta, ossia il Sultanato Islamico, aveva impedito la totale colonizzazione delle potenze europee nel Vicino e Medio Oriente. Il suo crollo permise  alle potenze europee di estendere la loro influenza su un’area di grande importanza strategia inventandosi la nascita di nuovi stati: Iraq, Giordania, Libano Siria, Kwait e Arabia Saudita, creati per soddisfare gli interessi europei, in particolare di Francia e Gran Bretagna. Il domino su questi territori avvenne attraverso il sistema dei Mandati, creati dalla Società delle  Nazioni, organismo internazionale creato nella Conferenza di Versailles nel 1919, che lavorava in parallelo alla Conferenza di Parigi, con l’adesione di Gran Bretagna, Francia e Italia, ma non degli USA, che  non hanno maia aderito alla Società delle Nazioni ma erano entrati a far parte dell’Alleanza nel1917 per partecipare alla guerra erano in risposta agli attacchi che la Germania aveva messo in atto contro le navi commerciali nell’Atlantico.

Anche la Palestina venne posta sotto il dominio della Gran Bretagna con  il Mandato della Società delle Nazioni. Il governo britannico nel 1917,  per il tramite del suo ministro degli Esteri, inviò un documento ufficiale a Lord Rothschld, rappresentante della Comunità ebraica inglese e  presidente del Movimento sionista. In questo documento il ministro affermava che il governo inglese si impegnava a creare  una dimora nazionale  per il popolo ebraico in Palestina, senza pregiudicare i diritti relligiosi e civili dei palestinesi.

Lo stato di Israele è stato creato   nel 1948, sull’abbrivio della Shoah,  In quell’anno, il 14 maggio, David Ben Gurion, primo presidente dello Stato, poté ufficialmente proclamare la nascita  dello Stato di Israele. Indubbiamente fu un momento importante perché dopo duemila anni gli israeliani ritornavano nella loro Terra.

L’attuale territorio di Israele è stato abitato nei tempi da diverse etnie e civiltà, i primi furono i cananei, poi gli egizi, gli israeliti, i filistei, gli assiri, i babilonesi, i romani, i greci, i bizantini, i persiani, gli arabi, i crociati e gli ottomani.

I palestinesi vi arrivarono nell’ottavo secolo con la conquista araba  della regione. Gli ebrei nomadi arrivarono in Palestina nel XIII secolo a.C., quando  quella Terra era sotto il dominio dei Filistei, giunti per mare, forse provenienti da Creta. Nel 1800 in Palestina vivevano circa  20 mila ebrei, molti dei quali arrivati proprio attorno a quella data.

Prima dei romani esisteva  in Palestina il Regno di Israele e di Giuda fondato nel X secolo a.C., che durò fino al 587 a.C., quando il babilonese  Nabucodonosor conquistò Gerusalemme e deportò gran parte degli ebrei, in larga parte in Egitto e in misura minore a Babilonia.

Nel II sec. a.C. i Maccabei (i 7 fratelli) fondarono un movimento di ribellione contro il re dell’impero seleucide, che li voleva ellenizzare e fondarono il Regno di Giuda, ce durò dal 129 a.C.  fino all’arrivo dei romani in Palestina, nel 63 a.C.

Nel 539 a.C. Ciro il Grande conquistò Babilonia e si comportò da Liberatore perché lasciò agli ebrei deportati a Babilonia liberi di ritornare in Palestina e fece anche ricostruire il Tempio di Gerusalemme che i Babilonesi avevano distrutto.

A seguito della persecuzione romana, ormai convertiti al Cristianesimo, molti ebrei si convertirono al paganesimo, al  cristianesimo e all’islam. Nel XIX secolo vivevano in Palestina circa 7 mila ebrei, nel 1900 erano 50 mila, nel 1914 80 mila.  Nel 1947 gli ebrei erano l’11% della popolazione, nel 1947 il 32%. Oggi nei territori della Palestina e di  Israele  vivono sette milioni di ebrei e 7 milioni di palestinesi.

Nel 1947 l’Assemblea Generale dell’ONU deliberò a maggioranza un piano di ripartizione della Palestina per la fondazione di uno stato  ebraico e di uno stato palestinese. Venne delimitato il territorio dello Stato ebraico, che fu fondato ufficialmente nel 1948, mentre a tutt’oggi non esiste ancora lo stato palestinese. In circa ottant’anni il problema non è stato ancora risolto nell’indifferenza generale,  nonostante i continui conflitti, stragi, guerre e morti di donne, uomini e bambini. Israele occupa abusivamente territori palestinesi, costruisce insediamenti ebraici in Cisgiordania e solo di recente la Corte internazionale dell’Aja ha condannato Benjamin Netaniahu per criminale di guerra. Ma i bombardamenti di Israele continuano e l’Occidente continua a fornire armi   modernissime a Israele.

Le responsabilità dell’Occidente nei conflitti in corso in Medioriente sono considerevoli.

Contrariamente a quanto stabilito nella Conferenza di Parigi, su sollecitazione degli USA di tener conto del principio di autodeterminazione dei popoli nella formazione degli stati, da definire su base nazionale, cioè tenendo conto delle identità etnico-culturali, nel Vicino e Medio Oriente invece vennero  tracciati nuovi confini arbitrari che non tenevano conto degli elementi religiosi e delle etnie dei vari popoli, innescando pericolose dinamiche conflittuali.

Le finalità di questa scelta furono quelle di dividere le società preesistenti per aumentare le rivalità interne attraverso la frammentazione delle etnie in più stati per alimentare la reazione delle minoranze (in particolare quella curda),  contro le rivendicazione arabe.

Il Trattato di Sèvres del 1920 ridefinì nuovamente   i confini mediorientali, già tra l’altro  modificati in seguito alla guerra  italo-turca del 1911-12 e dalle guerre balcaniche del 1912-13, così mutando ulteriormente gli equilibri geopolitici nell’area. Si ruppe definitivamente quella Pax romana, con la quale nel Medioriente popoli di culture diverse, musulmani, ebrei e cristiani convivevano pacificamente

L’obiettivo finale delle potenze occidentali era quello di controllare le vie di comunicazioni, il monopolio del commercio e le risorse dell’area, specialmente la nuova risorsa-petrolio, attraverso il controllo dei giacimenti.

La Grande Guerra non modificò soltanto gli equilibri geopolitici, causo notevoli danni economici, distruzioni materiali e immateriali, morti, rifugiati, disoccupazione, problemi alle reclute, spesso abbandonate a se stesse per deficit di bilancio a  causa delle gravose spese militari, ma anche molti disoccupati, perché i soldati tornati dal fronte si sono ritrovati senza lavoro.

In tutta Europa dopo la fine della guerra  crebbero malcontenti e rivolte contro gli esiti del conflitto, in particolare in Germania e in  Italia.

In Germania la sconfitta causò danni notevoli sul piano finanziario, aggravati dal risarcimento dei danni di guerra. Un impero che si era formato pochi anni prima (1871) sulla spinta del Regno di Prussia nonostante  le ostilità di Austria e Francia venne smembrato e  la sconfitta costò cara alla Germania non solo sul piano territoriale, perché fu costretta ad accettare il Patto di Versailles, che attribuiva alla Germania la responsabilità dell’inizio del conflitto. I danni della guerra furono notevoli, ammontarono a 132 miliardi di marchi. Berlino, che dal 1920 aveva conosciuto un intenso sviluppo industriale ed era diventata la più grande città della Germania caratterizzata da intensa vita sociale, artistica  e culturale, dal 1929 cominciò a vivere un periodo di crisi, con chiusure di fabbriche, disoccupazione crescente e crisi economica e sociale, una situazione aggravata anche dalla crisi mondiale causata dalla guerra, che favorì l’insorgere di proteste e attività propagandistiche da parte di gruppi reazionari sulla “pugnalata alle spalle” ricevuta dalla Germania. La crisi e gli scioperi  portarono    all’ascesa al potere della destra nazista e alla nomina da parte del Presidente  tedesco,  nel 1933,  di  Hitler a  cancelliere della Repubblica di Weimar.

Sono tutte premesse che portarono la Germania a essere nuovamente la causa scatenante della Seconda guerra mondiale, cominciata con l’invasione della Polonia nel 1939.

Condizioni simili si crearono in Italia alla fine della Grande Guerra.

Le condizioni dell’Italia, nonostante la vittoria, erano ugualmente disastrose: 450 mila morti, 650 mila feriti, 3 milioni di reduci. Dal punto di vista economico bisognava ricostruire interi territori distrutti, riconvertire l’industria da un’economia di guerra a una economia di pace, riprendere la coltivazione dei terreni agricoli abbandonati durante la guerra, rifornire gi arsenali, in un momento in cui le casse dello stato erano pressoché vuote. Inoltre, il commercio internazionale era crollato e bisognava ricostruire le alleanze in un quadro geopolitico mutato avendo la guerra favorito l’ascesa di USA e Giappone e indebolito l’Europa, esclusa la Gran Bretagna,  che comunque restava la prima potenza navale. Si avvertiva la mancanza di prodotti alimentare e delle  materie prime per le industrie perché bisognava ricostruire strade, ponti, ferrovie, porti e nuove navi  perché le fotte erano state distrutte e bisognava anche ricostituire gli arsenali. Il protezionismo sostituì il liberismo e quindi il passaggio a una economia autarchica, con  il conseguente isolamento  che rese difficile  i rifornimenti delle materie prime per la ricostruzione. Fu necessario un intervento pubblico in economia che fece nascere lo stato imprenditore.

Sul piano sociale c’era molta povertà e molta disoccupazione perché i soldati tornati dalla guerra stentavano a trovare lavoro e poi c’era il problema dei reduci, lasciati a se stessi. Le difficoltà economiche generarono molto malcontento.

Dopo una prima fase di euforia cominciarono le polemiche per la vittoria mutilata, come l’aveva definita Gabriele D’Annunzio, non avendo ottenuto nel Congresso di Parigi quanto sperato, ossia Fiume e la Dalmazia, abitata dada croati.

Del resto la trattativa era stata condotta malissimo perché il presidente del Consiglio Sonnino aveva obbligato la delegazione italiana ad abbandonare il Congresso per protesta, ma i lavori continuarono anche senza la delegazione italiana e quando  rientrò i giochi erano s già stati  conclusi.

L’economia italiana, come abbiamo già fatto cenno  stava vivendo una grave crisi, l’aumento dei prezzi per la scarsità dell’offerta e l’inflazione avevano ulteriormente indebolito il  potere d’acquisto dei lavoratori e le elezioni politiche del 1919 avevano dato un chiaro segnale per un governo progressista. Il partito socialista aveva avuto un largo consenso, insieme al nuovo Partito popolare di don Sturzo: il 32% dei voti e 156 deputati al primo, oltre il 20% dei consensi e 100 deputati al secondo. I Fasci di Mussolini non ebbero nessun deputato. Ma i socialisti presto si divisero tra riformisti e massimalisti e una parte dei cattolici e dei conservatori guardavano a destra.  Così il governo che si formò, come al solito, fu debole. Tra il 1919 e il 1922 furono ben quattro i governi, tutti di breve durata. Dopo il governo di Francesco Saverio  Nitti, nel 1920 tornò a presiedere il governo Giovanni  Giolitti con un governo di coalizione.  La popolazione sperava in un governo stabile e progressista in grado di  avviare le  riforme necessarie  per  modernizzare il Paese e rilanciare l’economia, ma così non fu. Giolitti   tentò di mediare tra le diverse anime politiche e venire incontro alle istanze dei contadini e degli operai avviando una sere di riforme sociali, tra cui aumenti salariali e  riduzione dell’orario di lavoro a 8 ore. Ma non fu sufficiente. Nel cosiddetto biennio  rosso  1919-1920  si ebbe una serie di lotte da parte di operai e contadini  che ebbero il punto più radiale nell’occupazione delle fabbriche nel settembre 1920. Nazionalisti, irredentisti  e il  Movimento dei Fasci di Combattimento, fondato  il 23 marzo 1919 da  Benito Mussolini, che si presentò come uomo dell’ordine e della difesa della proprietà privata per far  presa sugli agrari e sulla borghesia industriali nonché sulla classe media che si sentiva trascurata, avviò una  diffusa azione di violenza,  di aggressioni, di pestaggi  per intimorire i moderati  con lo sparacchio dell’arrivo dei bolscevichi, attraverso gli squadristi fascisti. Mussolini cavalcò anche la questione Fiume, schierandosi con D’Annunzio, che comunque Giolitti risolse nel 1920 ottenendo che Fiume fosse una città indipendente. Ma non bastò a fermare aad’Annunzio che con un manipolo di reduci e nazionalisti l’aveva  occupata , ma Giolitti nel 1920 impose con le armi a D’Annunzio di abbandonare Fiume.

Giolitti non volle agire contro i manifestanti e ciò fece aumentare il risentimento dei ceti borghesi. Ne approfittò Mussolini che organizzò  le Squadre di Azione fasciste .  Indossavano le camice nere e salutavano con il braccio alzato, che diventeranno i simboli del Fascismo,  ed erano  formazioni paramilitari composte anche da arditi, che facevano atti di violenza contro le sedi dei sindacati e gli avversari politici.

Una  delle prime e più eclatanti imprese dei fascisti fu l’incendio della sede del quotidiano socialista L’Avanti e  l’assalto a Bologna del Palazzo D’Accursio, sede del Comune, in occasione dell’insediamento del nuovo governo socialista il 21 novembre 1919.

Nel XXVII Congresso del Partito Socialista Italiano    tenuto a Livorno  nel 1921, in un clima di scontro in atto nel mondo operaio a livello internazionale, la corrente massimalista e rivoluzionaria uscì dal partito e fondò il Partito Comunista d’Italia.

Qualche anno prima, nel 1917, la rivoluzione russa aveva  rovesciato l’Impero russo  dei Romano, che venne sostituito dalla Repubblica socialista sovietica, poi sostituita, in seguito alla guerra civile dall’URSS. La rivoluzione scoppiò per l’incapacità del governo di far fronte alla grave crisi economica che aveva causato una carestia a fine Ottocento,  le cui conseguenze ancora si avvertivano, nelle città lo sfruttamento dei lavoratori e il diffuso stato di miseria creava rabbia che sfociò in scioperi e proteste collettive. La famiglia Romanov venne brutalmente uccisa e loro corpi furono  ritrovati soltanto nel 1979 ma la notizia venne diffusa soltanto nel 1989, nel periodo della glasnost.I

Alla rivoluzione d’ottobre seguì a dicembre del 1917 una guerra civile quando alcuni generali dell’esercito russo si ribellarono al governo bolscevico e tentarono di organizzare un esercito di volontari. La Russia zarista era governata in maniera autoritaria dallo zar, che aveva un potere inviolabile. A seguito della rivoluzione lo zar Nicola II dovette abdicare.

Fallito ogni tentativo di costituire un governo democratico, Lenin approfittò dello stato di incertezze e prese il potere instaurando una dittatura sanguinaria

In Italia il governo dei bolscevichi fece gioco a Mussolini, che con l’appoggio della borghesia, dell’esercito, del ceto medio e con un re disattento e incapace di fronteggiare la situazione, preoccupato soltanto di conservare il potere, Mussilini, che aveva  il Partito nazionale fascista costituito da Mussolini nel    organizzò una manifestazione eversiva, la marcia su Roma con lo scopo do estromettere il governo Facta e costringere il re a dare l’incarico a Mussolini. Il 28 ottobre il governo dichiarò lo stato di emergenza ma Vittorio Emanuele III si rifiuto e il 30 ottobre e 31 ottobre 1922 fu ufficialmente capo del governo dal al 31 ottobre diede l’incarico a Mussolini di formare un nuovo governo, primo ministro segretario di stato. Durò in carica fino al 25 aprile 1943. Nel novembre del 1922 ottenne la fiducia alla Camera con 306 voti favorevoli e 116 contrari , il 29 novembre al Senato.

Alla elezioni del 1921 i Fascisti ottennero 36 seggi , i blocchi nazionali bel complesso  105 seggi , il socialista 123, il partito popolare 108 seggi.

I primi provvedimenti  economici presi dal governo Mussolini  diedero buoni risultati perché  incisero sulla riduzione del debito ed ebbe un impulso sia l’industria che l’agricoltura e sancirono lo strapotere delle gradi imprese monopolistiche. Cominciò un avvicinamento alla Chiesa per tentare  ammorbidire  la posizione di forte ostilità del PPI.

Al fine di rafforzare il suo consenso Mussolini fece un’alleanza elettorale con nazionalisti, creando il   Blocco nazionale e nel 1923 approvò una nuova legge elettorale maggioritaria con premio di maggioranza  in sostituzione  di quella proporzionale di Giolitti. Con questa nuova legge  si  svolsero  le elezioni del 1924.

A queste elezioni il Blocco nazional prese il 60% dei consensi e 355 seggi, la seconda lista Nazionale prese  altri 19 seggi il Partito popolare 39 seggi, le due liste dei socialisti 63 seggi,  il Partito Comunista 19 seggi, i due partiti liberali 8 seggi.

Nelle liste Nazionali, oltre ai fascisti, erano presenti candidati a esclusivo titolo personale esponenti altro orientamento politico, alcuni dei quali abbandonarono lo schieramento dopo il caso Matteotti.

Le  consultazioni si svolsero in un clima di violenze e intimidazioni da parte delle squadre fasciste. Alla Camera Giacomo Matteotti pronunciò un duro discorso chiedendo l’annullamento delle elezioni. Si creò un clima di indignazione generale che interessò molti deputati, tra cui anche alcuni di quelli che erano stati eletti nel listone ma che non erano fascisti. Quel discorso costò caro a Matteotti  perché il 10 giugno 1924 venne rapito e ucciso,  e il cadavere fu trovato soltanto  due mesi dopo. Mussolini, in un discorso alla Camera dei Fasci e delle Corporazioni  tenuto il 3 gennaio 1925, ironicamente si assunse la responsabilità dell’omicidio dicendo provocatoriamente:…se pensate il Fascismo non è stato che olio di ricino e manganelli…o un’associazione a delinquere … a me la responsabilità di questo, responsabilità morale. I partiti dell’opposizione,  per protesta contro il governo in seguito all’uccisione di Matteotti,  dal 27 giugno 1924 abbandonarono l’Aula e fecero la secessione dell’Aventino.-

Da quel momento Mussolini assunse sempre più atteggiamenti autoritari, eversivi  e antidemocratici, avviando un processo di fascistizzazione del Paese.

Dopo quel discorso Mussolini, con il sostegno degli squadristi e quello silenzioso di polizia e magistratura e della Chiesa e il sostegno di Vittorio Emanuele III , iniziò l’opera di smantellamento dello Stato, cominciando dall’opposizione, svuotando il Parlamento delle sue funzioni, mettendo il bavaglio alla stampa e ai mezzi di  informazione

Per controllare il dissenso si servì dei  prefetti  e delle forze di polizia e istituì il Tribunale speciale per la difesa dello Stato, sciolse le istituzioni politiche e sindacali sovversive o antifasciste  e istituì il confino per i reati politici.

Nel 1928 creò il Gran Consiglio del Fascismo come organo superiore del Partito e dello Stato ed emanò una nuova legge elettorale con sistema  maggioritario, premio di maggioranza e lista unica senza preferenze  e senza garanzie per la segretezza del voto (Legge Acerbi). I deputati da eleggere erano 409. La legge fu  emanata dal Gran Consiglio, composto da amici e parenti.

Con la totale sovrapposizione tra Partito Nazionale Fascista e Stato italiano, Mussolini avrva completato il suo lavoro, instaurando la dittatura.

Nel corso dei suoi anni di governo, nel 1929 stipulò i Patti Lateranensi tra la Santa Sede e il governo, ponendo fine alla Questione romana e riprese la politica coloniale riconquistando la  Libia  e invadendo la Somalia (1935-36) con una campagna militare violenta e feroce anche con l’uso di gas proibiti a livello internazionale, intervento censurato  dalla Società delle Nazioni  con  sanzioni economiche.

In merito alla politica estera,  appoggiò i fascisti nella guerra civile spagnola (1936-39), con la Germania del Nazionalsocialismo di Adolf Hitler nel 1936 firmò l’Asse Roma-Berlino e nel 1939 il Patto d’Acciaio. Nel 1938 con una serie di provvedimenti legislativi e amministrativi rese operative le Leggi razziali, riconoscendo i campi di concentramento tedeschi  e così favorendo lo sterminio degli ebrei. Nel 1929 scoppiò una crisi economica  che, iniziata negli Stati Uniti si estese poi i tutto il mondo, provocando una grande depressione. La crisi venne provocata da una mancata crescita del potere d’acquisto, nonostante  l’incremento della produttività e degli investimenti, favoriti da bassi tassi di interesse e bassi interessi sui prestiti, che però vennero utilizzati non per  investimenti produttivi ma per attività a carattere speculativo. Le Borse crollarono, i titoli si svalutarono, gli azionisti ebbero  forti perdite. Si ebbe un repentino aumento dei tassi di interesse, crollarono gli investimenti e seguì un periodo di recessione e depressione a livello globale.Tra 1932 e 1934 la produzione crollò anche del 25-30%, tra 1929 e 1934 la disoccupazione interessò i milione di lavoratori tra 1032 e 1934.Gli Stati reagirono con investimenti pubblici, negli Usa si ebbe un secondo New Deal tra 1935 e 1938.

In Italia il governo già nel 1925 aveva avviato  una politica di autarchia economica e di investimenti pubblici. Se la politica autarchica aveva favorito inizialmente un rilancio della produzione, successivamente  causò una crescente inflazione e svalutazione della lira. Né ha funzionato la rivalutazione della moneta perché se ha difeso la produzione delle imprese deboli  per proteggerle dalla concorrenza, le imprese più grandi che avevano bisogno di acquistare materie prime, furono svantaggiate perché rese  di fatto  non competitive sui mercati stranieri.

Nel 1930, come risposta alla Grande depressione,  il Fascismo aumentò il ruolo di Stato imprenditore con un intervento più diretto in economia e varò un programma di lavori pubblici, in particolare con la bonifica delle aree paludose, anche per aumentare la produzione di  cereali (battaglia del grano). L’intervento più importante è stato la bonifica dell’Agro Pontino.

Per sostenere  le industrie in crisi, oltre all’IRI, ha creato anche l’Istituto Mobiliare Italiano (IMI).

Con la creazione dell’IRI e il sostegno alle Banche in crisi lo Stato diventò azionista delle  principali aziende del Paese. Inoltre avviò una nuova fase di espansione coloniale in Somalia al fine di creare una “Nuova Italia”, confiscando le terre alle popolazioni locali e favorendo l’emigrazione di contadini per aumentare la produzione agricola per l’autosufficienza alimentare.

La politica economica del Fascismo si basava anche sul riconoscimento delle classi sociali e del loro conflitto ma, per il bene della Nazione, questo conflitto andava  regolato  e superato attraverso un organismo superiore e all’interno di una comune  organizzazione del lavoro, ossia  attraverso le  Corporazioni, cioè con lo Stato sindacal-corporativo, di fatto per indebolire il Sindacato. Infatti, i  sindacati vennero  sciolti e le attività economiche strategiche vennero  controllate da Partito Fascista. Venne inoltre resa obbligatoria l’iscrizione  al partito fascista e  alle associazioni di regime, condizione indispensabile  per poter avere un lavoro. Per difendere il valore della lira senza svalutare e di fronte ad un aumento dell’inflazione e del costo della vita si attuò  la riduzione dei salari del 10%,  e l’abolizione dell’indennità di carovita agli impiegati.

Poiché gli scioperi continuavano in quel periodo ci furono 8000 condanne sindacali.  Per recuperare il consenso si rilanciò l’industria degli armamenti e l’espansione coloniale come elemento di prestigio e di propaganda.

Intanto in questo quadro difficile anche a livello internazionale scoppia la Seconda guerra mondiale nel 1939, quando la Germania invase la Polonia.

L’entrata in guerra della Germania trova giustificazione nella visione  ideologico-politica di Hitler, ben diversa dal tradizionale  nazionalismo germanico e dell’espansionismo coloniale. L’obiettivo del Fuhrer basato sul concetto di spazio vitale che giustifica l’espansionismo territoriale finalizzato a creare  un dominio assoluto sull’Europa e sul mondo per affermare la superiorità della razza ariana, asservendo e distruggendo le razze inferiori, come gli ebrei. Una concezione  della politica   che si basa su elementi raziali ed etnico-biologici che ha come obiettivo la pulizia razziale attraverso deportazioni e depurazioni per affermare il dominio della razza germanica.

A questa aberrante politico-filosofia si aggiungeva anche la riconquista dei territori perduti con la sconfitta nella prima guerra mondiale e  per vendicarsi delle dure condizioni imposte alla Germania dalle potenze vincitrici.

Mussolini in un primo momento si dichiarò neutrale, anche perché il popolo, i militari e lo stesso re non ritenevano opportuna una guerra perché l’Italia non era attrezzata.

Il suo esercito aveva già mostrato le sue lacune nelle guerre di indipendenza e nelle guerre coloniali. I mezzi, di terra, di cielo e di mare a disposizione erano pochi e obsoleti. L stessa politica industriale militare di Mussolini era debole e, per esigenze di bilancio e raccogliere valuta pregiata, l’Italia vendeva mezzi militari all’estero, addirittura ai suoi potenziali rivali.

L’unica giustificazione per entrare in guerra si poteva soltanto trovare in un visione di carattere  di carattere opportunistico, salire sul carro del vincitore per partecipare alla divisione delle spoglie del nemico, stesso comportamento tenuto nella prima guerra mondiali: entrare in guerra e contro di chi, nonostante l’esistenza di un patto di reciprocità cin la Triplice. Un uomo veramente inaffidabili, altro che grande politico!

Quindi, una scelta ancora una volta opportunistica, perché, nonostante le tante perplessità di tutti i soggetti istituzionali, cambiò idea e dal Balcone di Piazza Venezia annunciò alla folla festante l’entrata in guerra al fianco della Germania, pensando che fosse il cavallo vincente.

Ancora, pur non  essendo dotato di un potente esercito, mentre era in guerra sul fronte europeo, iniziò una campagna di conquista nei Balcani, in Grecia e nelle isole dell’Egeo e volle anche partecipare alla Campagna di Russia, nonostante Hitler lo sconsigliasse, e mandò i soldati a combattere con un abbigliamento adeguato, forse, per una gita fuori porta, piuttosto che andare a combattere  su territori ghiacciati, con temperature sottozero e on un fucile in ano.

L’esito finale  fu disastroso. Opportunamente pensava di fare una guerra parallela  per poi sedersi comunque al tavolo della pace e, confidando sulle sue capacità … diplomatiche, ottenere guadagni territoriali.

Il vero dramma è che oggi qualcuno pensa che Mussolini e la sua ideologia possano essere un utile modello per risollevare le sori del nostro Paese. Idolatria o scarsa conoscenza della realtà?

Ma il finale fu molto diverso da quello immaginato. Fu farsa o tragedia?

Hitler, per il tramite di Ribbentrop, lusingò Mussolini con la promessa di dare all’Italia l’intero controllo del Mediterraneo, m il realtà temeva un’alleanza dell’Italia, un paese strategicamente importante,  con la Francia, allargando così la lista delle forze nemiche.

I rapporti tra Francia e Italia si erano rinsaldati sulla base di un possibile accordo sulla base di alcune garanzie sui possedimenti italiani in Africa, ma in Parlamento alcuni deputati gridarono: “Nizza, Savoia, Corsia”. Nel Parlamento era presente  il nuovo ambasciatore francese che percepì subito l’ambiguità del governo Italiano.

L’Italia si riavvicinò alla Germania e il 22 maggio 1939 firmò un’alleanza difensiva-offensiva  con la Germania, il Patto di Ferro, supponendo che la Germania non avrebbe iniziato   nuovi conflitti in Europa.

Mussolini era consapevole della debolezza militare dell’Italia e aveva tentato di spingere s Hitler di avere una moratorio di quel Patto per consentire di attrezzare adeguatamente  l’Esercito. Di fronte alla disponibilità di Hitler, Mussolini presentò una lista con richieste esorbitanti e poi chiese di essere esonerato dal partecipare al conflitto con lo scopo di non essere considerato traditore. Hitler rispose che l’Italia poteva non partecipare al conflitto. Ma fu una risposta semplicemente diplomatica ma il fuhrer capì che dell’Italia non poteva fidarsi.

Il 1 settembre1939 la Germania invase la Polonia e cominciò così la Seconda Guerra Mondiale e in breve tempo l’invasione tedesca interessò altri undici paesi.

Mussolini pensò che la Germania avrebbe vinto la guerra in breve tempo e il  giugno 1940 dichiarò di essere entrato in guerra al fianco della Germania nazista il 10 giugno 1940 e inizio con operazioni parallele, invadendo una porzione limitata del territorio francese e entrando in conflitto con la Gran Bretagna nell’Africa orientale, entrando nel conflitto greco-balcaniche, collezionando sconfitte sul campo e perdendo la propria autonomia geopolitica. Quado la Germania attaccò la Russia nonostante esistesse un patto di non aggressione con la Russia i(il Patto Ribbentrop –Molotov), l’Italia partecipò all’operazione Barbarossa, ossia all’invasione tedesca della Russia nel 1941, che si risolse un modo disastroso per l’Italia e per la Germania. Fu una sconfitta  che cambiò gli equilibri della guerra. L’esercito russo fece prigionieri 640 mila soldati, costretti   a raggiungere a piedi  nella neve i campi di concentramento. I morti per l’Italia furono 84 mila su 300 mila uomini partiti e ne ritornarono  soltanto 10 mila nel 1954..

L’Italia entrò nel vivo del conflitto quando il 10 luglio 1943 gli anglo-americani sbarcarono in Sicilia con due armate guidate dal generale americano Pattern e dal generale Montgomery per risalire la penisola e giungere a Roma. Altri sbarchi avvennero a Salerno e Anzio e in Francia con l’eroico sbarco in  Normandia. I tedeschi vennero chiusi a tenaglia in una morsa con operazioni strategiche ben studiate.

La sconfitta della Germania era ormai segnata. In Italia cominciarono scioperi  e manifestazioni contro il Fascismo e il 25 luglio il Gran Consiglio del Fascismo depose Mussolini, un episodio che significò anche la fine del Fascismo la caduta del Fascismo dal punto di vista della legittimità ma non fattuale.

Il re, svegliatosi da un lungo torpore, fece arrestare Mussolini, che venne portato in prigione sul Gran Sasso, ma liberato poi dai Tedeschi e fondò la Repubblica di Salò (Repubblica Sociale Italiana), di fatto posta sotto il controllo nazista.

L’8 settembre 1943  il maresciallo Pietro Badoglio rese pubblico con  un Proclama di aver firmato  il giorno 3 settembre 1943 l’armistizio di Cassibile (Siracusa) dopo la deposizione di Mussolini. Badoglio assunse la carica di capo del Governo.

Con l’armistizio l’Italia si arrese agli Alleati  con  la formula di resa incondizionata e con questo atto finì anche l’alleanza con la Germania ma la presenza tedesca in Italia era consistente e i fascisti restarono alleati dei tedeschi così che la guerra si trasformo in guerra civile con i fascisti e i tedeschi contro le forze alleati, gli uomini e le donne della Resistenza e contro gli italiani.

ma la guerra si  trasforma in guerra civile con Fascisti e tedeschi alleati con le forze alleate e contro gli Italiani.

Il periodo 8 settembre 1943-25 aprile 1945 furono mesi terribili. Le forze armate tedesche occupano il territorio italiano e iniziò la Resistenza  per la liberazione dell’Italia dal nazifascismo. Fu un periodo eroico, in cui l’Italia riacquistò la sua  dignità e onorabilità  di paese civile  che lottò per reintrodurre la democrazia cancellata dal Fascismo. Gli ebrei vennero  catturati, arrestati, torturati  e deportati in Germania e  lì uccisi nelle camere a gas. Furono mesi terribili funestati da  battaglie, rappresaglie, attentati, fucilazioni, che si conclusero con la liberazione di molte città del Nord Italia, della città di Milano e della resa dei tedeschi in Italia. Il 25 aprile venne indicato come il giorno della Liberazione dell’Italia dal nazifascismo.

Benito Mussolini fu catturato il 27 aprile 1945, nascosto  in un camion e vestito da soldato tedesco mentre fuggiva in Svizzera. Venne ucciso a Dongo il 28 aprile 1945 insieme all’amante Claretta Petacci, che volle condividere la sua sorte da un gruppo appartenente   ai partigiani della  Brigata Garibaldi.

La Seconda Guerra Mondiale si concluse il 14 agosto 1945, giorno in cui l’imperatore Hirohito dichiarò la resa incondizionata del Giappone, dopo che gli USA avevano sganciato il 6 e il 9 agosto due bombe nucleari su Hiroshima e Nagasaki, causando la morte di oltre 210 mila morti e 150 mila feriti.

Il motivo del  ricorso al nucleare  fu la reazione all’attacco giapponese alla base aerea americana di Pealr Harbor, nelle Hawaii, ma anche per dimostrare all’URSS la forza militare degli USA, in un momento in cui  si andavano a configurare i nuovi assetti  geopolitici globali basati sulla competizione USA-URSS, che poi  portò alla creazione di due blocchi contrapposti  che consentirono una lunga pace, frutto di un  equilibrio instabile basato sul reciproco potenziale nucleare, ma in un clima  di Guerra Fredda.

Se il numero dei morti causati  dalla Prima guerra mondiale furono 13 milioni, molto più consistenti i morti della Seconda Guerra Mondiale, che vide impegnati nel conflitto   110 milioni di soldati e contò  tra i 60 e i 70 milioni di morti tra soldati e civili.

Il Novecento è stato, dunque, un secolo pieno di contraddizioni, con grandi progressi economi e sociali  e di  sviluppo scientifico  e tecnologico, ma anche un secolo di grandi tragedie  causate da due guerre mondiali e dall’affermazione di regimi totalitari in Germania e in Italia, in Spagna, in Unione Sovietica.

E’ stato anche un periodo di instabilità politica, di corruzione diffusa, di squilibri territoriali e di diseguaglianze crescenti come conseguenza di un liberismo non regolato dal potere pubblico. Ciò in particolare in Italia, la cui sconfitta bellica ha pesato molto sulla autonomia decisionale dei governi a livello nazionale e internazionale. Un condizionamento basato anche sugli aiuti finanziari che il governo di Washington ha dato all’Italia e all’Europa attraverso il Piano Marshall, zMarshall, che prese che prende il nome dal politico che lo ideò, con lo scopo di favorire la ricostruzione di territori devastati dal Conflitto. Ma anche per un chiaro disegno politico per creare un più forte legame tra i paesi del Blocco occidentale in funzione anti-URSS.

In questa logica l’Italia rappresentava e ancora oggi rappresenta una piattaforma logistica strategica per mantenere una egemonia geopolitica  e una funzione di dissuasione e contrasto a mire espansionistiche di altre potenze, in particolare a quelle del  fronte orientale. E infatti le principali basi militari  controllate dagli USA sono in Sicilia, a Napoli, nel Nord-Est, in Puglia.

La fine della Seconda guerra  mondiale ha lasciato il nostro Paese lacerato socialmente e politicamente, economicamente depresso, con  un  Mezzogiorno più impoverito rispetto al Nord Italia, anche per le scelte dei governi che si sono succeduti nella seconda metà dell’Ottocento.

Nonostante la battaglia comune per la libertà, l’esperienza della Resistenza, che aveva visto impegnati in uno sforzo comune uomini e donne di diversa estrazione, cultura e appartenenze politiche, che avrebbe potuto far immagina un  rinnovato comune impegno per la ripresa del nostro Paese, la speranza di un futuro collaborativo, so è però conclusa presto con il fallimento del Governo Parri, che per breve tempo aveva  guidato un governo di centro-sinistra, nato come tentativo di riformare le istituzioni  e per dare speranza a quelle istanze  di rinnovamento che molti auspicavano.

L’ultima esperienza  collaborativa fu quella maturata all’interno dell’Assemblea Costituente, che riuscì a redigere una Carta Costituzionale che ancora oggi a me pare la migliore di quelle di altri paesi del mondo occidentale che purtroppo non è stata ancora attuata completamente  poiché nel dopoguerra il quadro politico è stato sempre frammentato, con governi di breve durata che non sono stati in grado di  difendere il Paese da  conflitti politici,  da atti terroristici  e da  spinte   eversive finalizzate al sovvertimento dell’Ordine costituzionale, le cui conseguenze si avvertono  ancora oggi,  perché pur essendo l’Italia un  Paese che culturalmente, scientificamente  ed economicamente avanzato, stenta a fare quelle riforme necessarie per completare il suo  processo di  modernizzazione- E le principali cause dipendono proprio dalla persistenza di forze coservatrivi refrattarie a favorire l’evoluzione verso un paese a democrazia matura

Lea tante volte annunciate riforme, soprattutto il rinnovamento dell’apparato burocratico-amministrativo e l’abolizione di tanti Enti inutili è perché permangono all’interno dello Stato forze conservatrici e  nostalgici dei vecchie ideologie, che non hanno interesse a riformare  un Paese che vorrebbero riportare verso lidi non certo democratici. .

Lo stesso Togliatti, allora Ministro della Giustizia, promosse un’amnistia per i reati commessi durante l’era fascista  perché pensava che così si potesse favorire una generale pacificazione  anche  per  scongiurare  qualsiasi forma di conflitto che avrebbe potuto    causare  una guerra civile. Purtroppo, certe incrostazioni ancor persistono.  Esistono nei governi nazionali e nei Parlamenti nazionali ed europeo membri che non hanno mai abiurato l’ideologia nazifascista e anziché della pacificazione auspicata da Togliatti è prevalso il trasformismo. I fascisti della                                                                                                                                                                                                                                                                                     Repubblica di Salò si sono imboscati prima nella Democrazia Cristiana, poi hanno formato il MSI, erede del Partito Nazionale Fascista, poi Alleanza Nazionale, il cui segretario politico Fini arrivò con coraggio a dichiarare  che il Fascismo era stato il male assoluto, una dichiarazione che forse  gli costò il suo futuro politico perché subito dopo fu coinvolto in uno scandalo che lo costrinse ad abbandonare la politica attiva.

Ma i fascisti esistono ancora oggi e sono tanti, albergano in Fratelli d’Italia e governano addirittura il Paese e molti ostentano orgogliosamente le loro originarie identità e, pur avendo giurano fedeltà e rispetto della Costituzione antifascista, i nostalgici del vecchio regime agiscono in Parlamento  per cambiarla e trasformare  la democrazia in autocrazia.

Dopo il Governo Parri,  seguirono otto governi presieduti da  De Gasperi, tutti di breve durata, l’ultimo  dei quali  si concluse il 17 agosto 1953.

Il primo (dicembre 1945-13 luglio 1946)  fu un governo del Regno d’Italia, di unità nazionale composto da  DC,PCI,  PSIUP, PLI, PdA, PDL.

Il secondo governo De Gasperi fu il primo  della Repubblica Italiana ed era composto da DC, PCI, PSUP e PRI e durò fino al gennaio 1947. La crisi era avvenuta in seguito alla scissione  del PSI, che aveva dato origine al Partito Socialista dei Lavoratori, che poi divenne Partito Socialista Democratico Italiana.

Il 2 giugno 1946  venne eletta l’Assemblea  costituente per redigere la Costituzione italiana e restò in carica fino al 31 gennaio 1948. Era composta da 556 membri. Fu l’Assemblea costituente a votare la fiducia ai governi che si formarono in quel periodo. Si riunì per la prima volta il 25-26 giugno 1946 sotto la presidenza di Giuseppe Saragat e i 28 giugno venne eletto Enrico De Nicola primo  presidente della Repubblica.

Il terzo governo De Gasperi fu molto breve, durò dal 2 febbraio 1947  al 31 maggio 1947 e fu un tripartito DC, PCI, PSI, che rispecchiava l’esito delle elezioni del 3-4 luglio 1946, i cui risultati furono DC al 35,2&, PSIUP al 20,68%, il PCI al 18,93%. Le elezioni si svolsero col sistema proporzionale e videro per la pria volta la partecipazione delle donne.

Il IV governo De Gasperi  (31 maggio 1947-23 maggio 1948) fu  il primo senza la partecipazione dei partiti di Sinistra, il primo di una serie di governi centristi. Vi parteciparono DC-PLI-PSLI-PPI. Fu la formula che caratterizzò  i governi italiani fino al 1958, incentrati sulla egemonia della Democrazia Cristiana che, nelle elezioni del 1948, ebbe un consenso pari al 48,5%. Il Fronte Popolare Democratico, che comprendeva il PSI e il PCI venne fortemente ridimensionato con il 30,98% e  l’Unità Socialista  ebbe appena il 7,o7% dei consensi.

Fu l’effetto della Guerra Fredda. Il governo  americano è stato molto esplicito con il governo italiano, i Comunisti non potevano far parte della maggioranza governativa e dello stesso parere era il papa Pio XII, tanto che aveva proposto di formare una coalizione con il Movimento sociale per le elezioni comunali di Roma, proposta rifiutata da Alcide . Eravamo ancora al tempo del Papa-Re. De Gasperi, cattolico ma laico nei rapporti tra Stato e Chiesa. Libera Chiesa in Libero Stato fu la frase coniata da C. de Montalembert e pronunciata  da C. Benso di Cavour  in Parlamento quado venne approvata la proposta di Roma capitale d’Italia. Una visione laica dello Stato  coerente con il pensiero liberista. Tuttavia, l’ingerenza della Chiesa e degli USA  nonché il trasformismo politico saranno una costante della politica italiana del dopoguerra.

Nelle elezioni del 1948 la Democrazia Cristiana ebbe quasi il 50% dei consensi ed è evidente che i voti dei conservatori e dei fascisti confluirono nel partito cattolico, che ebbe anche  il sostegno delle gerarchie ecclesiastiche. Scomparve il Partito d’azione, che aveva avuto un ruolo  importante nel Risorgimento italiano e che raccoglieva al suo interno intellettuali e pezzi della borghesia progressista, tutti voti che confluirono nella DC. Il Mantra del pericolo comunista utilizzato dai fascisti  sin dalla fondazione del partito è una costante della lotta politica della destra, ripresa dai neofascisti di oggi.

La Democrazia Cristiana è l’erede del Partito Popolare Italiano (popolare ma non populista) fondato da don Luigi Sturzo nel 2919. Vi aderì  Alcide De Gasperi nel 1920., ma il partito  si sciolse nel 1926, dopo l’uccisione di Giacomo Matteotti e la partecipazione alla secessione dell’Aventino, nella consapevolezza dell’impossibilità di instaurare in Italia un governo democratico. Il partito cattolico si riforma con la Democrazia Cristiana come partito interclassista e moderato che si ispira ai valori cristiani e ha al suo interno come  attivisti esponenti del modo cattolico  dopo  l’abolizione nel 1919 da parte del papa Benedetto XV del Non expedit, che era stato introdotto dal papa Pio IX nel 1868.

All’interno della Democrazia Cristiana è sempre  esistita  una corrente di pensiero  più attenta alle questioni sociali  che fa riferimento  alla Enciclica Rerum rovarum  n emanata nel 1891 da Papa Leone XIII che fondò la moderna dottrina sociale della Chiesa , di cui  Dossetti e La Pira furono i protagonisti più prestigiosi.

La DC comunque era una forza politica che al suo interno era ben divisa in tre principali correnti, quella di destra conservatrice dialogante con la Monarchia e il MSI, quella di sinistra che si  riconosceva nel popolarismo di don Sturzo e  quella di centro espressa da De Gasperi, che fungeva da collante tra le altre due anime del partito.

I principi ispiratori sono il riconoscimento della dignità umana, della solidarietà, della sussidiarietà,  del bene comune, della legalità e della partecipazione alla vita pubblica.

La politica entrista è cominciata il Italia con il IV governo De  Gasperi, un esecutivo che vedeva la centralità della DC e la partecipazioni dei tre partici centristi (PLI,PRI,PSDI), una coalizione di forze moderate  che avevano come cifra comune l’anticomunismo, l’Atlantismo e l’Europeismo, in una continua contrapposizione destra-sinistra che raggiunse il culmine  quando De Gasperi fece approvare una legge elettorale proporzionale  con premio di maggioranza al partito o alla coalizione più votata, a cui sarebbero stati assegnati i due terzi dei seggi, norma definita legge truffa. Una legge che si configura come conferimento al partito più votato il potere assoluto, ossia una forma di governo dittatoriale.

A alle elezioni del 1953, però,  la DC perse il 10% dei consensi e i partiti alleati non raggiunsero nemmeno il 10% e De Gasperi dovette abbandonare l’impegno politico.

Con il IV governo De Gasperi inizi, una nuova stagione, quella del quadripartito, espressione del clima sempre più esasperato di   contrapposizione tra i due blocchi  USA-URSS, ossia tra il blocco occidentale dominato dagli USA e quello Orientale dominato dall’URSS che durerà fino alla caduta del muro di Berlino, una contrapposizione che non ha consentito  nessuna sperimentazione politica creando rendite di posizione, ostacolo al ricambio dei protagonisti della politica che ha determinato immobilismo politico e generazionale e corruzione diffusa.

Le esperienze dei governi centristi, del quadripartito e di qualsiasi altra forma politica era dettata dalla necessità-volontà di escludere le forze estremiste di destra e di sinistra, il MSI e il PCI dal governo della Repubblica, almeno formalmente, fino alla caduta del muro di Berlino.

Le prime iniziative  intraprese dal Centrismo furono la riforma agraria, che espropriò  i grandi latifondi incolti risarcendo con  prezzi di mercato gli agrari e distribuendo la terra tra i contadini che ne aveva fatto richiesta. Un’altra riforma fu il Piano Casa,  la Legge Fanfani  del 1949,  per  favorire la costruzione di case popolari per il ceto medi; l’adesione alla Nato (alleanza militare) nel 1949, dia pure con qualche astensione da parte di esponenti democristiani e socialdemocratici favorevoli alla neutralità,  la istituzione nel 1950 della Cassa del Mezzogiorno per il rilancio economico e sociale del Mezzogiorno attraverso l’infrastrutturazione del territorio.

Le due guerre mondiali avevano favorito la riflessione sul perché in Europa era diffuso il ricorso alla guerra per risolvere problemi o tensioni che coinvolgevano più stati. Alcuni politici cominciarono a interrogarsi se fosse possibile trovare un qualcosa che potesse favorire la pace e non la guerra per dare risposte ai problemi che creano conflittualità. La prima riflessione fu che gli stati entrano  spesso in guerra per avere il controllo delle risorse strategiche. Quali possono essere gli strumenti per un’Europa di Pace?

Altiero Spinelli, Eugenio Colorni ed Ernesto Rossi durante gli anni del loro esilio a Ventotene per motivi politici imposto dal regime fascista, avevano pensato che per evitare ulteriori tragedie sarebbe stato utile promuovere  l’unità politica dell’Europa su base federale, quindi una visione della Paneuropa tecnocratica avanzata da  R.N. di Coudnhover-Kalergi  nel 1922.

I tre visionari elaborarono nel 1941 un documento, il Manifesto di Ventotene che venne diffuse da alcune donne negli ambienti dell’opposizione al regime di Roma e Milano, poi reso pubblico  nel 1944,  considerato uno dei testi fondanti dell’Unione Europea.

Questo progetto venne ripreso da Schumann, De Gasperi e Adenauer,  tre statisti esponenti  dei partiti di ispirazione cristiana  della Francia, dell’Italia e della Germania, i quali ritenevano che effettivamente uno dei motivi che causano i conflitti  è il controllo delle risorse strategiche, che in  quell’epoca  erano il  ferro e il carbone, e pensarono a un modo come gestire questa risorsa in maniera collaborative: un accordo tra gli stati per la gestione comune del settore carbo-siderurgico. Nacque così nel 1951 la CECA con lo scopo  di controllare  la produzione e i prezzi del carbon e dell’acciaio, una strategia funzionalista e gradualista per costruire l’Unione europea. E così fu perché nel 1957 nacque la CEE con un Trattato firmato a Roma, al quale aderirono sei paesi: Francia, Germania, Italia, Belgio, Olanda e Lussemburgo. I Magnifici 6!

Un altro passo in avanti fu fatto nel 1992 con la firma del Trattato  di Maastricht da parte di 12 paesi fondatori un evento che diede vita alla nascita dell’Unione Europea il 1 gennaio 1993., che segnò la nascita dell’Unione Europea, entrato in vigore nel 1993. All’unione politica ed economica nel 1999 si aggiunse l’Unione monetaria con l’adozione della moneta unica, l’Euro, oggi adottato da 20 pesi dell’Europa.

Se i padri fondatori dell’Unione Europea sono  K. Adenauer, A. De Gasperi,R. Schuman e J. Monet, per l’Italia il vero protagonista è stato Alcide De Gasperi che aderì alla CEE come paese fondatore, forse il risultato più prestigioso dei governi centristi.

Compito del governo centrista fu  anche l’avvio del Piano Marshall,  lanciato nel 1947, consistente  in un corposo programma di aiuto ai paesi europei per risanare le distruzioni prodotte dal seconda conflitto mondiale per complessivi  1,5 miliardi di dollaro.

I risultati di questi provvedimenti, che avevano anche un sapore elettoralistico, non diedero i risultati sperati.

La riforma agraria scontentò sia gli agrari sia i contadini perché non tutti  i richiedenti ebbero i lotti e tutti i lotti erano di piccole dimensioni e quindi non molto redditizi, per cui favorirono una seconda ondata migratoria, dopo quella di fine Ottocento-inizio Novecento, questa volta non verso le Americhe ma verso il Triangolo industriale.

La Cassa del Mezzogiorno inizialmente consentì di costruire strade, acquedotti, scuole, ma presto la malavita organizzata ne prese il controllo ed ebbe il sopravvento il clientelismo e lo stesso Piano Marshall, nonostante la supervisione americana, procedette a rilento, senza raggiungere i risultati sperato. Comunque, gli investimenti pubblici  rilanciarono la siderurgia e furono le premesse per il cosiddetto Miracolo economico che si ebbe negli anni Cinquanta.

I fattori di successo furono le scelte della politica economica dettata da Luigi Einaudi basate sui bassi salari  grazie alla elevata disponibilità di manodopera, che consenti alle imprese di fare alti profitti e alti investimenti.

L’emigrazione meridionale fu importante per lo sviluppo dell’industria settentrionale ma per i Sud i vantaggi furono limitati a qualche rimessa, privò il Mezzogiorno di molti giovani in età da lavoro lasciando agli anziani la coltivazione della terra per una economia di sussistenza. Ancora una  volta Il  Sud è stato sacrificato perché  le politiche industrialo e gli investimenti in infrastrutture sono stati funzionali  alla tutela degli interessi della borghesia del Nord. Altro che Roma ladrona o lo slogan del   Sud apatico perché c’è troppo sole. Il sentimento razzista nasce nel contesto di uno sviluppo di tipo speculativo, specialmente nel settore edilizio con la costruzione di ghetti per gli immigrati, nelle periferie o nei quartieri degradati del Centro urbano. E oggi la storia si ripete con gli extracomunitari.

Questa politica ebbe riflessi sulla composizione  delle attività economiche, aumentarono gli addetti all’industria (dal 29% al 37%) e dei servizi (dal 27% al 32%) mentre diminuirono gli addetti all’agricoltura (dal45% al 30%). Si rafforzò anche il valore della lira.

Queste trasformazioni hanno determinato cambiarono deii consumi e deii modelli culturali.

Negli anni ’50-’60 si sviluppò la motorizzazione di massa, cominciò la produzione della Vespa, della Lambretta, della 500 e della 600 (1955-58).

Nel 1956 iniziarono i lavori per la costruzione dell’Autostrada del Sole  Milano-Napoli, che insieme allo sviluppo della motorizzazione divenne il motore dello sviluppo industriale. Una scelta che fu contestata dalla Sinistra, che preferiva lo sviluppo del trasporto pubblico  con  la costruzione di ferrovie e metropolitane nelle città.

Nel 1954 uscì la televisione,  che modificò i comportamenti sociali e l’uso del tempo libero, che da collettivo diventò individuale e si modificarono anche le scelte elettorali.

Con l’uscita di scena di De Gasperi emerse una nuova classe politica formatasi nell’Azione Cattolica: Fanfani, Moro, Taviani, Rumor, personaggi culturalmente preparati,  professori universitari impegnati in politica, che proponevano un maggiore impegno pubblico in economia che portò alla nascita  nel 1955 dell’ENI affidato alla guida di Enrico Mattei per promuovere lo sviluppo del settore energetico e nel 1956 venne istituito il Ministero  delle partecipazioni statali per il coordinamento delle attività delle aziende pubbliche.

Le elezioni del 1953 indebolirono la Democrazia Cristiana che, pur restando il primo partito, dovette registrare la crescita delle forze estreme, Monarchici e Missini (eredi del Fascismo)  da una parte,  e Socialisti e Comunisti dall’altra parte.

Fu la crisi del Centrismo, che si cercò di farlo vivere ancora con l’appoggio dei partiti minori, ma ebbero sempre vita difficile a causa di maggioranze risicate.

Le elezioni del 1953, che prevedevano il premio di maggioranza ai partiti o coalizioni di partiti non diedero un risultato favorevole ai  partiti centristi perché la coalizione guidata dalla DC prese il 49,8% dei voti, comunque inferiore al 50% previsto per ottenere il premio di maggioranza, ben 16 punti in meno delle precedenti elezioni. I seggi ottenuti furono 303, 67 in meno rispetto alle precedenti elezioni.

I cittadini non gradirono la proposta egemonica della DC. Il PCI e il PSI ottennero 288 seggi (+35 seggi rispetto alle elezioni precedenti), il PNM 40 seggi (+26), il MSI 23 seggi (+23). Complessivamente i seggi da assegnare erano 590, quindi i centristi non ebbero la maggioranza.

La DC tentò ugualmente di formare un governo monocolore  o con l’appoggio del PSDI, comunque  sempre di minoranza e di breve durata.

Si formarono anche governi con l’appoggio esterno delle forze di desta, addirittura con il sostegno esplicito dei monarchici e dei missini come nel caso del governo Tambroni, che durò poco più di tre mesi per il malumore che creò all’interno del suo steso partito.

Era ormai chiaro che l’esperienza centrista si era esaurita, era necessario allargare la maggioranza ad altre forze.

Erano ormai giunti i tempi per un coinvolgimento dei socialisti e due circostanze lo favorirono. La prima fu la morte di Pio XII, favorevole a governi di destra. ma fortemente contrario al coinvolgimento della Sinistra.

Il suo successore, Giovanni XXIII,  il Papa buono,  che aprì la Chiesa all’esterno e per la prima volta uscì da San Petro e cominciò a viaggiare in treno per conoscere il mondo e  incontrare i fedeli. Nel 1962   pubblicò l’ultima sua  Encicliche  prima della sua morte, avvenuta due mesi dopo, Pcem in Terris, nella quale richiama l’esigenza del  rinnovamento e del cambiamento politico già espressa nel Concilio Vaticano II del 1962, e della necessità del dialogo tra le grandi potenze e  con i non credenti e  anche con  i credenti di altre religioni.

La Sua parola fu di incoraggiamento ai cattolici progressisti della DC ad aprire un dialogo con i Socialisti.

L’atra circostanza favorevole fu l’invasione russa dell’Ungheria che divise i Socialisti dai Comunisti, e la richiesta dei partiti laici a un’apertura verso i Socialisti, nonostante l’avversità di buona parte della DC.

In questa fase si ebbe anche una distensione a livello internazionale, in particolare tra i due Blocchi. Ma il clima interno si infiammò. L’autorizzazione data al MSI di tenere il suo Congresso a Genova, città Medaglia d’oro della Resistenza,  provocò una forte reazione delle Sinistre, che organizzarono  manifestazioni di piazza contro il governo che vennero represse con la forza, provocando morti e feriti.

Nel 1960 Amintore Fanfani varò il suo terzo governo con l’appoggio dei partiti laici e l’appoggio esterno del PSI, con cui aveva concordato il programma, e  nel 1962 con il suo nuovo governo iniziò l’esperienza del centro-sinistra, grazie all’azione svolta da Aldo Moro nel Congresso della DC del gennaio  1962, finalizzata a far approvare la formazione di un nuovo governo di centro-sinistra, di impronta riformista.

Nel1962-63 vennero approvate alcune significative riforme, la nazionalizzazione  dell’energia elettrica, la nascita dell’ENL,  la scuola media dell’obbligo, ma non l’istituzione elle Regioni, perché la DC temeva il rafforzamento delle Sinistre a livello locale.

Nelle elezioni dell’aprile del 1963 la DC e il PSI arretrarono mentre avanzarono il PCI,  i Monarchici e i Missini. Faticosamente Aldo Moro riuscì a formare un nuovo governo di centro-sinistra ma con un programma più moderato per tenere unita la DC. Ma il PSIUP si spaccò con la fuoriuscita dei socialisti contrari alla collaborazione con la DC.

Il centrosinistra durò dal 1960 al 1976, sostituito dopo da un governo di “unità nazionale (1976-79). Tra il 1968 e il 1975  vennero realizzate  alcune riforme, come la istituzione delle Regioni, la legge su divorzio (che superò anche il vaglio referendario),  la riforma del diritto di famiglia, che abolì la figura del capofamiglia e introdusse la potestà sui figli ad entrambi i genitori e venne abbassata  la maggiore età a 18 anni.

Non ci fu però nessun intervento di struttura di tipo anti-capitalistico richiesto dalla sinistra del PSI.

I governi di centrosinistra furono comunque di breve durata, il contesto sociale avrebbe  richiesto riforme più incisive  ma i contrasti tra i partiti non lo consentirono. Intanto iniziarono gli scioperi, i sindacati fecero fronte comune e diventarono soggetto politico, chiesero  aumenti salariali consistenti, si entrò nella fase dell’Autunno caldo.

La DC avrebbe voluto allargare la maggioranza ma non erano ancora maturi i tempi per un coinvolgimento del PCI nel governo, nonostante il partito avesse dimostrato con fatti concreti la sua cifra democratica e atlantista prendendo netta posizione contro l’invasione della Cecoslovacchia da parte dell’URSS e dei suoi alleati. Un ulteriore passo avanti  venne fatto quando nel 1976 Enrico Berlinguer dichiarò pubblicamente di sentirsi più sicuro sotto l’ombrello della NATO, per se, per il suo partito e per l’Italia.

Nel 1967 si diffusero negli USA e in Francia manifestazioni organizzate dagli studenti, i quali chiedevano di essere protagonisti del proprio futuro e quindi maggiore libertà e  partecipazione, contro l’autoritarismo accademico  e la selezione meritocratica,  il consumismo e il patriarcato.

Queste manifestazioni si diffusero anche in Italia tra la fine del 1967 e il 1968 e poi anche nell’Est Europa.

La risposta politica fu debole, venne liberalizzato l’accesso all’Università e si rendeva l’esame di maturità meno selettivo.

Presto si unirono alla protesta anche gli operai, che non avevano beneficiato del Miracolo economico e chiedevano migliori condizioni di lavoro e  salari più alti. Crebbe anche il movimento femminista che, con l’ingresso nel mondo del lavoro, rivendicavano più servizi e  maggiori libertà.

Una miscela che divenne presto  lotta ideologica contro l’imperialismo, l’autoritarismo, la guerra

nel Vietnam e  si inneggiava a Mao e a Che Guevara.

Presto la violenza prese il sopravvento sulla politica, il sistema era bloccato da vincoli internazionali  e prevalse la violenza. Nacquero molti movimenti  extraparlamentari composti da studenti e operai,  che intrapresero un percorso di lotta antisistema portata avanti da esponenti della borghesia, intellettuali, elementi appartenenti alle classi agiate.

Accanto a questi gruppi della Sinistra rivoluzionaria, in contrasto e in conflitto tra loro, si contrappose la violenza dei gruppi di estrema destra che, approfittando del disagio sociale, misero  in atto  la cosiddetta  strategia della tensione per innescare un processo rivoluzionario  finalizzato a imporre  al Paese un governo “forte”, autoritario e antidemocratico.

Dalla protesta si passò presto  alla lotta armata. Iniziò un periodo di sequestri di persona,  di ferimento e di uccisioni di  personaggi che erano visti come rappresentanti delle Istituzione che si volevano cambiare.

In parallelo e in contrapposizione  gruppi eversivi neofascisti alimentarono  lo scontro sociale iniziando la stagione delle stragi, con la copertura dei servizi deviati, logge massoniche, organizzazioni malavitose e apparati delle  istituzioni.

Il 12 dicembre1969  iniziò  un lungo periodo di sangue. A Milano, in piazza Fontana, nella sede della Banca Nazionale del Lavoro una bomba provocò una strage di civili. Subito iniziarono    depistaggi per coprire i veri autori della strage, incolpando l’anarchico Pinelli che poi si  sarebbe  misteriosamente buttato giù da una  finestra della Questura di Milano durante un interrogatorio.

Tralasciando le stragi provocare dalle forze di Polizia in occasione di manifestazioni di protesta, come i mori di Miano del 1889, quella delle Portella delle Ginestre del 1947 e quelle delle Fonderie Riunte di Modena del 1950 e quelle avvenute durante il governo Tambroni a Genova e Reggio Emilia nel 1960, numerosi furono le  stragi di matrice neofascista che si ebbero tra 1960 e 1980   finalizzare a diffondere nel Paese terrore, panico e  paura per scopi eversivi contro popolazioni inerme o forze dell’ordine, come nella strage di Cianulli, Palermo, che dimostrano la politica reazionaria della estra e che il potere fascista non sia mai stato debellato e speso tollerato e come un virus si è diffuso nella società e nelle strutture dello stato, continuando ad essere vivo ancora oggi.

Ma le più esecrabili stragi furono, oltre a quella della Banca Nazionale di Milani, le stragi  del treno Rapido 904 nei pressi di Bologna,  quella di Piazza della Loggia a Brescia, la strage nella stazione ferroviaria di Bologna, dove, di recente, provocatoriamente  sfilò un gruppo neofascista mentre era in corso una manifestazione antifascista, regolarmene autorizzata dalle Autorità competenti.

Altre stragi furono quella al treno  Italicus nella galleria dell’Appennino, le tre fatte esplodere  in contemporanea a Roma e a Firenze  nel 1992, con lo scopo di favorire una trattativa Stato-mafia e l’esplosivo messo nella Stadio Olimpico di Roma prima delle elezioni del 1994, misteriosamente disinnescato pochi minuti prima dell’inizio della partita di calcio.

Ma la strage che fece cambiare le sorti politiche dell’Italia fu l’attentato di via Fani a Roma, il rapimento e poi l’uccisione di Aldo Moro mentre era in corso un dialogo tra Enrico Berlinguer e lo stesso Moro per formare un governo organico con il PCI, in un momento difficile per il Paese. Un attentato ufficialmente organizzato dalle Brigate Rosse, un’operazione miliare non facile senza l’appoggio di altre forze militari o paramilitari e da centri massonici come la P2, servizi segreti deviati e stranieri come la CIA. Del resto Aldo Moro era stato avvertito da membri del Pentagono che quella scelta politica poteva costargli molto cara. E non dobbiamo sottacere le modalità con le quali sono state condotte le indagini e i tanti depistaggi. Del resto, nel 1947 il presidente Harry Truman definì con chiarezza la politica estera americana nota come  dottrina Truman, ossia, l’America aiuterà tutti i popoli liberi a resistere a ogni tentativo di  asservimento operato da minoranze interne o potenze straniere. Tutto chiaro.

Purtroppo l’Italia è un Paese a sovranità limitata, specialmente nel periodo della Guerra Fredda e si intrecciano interessi e problemi di varia natura, economici e politici, che spesso vengono risolti con stragi o colpi di stati, come per la morte di Enrico Mattei, presidente dell’Eni, che voleva avviare una politica di autosufficienza energetica con la ricerca e l’attivazione di pozzi  per l’estrazione di gas e petrolio, una scelta non gradita alle grandi compagnie americane..

Anche la morte di Adriano, morto misteriosamente sul Treno Milano-Basilea, e quella del suo collaboratore Mario Theow, morto un anno dopo in uno strano incidente stradale è da mettere in relazione con i giochi di interessi economici globali.

Olivetti aveva realizzato un innovativo  computer portatile su cui stava lavorando anche  la   Apple, ma era in forte ritardo rispetto alla Casa di Ivrea. Olivetti era impegnato anche su altri progetti ed era in forte competizione con la Casa americana anche su questo progetti. Inoltre stava sperimentando un nuovo modello di fabbrica intesa come comunità etica, una entità fatta di azienda e lavoro in cui il lavoratore fosse protagonista, secondo il modello della Dottrina sociale della Chiesa.

Inoltre, la fabbrica non avrebbe dovuto essere un edificio isolato ma un luogo attorno al quale vi erano le abitazioni dei lavoratori, i servizi, le scuole, insomma un’idea comunista che non poteva essere accettata perché sarebbe stato anche  un cattivo esempio.   Olivetti aveva anche avviato  contatti e relazioni con Russia e Cina. Insomma, un imprenditore scomodo, troppo moderno e troppo autonomo, andava fermato. Una occasione perduta per il nostro Paese perché sarebbe potuta nascere in Italia una Silicon  Valley.

Ma molti altri cadaveri eccellenti ci furono negli anni di piombo. Carlo Albero dalla Chiesa,  mandato a Palermo come prefetto mentre stava indagando sul caso Moro, Rocco Chinnici, ideatore del pool antimafia, Giovanni Falcone con la moglie e i cinque uomini della scorta nella strage di Capaci, Paolo Borsellino, che stavano indagando sul rapporto tra mafia e potere, che non furono delitti di mafia, Piersanti Mattatella, segretario regionale di una DC che voleva cambiare.

E poi, la strage di Ustica, quado un missile lanciato da una nave militare ha colpito un aereo di linea pensando i colpire l’areo su cui viaggiava il presidente libico,  in una notte di guerra, di cui tutto si sa ma nessuno vuol sapere.

Politica, mafia, intrighi Internazionale. Del resto l’Italia ha perso una guerra che non avrebbe dovuto fare, dobbiamo ringraziare le forze angloamericane e gli uomini della Resistenza se oggi siamo una democrazia con una Carta Costituzionale modernissima che molti non riconoscono e ch vorrebbero stravolgerla. Forse dobbiamo ringraziare Benito Mussolini  che ha dichiarato la guerra all’Austria alleandosi con Hitler che lo credeva vittorioso se oggi non siamo ancora una monarchia  e governati da un dittatore. Molti se ne sono dimenticati e vivono di nostalgia di un passato di cui avremo fatto volentieri a meno. La democrazia è una istituzione fragile che va sempre curata, ma in Italia mancano purtroppo medici, specialmente quelli  che sanno curare le Istituzioni. In compenso non ci mancano i cialtroni e i banditori di frottole.

Non sono mancate le stragi tra bande mafiose finalizzate al controllo del territorio per gestire attività illecite come vendita di armi e droga, per chiedere il pizzo a commercianti, imprenditori e professionisti o per  riciclare  denaro sporco, magari con la complicità di figure oscure, apparentemente insospettabili.

E l’Italia ha nella sua storia anche alcuni tentativi di colpi di stato. Il primo risale  al 1964, quando nel periodo primavere-estate i Carabinieri, al comando del generale Giovanni De Lorenzo,  su sollecitazione dello stesso presidente della Repubblica Antonio Segni e con l’appoggio dell’organizzazione fascista Avanguardia nazionale, aveva elaborato un’azione eversiva, il   Piano Solo, a tutela “dell’ordine pubblico”,  sulla base del quale so sarebbe dovuto procedere a occupare i centri di comando nevralgici del Paese , le sedi dei partiti e dei sindacati e all’arresto o alla deportazione  degli uomini dell’opposizione e dei sindacati.

La vera ragione del golpe  era che il governo di centrosinistra guidato da Aldo Moro si accingeva a varare una serie di riforme che non piacevano alle forze conservatrici del governo, agli imprenditori e a  esponenti dell’economia internazionale.

Un altro tentativo di golpe (in codice  Golpe bianco)  venne fatto nel 1974 da un gruppo di antifascisti e anticomunisti per costringere il Presidente della Repubblica Giovanni Leone  a

nominare un governo  in grado di ostacolare la nascita di governi con la partecipazione di forze di sinistra e di destra e di promuovere una riforma istituzionale per la nascita di una Repubblica presidenziale come quella francese.

Tora Tora venne chiamato il progetto di colpo di Stato ideato nel 1970 da Julio Valerio Borghese, fondatore del Fronte nazionale, e in collaborazione con Avanguardia Nazionale,  che in corso di esecuzione con uomini già presenti nel Palazzo del Viminale e del Quirinale, venne annullato improvvisamente dallo stesso Borghese per motivi mai resi noti. Pare che la motivazione reale  fosse la non adesione del Comando dei Carabinieri  e la contrarietà della Cia alla richiesta di Borghese di assumere la carica di Presidente della Repubblica, che invece avrebbe gradito un altro uomo, pare Giulio Andreotti.

Gli anni Sessana-Settanta furono anni bui per la nostra giovane Repubblica democratica. Se certi disegni antidemocratici non sono riusciti è perché le forze responsabili e democratiche, in primis, la CGIL e il Partito Comunista Italiano, dimostrarono  senso istituzionale, operarono efficacemente  in collaborazione e con forte coesione con le forze sane del Paese nel difendere la nostra democrazia.

Gli anni Settanta furono un decennio eclettico e dinamico contrassegnati da forti cambiamenti sociali e politici ma anche da crisi economica dopo il Miracolo economico degli anni d’oro, il decennio che va dalla seconda metà degli anni Cinquanta alla prima metà degli anni Sessanta, in

Furono gli anni della emancipazione, della rivendicazione  dell’uguaglianza razziale e di genere e alla firma dell’accordo SALT per la limitazione delle armi nucleari, in un momento in cui nuovi focolai di instabilità si accendevano con il conflitto Mediorientale, con l’ invasione dell’Afghanistan da parte della URSS, con il ritiro degli USA dal Vietnam.

Furono, però,  anche anni di innovazione tecnologica,  con l’invenzione dei primi telefoni cellulari, dei primi computer portatili, del CD, del Walkman e in Medicina venne debellato il virus del vaiolo, inventato la TAC e si avviarono i primi esperimenti genetici.

In Italia gli anni Settanta furono una stagione di grandi riforme: l’istituzione delle Regioni, l’approvazione dello Statuto dei lavoratori e della legge, il divorzio, il nuovo diritto di famiglia, la regolamentazione dell’aborto, la riforma del servizio sanitario nazionale, la riforma carceraria, la legge Basaglia, che chiudeva gli ospedali psichiatrici,  l’istituzione del servizio civile alternativo a quello militare, la maggiore età a 18 anni e si cominciavano a fare anche i primi passi per l’emancipazione femminile.

Furono riforme importanti che però non riuscirono a cambiare la struttura politico-amministrativa del Paese, perché forti erano le resistenze al cambiamento  dei conservatori.

Il boom economico degli anni Cinquanta-Sessanta favorito dalla Ricostruzione post-bellica e dai finanziamenti del Piano Marshall, furono  anni in cui la crescita del PIL aveva raggiunto tassi del 6,5  ma fu una crescita non consolidata da un cambiamento strutturale del Paese. Una crescita così alta non si ebbe mai più.

La prevalenza nel governo di forze liberiste e conservatrici non coese diedero vita a governi di breve durata che non consentirono una programmazione  di medio-lungo  periodo. Ciò favorì’ soltanto la creazione do un sistema politico bloccato, che limitava l’azione del governo a interventi di pura gestione del potere, senza una prospettiva di respiro europea,  finendo per assecondare le logiche dei partiti, spesso corrotti, attenti alle logiche clientelari e alla pratica delle tangenti,  con la corruzione elevata a sistema di governo, un sistema che imploderà nei primi  anni Novanta con lo scandalo di Mani Pulite.

La formula del centrosinistra si rese necessaria dopo il fallimento della politica centrista, aggravata  dall’appoggio dato al governo Tambroni dai monarchici e dai Missini, che vide la contrarietà della corrente progressista della DC e dei partiti laici e riformisti.

Nonostante le tante riforme, rimase irrealizzata la politica di programmazione  richiesta dai socialisti. A ciò si aggiunsero le difficoltà create dalla crisi petrolifera del 1973 e  la stretta creditizia della Banca d’Italia guidata da Guido Carli per contenere l’inflazione, che crearono scontenti sia a Destra che a Sinistra. Inoltre, il Miracolo economico aveva favorito le imprese grazia al buon risultato delle vendite, anche con l’incremento del commercio internazionale, ma gli alti utili  realizzati non vennero investiti nell’innovazione né nell’incremento dei salari, il che provocò  una serie di scioperi e proteste sostenute dai sindacati, cui si aggiunse la ripresa delle proteste studentesche. Una parte del Movimento intraprese la strada della lotta armata perché convinta che la modernizzazione del Paese potesse avvenire soltanto attraverso la rivoluzione e in questo disegno si cercò di coinvolgere anche il Movimento operaio.

Furono anni difficili. Sarebbe stato indispensabile un allargamento della maggioranza al PCI e su questo stavano lavorando Aldo Moro ed Enrico Berlinguer, ma l’uccisione di Moro e la morte di Berlinguer arrestarono quel  processo, anche perché l’appoggio che il PCI diede al governo di emergenza nazionale dopo un anno venne tolto perché Berlinguer ritenne che quel governo aveva dimostrato di non avere nessuna  visione riformista.

Infatti, tra 1976 e 1978 Andreotti guidò un governo di “unità nazionale” che ebbe anche l’astensione del PCI. Il 13 marzo 1978 venne rapito il presidente della DC Aldo Moro, l’artefice dell’accordo con il PCI. Era anche il giorno della votazione della fiducia al IV governo Andreotti, che non avrebbe avuto già allora  l’appoggio del PCI se non fosse stato rapito Moro. Nell’emergenza Andreotti ebbe la quasi totalità dei consensi.

Furono giorni drammatici perché in quel decennio si ebbero, già prima  del rapimento Moro, tentativi di colpi di Sato, stragi e attentati da parte di forze eversive di destra e di sinistra.

Si susseguirono, così  dei governi centristi, tutti deboli e di breve durata, guidati da , Andreotti e Cossiga perché  l’esperienza del Compromesso storico venne definitivamente abbandonata nel 1979, quando Berlinguer si convinse che non era possibile alcun progetto riformista con la DC a guida conservatrice e propose un progetto di Alleanza democratica in grado di proporre e approvare le grandi riforme necessarie al Paese. Berlinguer abbandonò anche l’idea di un governo delle Sinistre perché il colpo di Stato in Cile organizzato per abbattere il governo progressista  di Allende  con il sostegno della Cia, sconsigliava per l’Italia una esperienza simile.

Ma i Socialisti con Craxi alla Segreteria del partito aveva un altro disegno che prevedeva l’isolamento del PCI e un’alleanza con la DC, con il PSI come partito guida, una concezione dei rapporti politici antitetici a quella della DC, che vedeva nell’allargamento della coalizione il consolidamento del proprio potere egemonico. Nell’VIII legislatura (1979-83) si alternarono diversi governi di coalizione,  quadripartiti o pentapartiti. sempre di breve durata, guidati da esponenti democristiani, tranne due, guidati da un laico, Giovanni Spadolini, che durarono dal giugno 1981 al dicembre 1982.

Più articolata la successiva legislatura,  durata dal 1983 al 1987  in cui si alternarono tre governi, due guidati da Bettino Craxi (1984.87) e uno da Amintore Fanfani, che durò soltanto undici giorni (1987).

La X legislatura (1987-1992) fu retta da una maggioranza  pentapartitica e quadripartitica per l’uscita dei PRI nel corso dell’ultimo anno. I presidenti furono tre, Giovanni Goria, Ciriaco De Mita e Gilio Andreotti.

Furono sempre governi che, pur rappresentando una continuità politica, si caratterizzarono sempre  da conflittualità e provvisorietà. La continuità era data da un tacito accordo con il mondo imprenditoriale e quello politico su una “libertà di azione”  reciproca, liberalismo economico e clientelismo politico sorretto da finanziamenti illeciti, un gruzzoletto che i partiti utilizzavano a favore del proprio elettorato di riferimento, ma anche per se stessi per fare una vita festaiola.

Un allarme inascoltato sui rapporti tra politica e imprenditoria era stato lanciato da Enrico Berlinguer negli anni ’70, quando aveva posto all’attenzione dei partiti la Questione morale.

Il più eclatante esempio di questa fase di decadenza morale e di clientelismo politico da basso impero fu il cosiddetto Decreto Berlusconi, una locuzione che indica i tre decreti legge  emanati dal Governo  Craxi tra il 1984 e il 1985, ossia una serie di nome transitorie che, in attesa di una legge di riordino radiotelevisivo consentiva a Fininvest di conservare le tre reti televisive.

La legge di riordino, nota come Legge Mammi,  venne presentata al Palamento nell’agosto del 1990 dal Governo presieduta da Giulio Andreotti, sulla quale pose la fiducia, che causò le dimissioni dal governo dei ministri della corrente progressista della DC.

Gli anni Ottanta apparivano come una fase in cui l’Italia potesse vivere un’altra stagione di miracolo economico, il terrorismo era stato lasciato alle spalle, i governi di emergenza nazionale erano stati archiviati, il PSI di  Craxi aveva rotto ogni rapporto con il PCI, il New Deal aveva lasciato il posto al liberismo, ormai dilagante nei principali paesi Occidentali,, in Gran Bretagna con la Tacher, in Germania con la Merkel, negli Usa con Regan. L’abolizione della Scala mobile e la Marcia dei Quarantamila a Torino avevano indebolito sia il PCI sia il Sindacato e gli imprenditori potevano   fare impresa liberamente senza vincoli e controlli: Laissez faire, laissez passer. Lasciate fare a chi vuol fare, le tasse pizzo di stato, fate quello che volete, le norme sono lacci e lacciuoli, le locuzioni tornate oggi di nuovo di moda, l’importante è non criticare il governo, altrimenti non farete più nulla.

La stagione delle privatizzazioni  affrettate dalla necessità di contenere il debito pubblico era una occasione per fare buoni affari e mettere in circolazione un flusso di moneta consistente.

Sembrava tutto facile, c’erano entusiasmo e fiducia, elementi che aiutano gli investimenti. Ma non andò proprio così

Gli imprenditori non fecero investimenti destinati all’innovazione, la crisi petrolifera aveva creato molta disoccupazione  e un calo produttivo rilevante, l’aumento dei prezzi derivante dall’impennata del costo del petrolio e ‘inflazione, che ebbe riflessi notevoli sull’aumento del  del costo del denaro, e sui consumi e su debito pubblico italiano, già elevato. Le imprese riorganizzarono la aziende attuando il decentramento produttivo o delocalizzando le aziende nei paesi a basso costo della manodopera. Queste criticità ebbero effetti negativi sul corso deli eventi.

Sul piano internazionale si ebbe una ripresa delle tensioni tra i due blocchi, la guerra del Kibuz e l’invasione dell’Afghanistan da parte dell’URSS interruppero il dialogo fra le due grandi potenze  tanto che venne sospeso l’Accordo Salt e ricominciò una politica di riarmo.

Per la Politica, sarebbe stato necessario affrontare il problema del rinnovamento dell’amministrazione pubblica per renderla più efficiente e meno burocratica e avviare le riforme economiche utili a sostenere lo sviluppo, in particolare gli investimenti in infrastrutture, in R & S e il rilancio della politica per il Mezzogiorno, ma non si fece nulla,Le stesse privatizzazioni sono state fatte senza una visione strategica,

Sul piano internazionale si riaprì un aspro contrasto tra i Paesi occidentali e l’URSS che intendeva mutare gli equilibri di Yalta a suo favore per  avere maggiore influenza sull’Europa, con l’Italia che riacquistava una funzione centrale nella determinazione degli equilibri internazionali.

La politica di Craxi era incentrata sulla governabilità e sul piano internazionale una convinta adesione al Patto Atlantico ma senza alcuna subordinazione all’alleato Usa. Dimostrò questa autonomia cin la ferma decisione  degli euromissili e nel 1985, nella Notte di Sigonella, quando Craxi rifiutò di accettare  la richiesta di  estradizione dei terroristi dell’OLP  avanzata dagli Stati Uniti in quanto la nave era italiana e Sigonella era territorio italiano e quindi i terroristi dovevano essere assicurati alla Giustizia italiana e non a quella statunitense. Un atto di orgoglio nazionale , di coraggio e di umanità.

Si stava profilando un nuovo modo di fare politica non più improntato su accordi contingenti  tra i partiti ma decisioni da prendere in un quadro di prospettiva strategica  politico-costituzionale. Ma restavano ancora le incrostazione delle forze  politiche conservatrici ad abbandonare le pratiche clientelari del passato, di maggiore utilità dal punto di vista elettorale.

Alcide De Gasperi nell’immediato dopoguerra era riuscito a contenere le spinte conservatrici e i particolarismi della classe politica, ma alla fine anche lui   dovette arrendersi all’evidenza.

La cosiddetta democrazia bloccata ha ostacolato il  necessario  rinnovamento e i vari governi  hanno  preferito concedere benefici come aumenti salariali, aggravando il peso del debito pubblico.

Molti dei problemi ancora irrisolti derivavano dalle scelte politiche degli anni Settanta, come il necessario contenimento del debito pubblico, ma non c’erano politici responsabili capaci di  prendere le necessarie e impopolari decisioni-

Nè valse la decisione di Guido Carli, presidente della Banca d’Italia, avallata da Beniamino Andreatta, di non comprare più titoli di stato invenduti, che si sarebbero rovesciati sul debito pubblico italiano. In questo modo venne a nudo il reale ammontare del debito che, comunque continuò a crescere.

Eppure sul pano scientifico molte riflessioni e soluzioni possibili erano state prodotte da economisti e studiosi di storia economica sulla programmazione economica e sulle politiche di sviluppo e sulle teorie dello sviluppo locale, in una fase in cui le piccole e medie imprese, riunite in distretti territoriali sperimentavano nuovi modelli organizzativi grazie a investimenti in innovazione con successo, che trovava riscontro anche nei redditi elevati delle imprese,  grazie anche alla diffusa evasione fiscal

Gli anni Ottanta furono comunque un periodo di grandi cambiamenti..

La crisi de 1973 aveva accentuato il processo di globalizzazione, che sembrava eliminare le differenze, che invece sono emerse insieme alle diseguaglianze tra paesi ricchi e paesi poveri.

Nel 1980 viene presentato a New York il Rapporto Brandt, in  nel quale si affermava la necessità di ridurre la povertà e la fame nel mondo per integrare i paesi del Termo mondo nel sistema globale.

Nel 1982 morì il presidente russo L. Breznev,  e i suoi successori continuarono la stua  politica estera incentra  sulla dottrina Breznev, che  prevedeva la sovranità limitata  pei gli  stati  satelliti    e della distensione Est-Ovest e in  economia il rifiuto della diversificazione della produzione industriale  che  comportò la riprese della  corsa agli armamenti. I rapporti tra i due Blocchi restarono tesi fino alla presa del potere di Michail Gorbaciov, vero innovatore della politica  sovietica che inaugurò una stagione di profonde riforme restituendo agli stati l’autonomia decisionale nella definizione de loro futuro, e all’interno avviò una politica di trasparenza  e di libera diffusione dell’informazione e, in particolare una politica  di apertura verso l’Occidente, che lo rese artefice della caduta del muro di Berlino, della unificazione della Germania e dello smembramento dell’Impero sovietico e la conseguente nascita di stati autonomi, prima facenti parte dell’impero, grazie anche alla azione politico-religiosa svolta dal polacco Karol Woityla,  eletto papa nel 1987, che ha sostenuto le rivolte  dei polacchi.

Nel 1986 lo scoppio di un reattore della centrale nucleare di Chernobil (Ucraina) determinò la morte di  58 persone addette all’impianto, ma i morti per malattie oncologici furono molti di più, per l’OMS almeno 4000, secondo altre fonti almeno 6000 e diverse  migliaia furono gli sfollati

Secondo alcuni studiosi  ci vorranno almeno 24000 anni prima che il sito possa essere dichiarato sicuro, cioè privo di radiazioni.

I danni all’ambiente sono ancora più ingenti ed è difficile  quantificarli perché l’inquinamento ha interessato i terreni agricoli e le falde acquifere, che possono comportare ulteriori danni alla salute delle persone. Fu anche necessario lo sfollamento degli abitanti delle aree circostanti, ma sappiamo anche che le radiazioni sono trasportate dal vento e quindi i danni complessivi  sono di fatto incalcolabili.  Possiamo soltanto con l’immaginazione valutare cosa può essere successo.

Un incidente come questo ci impone di riflettere sul  rapporto tra l’uomo e l’ambiente  non più in chiave ideologica o negazionista, sulla necessità di riconsiderare la natura un bene raro che noi dobbiamo curare e non consumare in maniera irresponsabile. Anche sul piano politico-culturale  ci furono degli effetti in quanto nel 1987 in Italia si tenne un referendum contro l’uso civile e militare  del nucleare e la sensibilità per le questioni ambientali crebbe di molto, tanto  che i partiti verdi, in Italia e in Europa, aumentarono notevolmente  i loro consensi. A fine  1986 ci fu anche un incontro tra Gorbaciof e Regan,  che portò alla  firma di un  Trattato che impegnava i due Paesi a ridurre  le testate nucleare.   Ma dopo la caduta di Gobaciov la Russia rispolverò la politica del riarmo.

La caduta del muro di Berlino e la politica di Gotbaciov  segnarono la fine del Comunismo in Europa, anche se in Italia il comunismo reale non è mai esistito. Tuttavia, nonostante il PCI   nel Congresso della “Bolognina” del 1991,il segretario  Achille Occhetto propose e fece approvare lo scioglimento del     l PCI  e contemporaneamente la nascita del PDS,  che portò anche alla fine del comunismo come ideologia in Italia.

Ma, nonostante questi mutamenti significativi il “comunismo” resiste come propaganda politica per assicurare una rendita di posizione alle forze conservatrici, cosicché  negli anni Ottanta il quadro politico è ritornato a basarsi sull’asfittica alleanza tra la DC come partito egemone e i partiti laici e socialisti, fino al loro dissolvimento avvenuto nel 1992 , senza che venissero affrontati i problemi ancora irrisolti.

Negli anni Ottanta era esploso in Italia il debito pubblico. Era al 32%  all’inizio degli anni Sessanta, passò alla fine di quel decennio  al 37% e all’inizio del 1970  era ancora  al 40%, inferiore comunque al debito degli altri paesi europei.  ii debito esplose negli anni Ottanta, quando raggiunge il 100%. Le crisi degli anni Settanta, l’uso politico del debito pubblico per favorire il consenso, il ricorso ai BOT e BTP per finanziare leggi senza copertura finanziaria (Andreotti docet)., sono la causa del maggior debito.

Gli anni Ottanta furono comunque anni di trasformazione economica e sociali, c’èra euforia ed entusiasmo, cambiarono i costumi, la gente aveva voglia di divertirsi, nacque la movida, la moda del party e delle serate al bar, tipico il detto la Milano da bere, o lo sballo  e la trasgressione  nel quartiere  Trastevere a Roma, espressione di un benessere diffuso ma drogato, come del resto il PIL, che fece registrare un + 3,,5%.

In Europa la trasformazione  si accompagnò a processi di innovazione tecnologica che in Italia stentarono a decollare, aumentano i salari ma non  la  produttività, crebbe il PIL ma  anche la disoccupazione e la spesa pubblica è fuori controllo, si vive al di sopra delle reali  possibilità,  ricorrendo al prestito, l‘importante è apparire, esserci.  L’inflazione era elevata e la svalutazione della lira portò l’Italia fuori dallo SME. I governi sembravano più stabili ma la contrapposizione tra    DC e PSI restava forte e si cercava il consenso con una politica basata  sul clientelismo, un quadro che preannunciava una crisi imminente, che giunse nel 1992, quando il governo di emergenza guidato da Giuliano  Amato  dovette operare un  drastico intervento sulle finanze pubbliche per evitare il default..

L’inizio degli anni Novanta segnò la fine della spensieratezza, del divertimento, dell’edonismo, del denaro come espressione di potere e di potenza, gli eccessi di sprechi, le pensioni facili.

L’Italia è stata paese fondatore della CEE, cittadini e governi del periodo post-bellico erano convinti europeisti, e l’Italia è stata  protagonista nella nascita dell’Unione Europea, ha da subito fatto parte della nuova Unione nonostante il debito fosse molto più alto di quello previsto dai Trattati istitutivi, ma non ha mai rispettato gli impegni assunti, come quello relativo alla riduzione del debito e a partire dagli  Ottanta  ai sono affacciate all’orizzonte forze nazionaliste e sovraniste che  considerano l’Europa una  matrigna   da cui stare lontani.

Nel 2005 una grave crisi politica ha investito la UE, quando i cittadini di Francia e Belgio non hanno approvato la nuova Costituzione europea, già approvata dal Consiglio. Si dovette ripiegare sull’approvazione del Trattato di Lisbona, che rafforzò i poteri  del Parlamento,  ponendolo sullo stesso piano del Consigli e previde anche la recessione di uni stato membro (art. 50) ,norma  utilizzata dalla Gran Bretagna con la Exit del 2020. Questa bocciatura ha certamente rallentato il processo di istituzione degli Stati Uniti d’Europa.

L’Italia ha affrontato cin successo la  fase della ricostruzione post-bellica grazie alla tenacia di De Gasperi che, nonostante la vita breve dei diversi governi, ha governato con una politica coerente, che ha consentito di avere in quegli anni un incremento del PIL anche dl 6,5% , valore mai raggiunto nrgli anni successivi..

Il nostro Paese ha superato con successo anche  il ventennio degli anni di piombo, grazie anche all’impegno e al ruolo responsabile e istituzionale  avuto dal PCI, dei sindacati e dri partiti dell’arco costituzionale. Ma non si è riuscito a trovare una unità per fare le riforme necessarie per la modernizzazione del Paese. Sono emersi sempre più i particolarismi e gli interessi dei diversi partiti, ma anche per colps di una classe politica che ha uno scarso senza istituzionale.

Sull’Ottocento esiste una vasta letteratura che comunque converge sul giudizio che quegli anni  come caratterizzanti e condizionanti della vita futura del Paese.

L’Italia ha avuto, sempre, sin dall’immediato dopoguerra, una posizione geopolitica strategica a livello globale, per essere fino alla caduta del Muro di Berlino, il confine meridionale e  orientale della dell’Occidente, un ponte tra l’Occidente e Oriente, in particolare nello scacchiere balcanico.. La conseguenza è che gli USA hanno sempre influenzato la politica estera e interna dell’Italia, con interventi concreti sulla formazione e sulle decisioni dei governi, in particolare sul veto alla partecazione del PCI  al governo del Paese. Ciò ha creato una democrazia bloccata e il peso preponderante della DC fino alla crisi degli anni Novanta, creando le condizioni per cui l’Italia è stata costretta a essere un paese  con una forma di democrazia consociativa, al punto da assumere una caratteristica tipica di un regime, in cui cambiavano i governi ma non i governanti,  che -, essendo  intercambiabili, si trasformano  in  casta autocratica. Nrl caso specifico dell’Italia, se si considera che la maggioranza può andare alla colazione che ha preso meno voti e che i deputati vengono eletti secondo l’ordine di lista, senza preferenze, l’autonomia del Parlamento ne esce molto indebolita. Se si pensa che nel nostro Palamento è in discussione in disegno di modifica costituzionale che, se approvaro potenzierebbe i poteri del presidente del Consiglio dei ministri a scapito degli altri poterti, si evince  che non è più necessario un colpo di stato per modificare una democrazia in democratura, ma soltanto un accordo ta alcuni partiti. Sono questi i motivi che allontanano i cittadini dalla politica perchéla casta perde il rapporto con la realtà e si rinchiude nelle logiche di partito per soddisfare i propri interessi

Di conseguenza, in un sistema politico contraddistinto da diversità e pluralità culturale, espressione di una società divisa e frammentata, le modalità con cui si prendono le decisioni sono subordinate agli interessi elettorali dei diversi partiti, i cui risultati sono sempre  a somma positiva, in relazione al peso elettorale dei partiti e dei loro punti di vista e che comunque hanno sempre  il diritto di veto. Ne discende quindi la difficoltà o la facilità di prendere decisioni. E’ questo il costo della democrazia, una difficoltà che si supera facilmente quando le relazioni sono improntate alla coesione e all’interesse generale. In questo caso sono gli organi di garanzia e le istituzioni internazionali che possono tutelare la democrazia e il rispetto del diritto internazionale e favorire la pace..

Infatti, l’Alleanza Nato e l’Unione Europea hanno determinato un lungo periodo di pace per il nostro contenente, pace minacciata  nel 1962 dalla  crisi dei missili,  che per una settimana si è temuto che potesse effettivamente scoppiare un conflitto nucleare  di portata globale.

Un altro momento critico inquadrabile nel contesto della Guerra Fredda è l’invasione, negli anni Ottanta, dell’Afghanistan  da parte della URSS, che apri  una nuova stagione di instabilità in tutto il Medio Oriente.

Nel  2005 una grave crisi politica ha investito anche la UE, quando i cittadini di Francia e Belgio hanno bocciato l’approvazione della Costituzione europea che era stata approvata  nel 2004 dal Consiglio Europeo. Si dovette ripiegare sull’approvazione del Trattato di Lisbona, che rafforza i poteri del Consiglio e prevede anche la recessione di uni stato membro (art. 50),norma  utilizzata dalla Gran Bretagna con la Exit del 2020, al fine di superare quell’inciampo, che cpminque ha frenato il percorso per la costruzione deglo Stati Uniti d’Europa.

L’allargamento dell’Unione ai paesi dell’Est Europa  e il diritto di veto di ogni singolo paese nelle deliberazioni hanno creato una instabilità e talvolta anche scetticismo sulla politica comunitaria, che spesso crea immobilismo e ritardi nella costruzione di un’Europa federale.

L’Italia, che è stata Paese fondatore della CEE e molto attiva nella preparazione del Trattato di Maastricht, è invece poco attenta nel rispettare i vincoli europei e ha nei suoi rappresentanti politici elementi che mostrano ostilità e scetticismo nei confronti dell’Unione.

Gli anni Ottanta, dunque, rappresentano un periodo contraddittorio, di crescita  sociale ed economica, di innovazione e sviluppo tecnologico, ma anche di spesa facile, di corruzione , di forte evasione fiscale, di incremento del debito pubblico.

Secondo Paolo Morando (’80. L’inizio della barbarie, Laterza) gli anni Ottanta sono l’incubatore dei problemi dell’Italia di oggi, che il Paese è incapace di affrontare e risolvere. Roberta Monticelli  ne La questione morale, affronta il problema della corruzione, affermando che gli italiani sono sempre alla ricerca di un potente a cui sottomettersi pur di conservare i propri privilegi.

E’, infatti, un periodo di rampantismo, di lusso, di narcisismo, di arricchimento facile da ottenere in qualsiasi modo, anche attraverso l’illegalità. Il denaro come rappresentazione di potere e di potenza, un individualismo sfrenato per cui ciascuno opera per è, per soddisfare interessi personale, che fa venir meno il  senso dell’etica pubblica,  perché contano solo gli affari.

Gli anni Ottanta sono stati anche un periodo di grande progressi della scienza e dell’arte, della bellezza, ma segna anche l’inizio di un periodo di condoni, di sanatoria sugli abusi edilizi che favoriscono la distruzione del paesaggio, consumo, degrado ambientale e sociale con la cementificazione delle periferie urbane e lo svuotamento dei centri urbani, che diventano luoghi della movida e residenze improvvisate degli emarginati.

Ferdinando Sullo, ministro dei lavori pubblici, uomo di grande cultura, non solo politica, appartenente alla corrente progressista della DC, fautore dell’allargamento a sinistra della maggioranza di governo e per questo osteggiato dagli ambienti clericali, nel 1963 aveva presentato una proposta di una nuova legge urbanistica per fermare la speculazione e il disordine edilizio iniziato con la ricostruzione post-bellica, ridisegnando radicalmente il regime dei suoli separando nettamente la proprietà dei suoli dal diritto  di edificazione, così facendo terminare la speculazione edilizia. La proposta fu accolta  con molto imbarazzo dalla stessa DC, prendendone ufficialmente le distanze con un articolo pubblicato sull’Organo del partito.

Proprietari terrieri, costruttori, rappresentanti di categoria, la destra politica organizzarono manifestazioni di protesta per contestare l’iniziativa, cercando di delegittimare il Ministro anche con attacchi personali, falsi e ingiuriosi, tanto che decise di abbandonare la politica attiva, convinto che non fosse possibile la modernizzazione del Paese.

La DC è stata sempre un partito plurale ma sempre di ispirazione conservatrice, rappresentante degli interessi della classe dominante, e clientelare nei confronti dei ceti medi e dei contadini, che ha dominato la scena politica fino al 1994, esercitando anche il ruolo di serbatoio di molti dei reduci della Repubblica di Salò, verso i quali ha sempre mostrato interesse.

Da allora nessuna reale riforma urbanistica è stata fatta mentre si sono fatti parecchi condoni a sanatoria, con grave danno per la sostenibilità dell’ambiente.

Anche il terremoto del 1980 ha determinato nuovi squilibri territoriali e danni ambientali per la improvvisazione delle iniziative intraprese, senza una attenta programmazione. L’importante era spendere. E’ stata una nuova ghiotta occasione per costruttori e imprenditori, politici e organizzazioni malavitose per gestire i consistenti fondi per la ricostruzione su un vasto territorio, esteso anche ad aree non direttamente colpite dal sisma e lontane dal cratere, determinando distorsioni sociali e aggravio di spese pubbliche e, secondo la logica liberista, fu  anche l’occasione per favorire le varie lobbY.  Il terremoto fu anche l’occasione della camorra di diventare soggetto imprenditoriale, diversificando il proprio “portafoglio” e per allacciare nuove relazioni. Fu in quella occasione che fu rapito dalle Brigate rosse  un potente politico napoletano, rilasciato misteriosamente, con un esito diverso rispetto al caso Moro.  Il terremoto è stato anche occasione di corruzione, di opere mai finite, di iniziative poi fallite,  di aggravio di  spesa pubblica e anche di cartina di tornasole per misurare l’efficienza/inefficienza della pubblica amministrazione.  .

Fu un liberismo sfrenato che causò  gravi costi sociali.

La firma degli Accordi di Shengen del 1985 che stabilì la libera circolazione dei cittadini all’interno dei paesi dell’Unione favorirono  integrazione e  scambi culturali e nuova emigrazione di mano d’opera dopo un periodo di rimpatri, come  conseguenza  della crisi del 1973. E negli anni Ottanta fu approvato il progetto per la mobilità degli studenti, prima come Programma Socrates, poi come Programma Erasmus.

La mobilità, in particolare quella degli studenti, all’interno dei confini dell’Europa ha favorito la conoscenza di altre culture e stili di vita e lo sviluppo di una maggiore consapevolezza dell’importanza della integrazione tra persone di culture diverse, per meglio conoscerle e rispettarle, per sconfiggere pregiudizi, nazionalismi e sovranismi e diffondere la cultura della pace in un continente che ha conosciuto le tragedie delle guerre, per costruire una identità europea in un continente le cui identità hanno avuto origine da scontri e incontri di popoli culturalmente diversi., in un momento in cui sembra prevalere la cultura della solitudine, della disgregazione,  della contrapposizione e del ritorno all’uso della orza in un mondo globalizzato e interconnesso.

La Piazza del Popolo di Roma del 15 aprile che, su iniziativa di Michele Serra, era piena di cittadini e di bandiere europee ci dimostra della volontà di costruire gli Stati Uniti d’Europa, un progetto che dobbiamo contribuire a realizzare  per lasciarla alle future generazioni un’Europa accogliente, luogo di pace e di solidarietà dove costruire il loro futuro.                             .

Il processo di globalizzazione e la decolonizzazione, basata sul concetto di autodeterminazione dei popoli e di non ingerenza della sfera politica dei popoli, ha invece portato l’Occidente a imporre una neo-colonizzazione economica e di “esportazione” della democrazia che ha ostacolano lo sviluppo economico, politico e sociali nei cosiddetti paesi del (un tempo)Terzo Modo, dove ormai si è creata  una contrapposizione politico-ideologica  nei confronti dell’Occidente che ostacola lo sviluppo di relazioni multilaterali che penalizza  soprattutto un’Europa divisa e frammentata politicamente, rendendola inefficace nel ristabilire rapporti  di collaborazione  e di integrazione tra le due sponde del Mediterraneo.

L’Italia avrebbe dovuto avere maggiore autonomia decisionale nel promuovere nuove relazioni nel bacino del Mediterraneo e il periodo più idoneo sarebbero stati proprio gli anni Ottanta, con Craxi che aveva impostato una politica estere più autorevole e autonoma, ma le vicende interne lo hanno indotto  a occuparsi delle querelle dei partiti.

Negli anni Ottanta si accentua la frattura tra cittadini e politica e si rompe il patto social ma resta il consociativismo. La riduzione del ruolo del sindacata e la crisi  dei partiti, diventati sempre più autoreferenziale rende difficile un positivo rapporto con la realtà, un fenomeno che ha determinato un indebolimento della democrazia e della partecipazione.

La  marcia dei “Quarantamila” dirigenti Fiat contro l’occupazione di Mirafiori ha consentito a Craxi di abolire la scala mobile per raffreddare  l’aumento salariale che ha come conseguenza  il continuo impoverimento del ceto medio e dei lavorator, i che non si sentono più rappresentati fa  nessun partito o rappresentanza sindacale.

Il ritorno ai governi pentapartiti ha impedito il rinnovamento della classe politica e la modernizzazione del Paese .lasciando in eredità problemi che ancora oggi la politica non è in grado di risolvere e ciò confermerebbe l’ipotesi che gli anni Ottanta segnarono l’inizio della decadenza morale e politica del Paese.

Il ritorno allo schema della democrazia bloccata, l’adesione del partito di Craxi all’ideologia neoliberisti, la competizione e la conflittualità tra i partiti non ha consentito alla politica di esplorare nuovi territori per  ricercare modelli alternativi per attenuare le distorsioni create dallo sviluppo economico  tumultuoso degl anni Cinquanta-Sessanta, che sembrava inarrestabile, e dalla globalizzazione, per creare coesione e nuovo benessere.

La produzione italiana è stata sempre basata, sin agli anni Cinquanta,  su prodotti a bassa-media tecnologia e bassi costi della manodopera. Ma a partire dal 1973, in seguito alla crisi petrolifera, il paradigma produttivo è mutato radicalmente.

Per rispondere alla cris,i le imprese hanno delocalizzato la produzione ad alta intensità di lavoro in Cina, in India e in altri paesi dove il costo della manodopera era molto basso, trattenendo n Europa la produzione di beni ad alta tecnologia, grazie agli investimenti, pubblici e privati, effettuati nell’immediato periodo post crisi.

Così non è avvenuto in Italia, perchç non è stato fatto nessun investimento in ricerca & sviluppo, per cui anche i suoi prodotti a bassa tecnologia n non erano più competitivi in Italia come anche all’estero a causa della concorrenza dei prodotti provenienti dai paesi in via di sviluppo.

Di conseguenza il PIL rallentò, la povertà aumentò, gli attivi diventarono percentualmente più bassi di quelli degli altri paesi europei, la produttività media era più bassa rispetto ai paesi europei come pure le retribuzioni dei lavoratori e l’attrazione di capitali stranieri era limitata.

La quota italiana del commercio internazionale era diminuita progressivamente e le importazioni cominciavano a essere superiori alle esportazioni, la lira era debole e l’adesione   all’Unica monetaria e all’uso dell’Euro come moneta ufficiale fu  una necessità per stabilizzare la moneta

Ma il vero macigno era il debito pubblico, salito improvvisamente a oltre il 120% all’inizio del 1990, creando una crisi finanziaria che fece tenere il default.

La situazione era drammatica e per porre fine alla crisi finanziaria  e restare agganciare al Sistema monetario europeo  Giuliano Amato venne chiamato a formare un governo tecnico di emergenza, che  impose, con un provvedimento notturno, un prelievo forzoso del 6 per mille  su tutti  depositi e i conti correnti bancari e  impose una Legge Finanziaria di 90 miliardi di Euro.

Ma un’altra crisi aveva sconvolto il Paese un anno prima, nel 1991, la crisi morale nota con il nome di Mani Pulite, un fenomeno di corruzione diffusa che emerse grazie alle indagini condotte a Milano da un gruppo di magistrati della Procura meneghina, che svelò i rapporti tra politica, imprenditoria e mafia, che travolse l’intero sistema dei partiti.

La locuzione mani pulite era già stata usata negli anni precedenti,  nel film-inchiesta di Francesco Rosi del 1963, Le mani sulla città, che descriveva il sacco edilizio di Napoli durante la ricostruzione post-bellico da parte del governo cittadino guidato dalla Destra, un fenomeno, quello degli abusi edilizi, molto diffuso in molte città in quel periodo.

Il 7 febbraio 1992 il PM della Procura di Milano,  Antonio Di Pietro ordinò l’arresto di Mario Chiesa esponente del Partito socialista, colto in fragrante, su denuncia di un imprenditore che non volle pagare la tangente su un appalto, mentre intascava 7 milioni di euro, parte di una tangente di 14 milioni di euro,  mentre tentava di buttare nello aciaqquone 37 milioni di euro, frutto di un’altra tangente.

Il caso sconvolse   l’opinione pubblica e fece da effetto domino per altre inchieste che si diffusero in tutte le Procure italiane.

Craxi cercò di difendere il suo partito, affermando che l’episodio era un caso di corruzione dovuto alla responsabilità di Chiesa e che non toccava il partito, che da lungo tempo governava a Milano in maniera corretta. Ma quando le indagini andarono avanti e anch’egli fu destinatario di avvisi di garanzia e poi di una richiesta di arresto che il Parlamento prima aveva negato  e successivamente, in seguito alle proteste del  PdS e della Lega Nord e di proteste di piazza, concesse.

Craxi  il 3 luglio 1992  alla Camera, mentre si vitava la fiducia al nuovo governo nato in seguito alle elezioni dell’aprile 1992,  tenne a precisare che si stava tentando di delegittimare una intera classe politica con intenti eversivi per sostituire la democrazia con altre forme di potere. Ma nell’agosto 1993 cambiò strategia e con una chiamata di correo dichiarò che il finanziamento illecito ai partiti aveva radici antiche ed era ben ripartito e che l’immoralità  nella vita pubblica non nasceva negli anni Ottanta ma esisteva da tempi immemorabili, ma ira viene usato come esplosivo  per far saltare un sistema e delegittimare una intera classe politica e usare Craxi come parafulmine.

Le indagini di Milano presto si diffusero a macchia d’olio su tutto il territorio nazionale,  investendo non soltanto i politici di rilevanza nazionale appartenenti soprattutto ai partiti di governo, ma anche i rappresentanti locali dei partiti, amministratori di enti pubblici, imprenditori, professionisti e appartenenti a istituzioni di controllo e repressione, come membri della Guardia di Finanza,  magistrati, professionisti.

Venne fuori un sistema ben organizzato per la riscossione delle tangenti, che non erano finalizzate solo al finanziamento dei partito ma anche ai singoli parlamentare che le usavano per creare una rete di clientelismo per aumentare il proprio consenso e per spese personali per vivere una vita allegra.

Mani pulite ha scoperchiato il vaso di Pandora, che ha determinato sdegno e  malcontento nell’opinione pubblica e nonostante  le numerose indagini, gli arresti, le condanne e anche i morti  per suicidio, il malcostume non è stato affatto debellato perché molti sono quelli che si sono riciclati e il malaffare è ancora ben praticato nel nostro Paese. Per esperienze personali posso dire che spesso è lo stesso imprenditore che chiede al compratore la quota di maggiorazione del prezzo, come se la tangente fosse ormai una tassa fissa da conteggiare, come l’IVA.

Frequentavo la scuola media quando mio padre raccontò a mia madre che un dipendente di una grossa azienda gli aveva consegnato un corposo ordine di acquisto precisando subito che quella era merce da fatturare ma non da consegnare perché una parte del valore di quella merce gli  doveva essere restituita cash  come “diritto di intermediazione” e mio padre avrebbe potuto anche aumentare i prezzi della merce. Fu invitato ad andare via senza gentilezza, ma non si scompose, disse semplicemente .”c’è chi si presta”. Inutile dire che l’azienda dei distratti   proprietari andò incontro a un fallimento. Aveva ragione Craxi che si tratta di un fenomeno antico. subire il fallimento dell’azienda  qualche tempo dopo.

Ero giovane “apprendista stregone” a Napoli e per arredare  un’aula avremmo dovuto comprare delle sedie. Avevo visto in un negozio delle sedie con leggio di ottima qualità e il prezzo era di 27 mila lire cadauna. Ho informato l’ingegnere dell’Ateneo che sarebbero state delle buone sedie da acquistare ma la risposta fu che i Vigili del Fuoco  non avrebbero dato l’autorizzazione perché di legno, abbiamo un altro prodotto che già abbiamo comprato altre volte senza problemi.

Chiesi se fossero in ferro, ma rispose che erano di plastica dura. Dopo qualche giorno mi avvertì che aveva risolto il problema con i Vigili e avrebbe acquistato le sedie da me indicate. Per caso vidi il preventivo e il prezzo era di 49 mila lire a sedia. Gli dissi che a me erano state offerte a 27, mi faccia fare un preventivo scritto. Non sono mai più stato ricevuto  né dal negoziante né dell’ingegnere. Purtroppo agii con ingenuità, sapevo solo il significato della tangente in matematica.

Appresi qualche anno dopo che quell’ingegnere, nel frattempo trasferitosi in altra sede, era stato arrestato per corruzione e con lui anche il rettore della sede perché “non poteva non sapere” (una accusa di moda in quei tempi). Il rettore rinunciò alla prescrizione e dopo 20 anni venne assolto con formula piena. Era un giovanissimo e illustre docente, una vita distrutta perché  qualche anno dopo l’assoluzione lasciò  questa nostra Terra. Capii allora  anche la pericolosità dei malfattori e le conseguenze delle loro azioni sulla vita delle persone e sulla società.

Nel 1992  l’economista Mario Deaglio calcolò il danno erariale di Tangentopoli:

10.000 miliardi  di lire annui  di costi per i cittadini

150.000-250-000 miliardi per indebitamento pubblico aggiuntivo

15.000-25.000 miliardi di maggiori interessi sul l debito pubblico.

Confrontando i costi delle opere pubbliche italiane con quelle straniere (strade, ferrovie, stadi ecc.), in Italia sono superiori del doppio, il triplo, a volte anche il quadruplo di quelli in altri paesi e i tempi non sono mai quelli previsti e spesso ci sono anche casi in cui i lavori restano incompiuti.

Ecco perché il debito pubblico cresce sempre di più..

Inizialmente la Casta ha cercato di minimizzare l’entità dello scandalo, almeno fino a quando i personaggi coinvolti erano non direttamente riconducibili ai partiti, ma quando il fenomeno si è allargato finendo per coinvolgere i massimi esponenti dei partiti e delle istituzioni allora è partita la macchina del fango, il tentativo di mistificazione della verità chiamando in causa i “soliti” poteri forti che di volta in volta, attraverso la Magistratura antigovernativa vogliono scalzare il potere costituito per demolire la democrazia. E la storia si ripete.

Numerosi sono stati i tentativi per bloccare le indagini, il lodo Biondi per rendere prescritti i reati, le denunce contro i giudici rei di aver commesso abuso di ufficio o per  diffamazione.

Numerosi sono stati gli attacchi al PM Di Pietro, elemento di punta del Pool, essendo particolarmente esperto del reato di corruzione avendo precedentemente condotto altre indagini su tale fattispecie di reati.

Ma questa volta la Casta non è riuscita a portare le indagini nelle sabbie mobili e il primo pilastro del potere a cadere fu il CAF, l’accordo di potere tra Craxi, Andreotti e Forlani.

Nonostante il malcontento dell’opinione pubblica e la liquefazione del sistema di partiti, i cittadini non sono stati capaci di rinnovare la politica. Sono nati i populisti formati da politici spesso incompetenti e incapaci tanto che, nei momenti di  gravi crisi economico-politiche, devono essere sostituiti da governi tecnici per evitare il crollo del sistema-paese.

Francesco Cossiga, dopo aver ricoperto la funzione di Ministro degli Interni nel biennio 1976-1978 ed essersi dimesso da quella carica  in seguito all’uccisione di Aldo Moro, nel 1985   venne eletto al primo scrutinio Presidente della Repubblica, succedendo a Sandro Pertini. Cossiga detto il “picconatore” si dimise da Presidente nella primavere del 1992. Le motivazioni furono il crollo dei partiti e soprattutto di quelli che avevano formato i governi precedenti allo scandalo.

L’ultimo governo di pentapartito fu quello in carica  dal  1987 al 1992, guidato da Goria, De Mita e Andretti  (VI e VII),

l’XI legislatura (1992-94) ebbe due  presidenti, Giuliano Amato e  Carlo Azeglio Ciampi, Governatore  della Banca d’Italia.

Il  28 giugno 1992 nasce, infatti,  l’ultimo governo politico  della cosiddetta  Prima Repubblica.

Il biennio 1992-94 furono anni difficili perché nel 1992 vennero organizzati da Cosa Nostra due attentati  che causarono la morte di Paolo Borsellino, ucciso con una bomba fatta esplodere mentre  usciva dalla casa della mamma  in via d’Amelia a Palermo e poco dopo dalla strage di Capaci, nella quale morì Giovanni Falcone, la moglie e  cinque uomini della scorta. I due magistrati che facevano parte del pool antimafia creato nel 1980 da Rocco Chinnici,  ucciso nel 1983 in un attentato, e a Palermo era stato ucciso nel 1982 anche il prefetto di Palermo Carlo Albero dalla Chiesa, inviato in Sicilia come prefetto mentre stava svolgendo indagini sul caso Moro.

L’inizio degli anni Novanta fu sconvolto da azioni molto  violenti ch segnarono la ripresa del fenomeno terroristico dopo gli attentati d’inizio anni Ottanta, che avvenivano  in un momento in cui lo Stato era stato indebolito da Tangentopoli, un momento favorevole per  la Mafia che tentò di colpire e ricattare lo Stato, influenzare il governo del Paese  e diffondere paura tra   la società civili al fine di aprire una trattativa Stato-Mafia.

Oltre agli attentati ai due magistrati, in quel periodo venne ucciso Salvo Lima, rappresentane  di spicco della politica siciliana- Molti episodi oscuri successero in Italia  negli anni Ottanta e Novanta. E rimasti ancora tali. Oltre a quelli già menzionati sconcertanti sono l’uccisione di Ilaria Alpi, una giornalista che indagava sul traffico dei rifiuti, quelle di Sindona e di Calvi, il rapimento e la scomparsa della giovane che viveva nella città del Vaticano, Eleonora Orlandi, di 15 anni, la sepoltura del boss della Magliana nella cripta della Basilica   di Sant’Apollinare Enrico De Petris,  tutti episodi inquietanti che manifestano intrighi tra mafia, politica e Chiesa . A tutto ciò si deve aggiungere la scoperta nel 1981 della lista degli iscritti alla Loggia massonica P2, che riuniva membri del Parlamento, alti funzionari dello Stato, magistrati, professori universitari, imprenditori, militari, giornalisti, che certamente non era un club di amici ma ina associazione segreta con finalità politiche, una organizzazione paragovernativa parallela allo Stato. Anche se scoperta, certamente non nella sua integrità, perché qualcosa sarà stata occultata, i suoi membri  non sono rimasti inattivi, condizionando il corso della politica del Paese anche dopo Tangentopoli. Nel 1993 si ebbe anche l’attentato a Maurizio Costanzo , giornalista amico di Giovanni Falcone, impegnato nel contrasto la mafia,  con un’autobomba fatta esplodere  in via Fauro a Roma, mentre il giornalista  stava conducendo un suo spettacolo in un  teatro del quartiere Parioli. Altro episodio da decifrare è l’uccisione, con un colpo in bocca (che nel gergo mafioso significa uno che “canta”), del giornalista Mino Pecorelli nel 1979, un infiltrato nella P2, che è stato ucciso il giorno dopo della morte del Papa Luciani, che aveva incontro il pomeriggio precedente.

Non va dimenticato che nelle liste della P2 c’era anche il nome di Silvio Berlusconi, protagonista dell’ultimo trentennio della vita politica nazionale e internazionale.

Sono del 1993, come abbiamo già visto, anche le bombe ai beni culturali in via dei Georgofili a Firenze e nelle chiese di Roma, al Palazzo del Laterano e a San Giovanni in Laterano, a Milano in Via Palestro, dove morirono 4 persone e 12 rimasero ferite e vennero danneggiati il Padiglione d’Arte Moderna e la Galleria d’Arte  moderna . Se si considera inoltre che in molti attentati si è avuta la partecipazione di esponenti della destra eversiva, l’obiettivo principale era instaurare in Italia un governo “forte”, cioè non democratico, e li pericolo è ancora vivo.                                                           Si pensò tuttavia che la crisi politica esplosa negli anni Novanta potesse essere risolta  per via referendaria, modificando il sistema elettore da proporzionale a maggioritario e con l’introduzione della preferenza unica per eliminare le cordate clientelari e che queste modifiche fossero sufficienti per modernizzare e moralizzare la vita politica.

Fu una lettura ottimistica della realtà italiana, si pensava  che con il superamento della fase del terrorismo e la crisi di fine anni Ottanta l’Italia avrebbe trovate le necessarie energie per  promuovere un uovo miracolo economico. Non si capì che la corruzione, la malavita organizzata, le trame eversive erano e sono elementi strutturali della nostra società e  per rimuoverli sono necessari metodi e strumenti innovativi e ch per modificare comportamenti radicati ò necessario partire dalla formazione e dalla cultura per formare una nuova classe dirigente con una visione aperta all’innovazione e a relazioni ad ampio raggio, in un mondo globalizzato, instabile e alla ricerca di un nuovo ordine mondiale..

Ma tra 1991 e 1993, su iniziativa di Mario Segno, figlio dell’ex presidente della Repubblica, professore universitario, deputato democristiano, insieme ad altri 30 intellettuali, promosse un’ondata referendaria che alla fine, pur non cambiando la Costituzione, la modifica del sistema elettorale in senso maggioritario e la preferenza unica, provocò uno scossone nella stantia politica italiana.

Il grande successo di partecipazione (circa il 63% degli aventi diritto) e di consensi (95% per il si) nonostante l’opposizione della DC, del PRI e del PSI, con il segretari Bettino Craxi che aves invitato gli elettori ad andare al mare anziché recarsi ai seggi, il risultato dimostrò la sfiducia che la popolazione aveva ormai nei confronti della classe politica.

Si rese quindi necessario approvare una nuova legge elettorale che recepisse la indicazione del referendum chiaramente orientato verso un sistema maggioritario.

Il 4 agosto 1993 venne approvata dal Parlamento  la legge elettorale “Mattarella” che prevedeva la elezioni dei tre quarti dei seggi col sistema maggioritario  e di un quarto col sistema proporzionale, che restò in vigore fino al 2005, quando venne sostituito dal cosiddetto  Porcellum. Altre due leggi elettorali vennero approvate nel 2’15 (Italicum) e nel 2017, il  Rosatellim,    attualmente  in vigore,                                                                                         che prevede un sistema misto proporzionale-maggioritario con liste bloccate.  I 3/8 dei seggi sono attributi col sistema maggioritario attraverso collegi uninominali, i rimanenti col sistema proporzionale con liste bloccate, cioè senza preferenze, per la conservazione della casta. I candidati nei collegi uninominali possono essere  espressione di un solo partito o di una coalizione di partiti.

La dissoluzione dei partiti che avevano governato l’Italia dal dopoguerra fino al 1992 fece nascere nuove formazioni e nuovi protagonisti che entrarono nella scena politica, modificando i vecchi schemi, facendo emergere nuovi personaggi.  Fu però un rinnovamento solo di facciata perché i nuovi protagonisti , in realtà,  erano soggetti politici appartenenti all’establishment   della cosiddetta Prima Repubblica, la classe sociale, economica e culturale dominante, interessata a conservare lo status quo ante, per la conservazione dei propri privilegi.

Nel marzo 1994 si svolsero in Italia le elezioni per  il rinnova della Camera dei Deputati e del  Senato dopo appena due anni di vita del precedente parlamento poiché il Presidente della Repubblica Eugenio Scalfari non riuscì a formare un governo stabile e fu costretto a sciogliere le Camere-i

Le nuove elezioni si svolsero con il sistema maggioritario e ciò costrinse i partiti  a cercare un’alleanza tra forze diverse. Segnarono la transizione dalla Prima alla Seconda Repubblica, definizione impropria perché in realtà non ci fu una nuova Carta Costituzionale ma soltanto un nuovo sistema elettorale, che comunque cambiò sostanzialmente il quadro politico.

La novità principale fu la nascita di un nuovo partito, Forza Italia, fondato da Silvio Berlusconi, imprenditore milanese. Un nuovo partito ma non un nuovo personaggio.

Chi era  Silvio Berlusconi?

Un imprenditore nel campo dell’edilizia che edificò su terreni vincolati perché si trovavano in corrispondenza dell’aerovia della discesa sull’aeroporto di Milano Linate, Cavaliere al merito del lavoro (1977), fondatore della holding Fininvest nel 1975, che nel 1993 generò Mediaset, la società multimediale proprietaria di tre canali televisivi. Aveva anche quote azionarie in altre aziende, Banca Mediolanum, Arnoldo Mondadori Editore, Teatro Manzoni di Milano, proprietario dell’A.C.  Monza e dal 1986  dell’A.C. Milan. Possedeva anche un vasto patrimonio immobiliare.

Era in amicizia da tempo con Bettino Craxi, suo protettore politico.

Venne alla ribalta da quando acquistò il Milan, facendone una squadra vincente sul pano nazionale e internazionale, che lo consacrò come grande

Venne alla ribalta da quando acquistò il Milan facendone una squadra vincente sul pano nazionale che lo consacrò come grande manager e uomo di successo.

Tuttavia, dal punto di vista della solidità finanziaria la situazione non era florida come apparivano. Secondo Mediobanca, le aziende del gruppo Berlusconi nel 1992 avevano 7140 miliardi di leuro di debiti (4475 finanziari, 2665 commerciali) mentre il capitale netto ammontava a 1053 miliardi di euro..

La crisi politica,  soprattutto della DC e del PSI,  e  la fine politica di Bettino Craxi aveva fatto perdere agli imprenditori gli  importanti rapporti con la politica. La caduta di Craxi preoccupò molto Silvio Berlusconi che perdeva il suo principale riferimento politico in un periodo molto difficile  per il suo impero economico dal punto di vista finanziario. Ma  tutta la borghesia imprenditoriale italiana era in fibrillazione  perché rischiava di perdere i necessari riferimenti politici che fino ad allora aveva con i partiti di governo.

E’ in questo contesto che nasce Forza Italia. Pare che a Casa Agnelli si fosse avuta una ristretta riunione di imprenditori, politici e intellettuali dalla quale emerse la decisione dell’opportunità di formare un nuovo partito liberale e conservatore per contrastare i partiti progressisti accomunati nella  parola “i Comunisti”.

Berlusconi così poteva contare non soltanto sui tifosi e sulla sua rete di uffici finanziari diffusa su tutto il territorio nazionale ma anche sulla classe dirigente conservatrice del Paese.

Il nuovo sistema elettorale suggeriva l’opportunità di alleanze. Berlusconi ebbe la capacità df formare il Polo delle Libertà,  sdoganando il MSI, erede del Fascismo, e fare alleanza con la Lega di Umberto Bossi, partito territoriale del Nord, antisistema. Una coalizione tra diversi maaccomunati dagli stessi interessi.

Nel1994 si svolsero le elezioni politiche e elezioni amministrative, queste ultime con la novità dell’elezione diretta dei sindaci e dei presidenti delle province.

Le elezioni politiche videro contrapposti   tre schieramenti: il Polo delle libertà e del buon governo, che raggruppava tutti i partiti di centro destra, incluso  con Forza Italia, il nuovo partito fondato da Silvio Berlusconi, alla sua prima prova elettorale; I Progressisti, guidati da Achille Occhetto, un polo che includeva  PDS,  PRC, Verdi e Socialisti; il Patto per l’Italia, un’unione di partiti di centro che comprendeva la lista di Mario Segni, promotore dei referendum, il nuovo  Partito Popolare Italiano  nato dalla scissione della DC e  guidato da  Mino Martinazzoli. E’ il primo dei tanti errori che caratterizzerà la politica dei progressisti, dividersi per far vincere le destre.

Le novità dunque sono la scissione della DC in due tronconi, il Partito Popolare italiano, che  raccoglieva la maggioranza degli ex-democristiani, alleato del polo centrista, e il Centro Democratico Cristiano di Pier Ferdinando Casini, alleato del Polo delle Liberà, come partito di centro..

La vera novità è quindi la discesa in campo di Silvio Berlusconi alla  guida del   suo nuovo partito  Forza Italia e del Polo da lui fondato,   una coalizione di centrodestra, che si alleò anche con la Lega Nord. Un vero capolavoro politico, sdoganò gli ex fascisti del MSI e chiuse un accordo con un partito regionale secessionista.. Il Centrosinistra, invece,  si presenta diviso in due diversi raggruppamenti.

Forza Italia era un “contenitore” che raggruppava ex-democristiani, liberali, i socialisti di Bettino Craxi , intellettuali che credevano nell’annunciata rivoluzione liberale, e personalità della Fininvest, l’azienda che raggruppa le tre reti televisive private di Berlusconi, che giocheranno un ruolo  importante nella campagna elettorale e nell’affermazione di una nuova cultura basata sul liberismo, sul consumismo e sull’edonismo.

Celebri sono le trasmissioni di Renzo Arbore, ironiche ma nello stesso riflessive sulla nuova TV commerciale  fatta di quiz, ballerine e canzonette che annunciavano l’arrivo di un nuovo miracolo economico e nuove libertà intese come deregulation, libertà di non rispettare le regole, perché frenano la libera iniziativa, evasione  come antidoto alla eccessiva pressione fiscale.

Dopo le elezioni, vinte dal centrodestra, nasce il Governo Berlusconi, d i cui fanno parte esponentii di tutte le forze della coalizione, Lega Nord compresa che però dopo appena otto mesi (11 maggio 1994-17 gennaio 1995) toglse la fiducia al governo. Nell’impossibilità di formare un nuovo governo politico li Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro incaricò Lamberto Dini, ministro dell’Economia del governo Berlusconi per formare un nuovo governo che entrò in carica il 17 magi 1995 e durò  fino al  18 maggio 1996.

La crisi dipese anche dall’autorizzazione all’arresto dato dalla Camera,  del parlamentare del PdL  Alfonso Papa, membro della Commissione Giustizia, a seguito dell’inchiesta della Procura di Napoli sulla P4, una associazione che costruiva dossier clandestini per gestire e manipolare informazioni segrete per orientare appalti e nomine.

E’ l’inizio di una serie di vicende giudiziarie che caratterizzeranno la vita politi italiana dagli anni Novanta fini al 2023, anno della morte di Berlusconi.

I problemi giudiziari a carico di Berlusconi  sono stati molteplici e risalgono alla seconda metà degli anni Ottanta. Molto discussi i suoi rapporti con Marcello Dell’Utri, a cui ha lasciato 30 milioni di euro come volontà testamentaria, arrestato a Torino nel 1995 con l’accusa di aver inquinato le prove sui fondi neri  di Publitalia e di avere rapporti con la Mafia. Molto discusso l’avviso di garanzia a  carico di  Berlusconi emesso dalla Procura di Milano, portato a conoscenza a mezzo stampa nel 1994 mentre a Napoli erano in corso i lavori del G8. Tra i tanti procedimenti in corso l‘unico che è stato portato a termine è quello che nel 2014 ha portato Berlusconi in carcere a Cesano Boscone.

Le sue vicende giudiziarie hanno provocato uno scontro tra magistratura e politica che dura ancora oggi.

Era stata votata la legge elettorale con lo scopo di dare più stabilità ai governo ma la prima esperienza è stata fallimentare perché dopo il Governo Dini, il Presidente Scalfari dovette sciogliere  le Camere e indire nuove elezioni perché non si riuscì a formare un nuovo governo. Si è discusso molto anche sulla costituzionalità del governo Dini. E’ il primo governo tecnico della storia repubblicano, ebbe  la fiducia dalla Lega nord ma la maggioranza è di centrosinistra. Un bel pasticcio!

Il 21 aprile si tenero le nuove elezioni politiche.

Il risultato questa volta premia la coalizione di centrosinistra, l’Ulivo, guidata da Romano Prodi,  che alla Camera  con il 44,6% supera lo schieramento di centrodestra, guidati da Berlusconi, che senza  la Lega Nord non va oltre il 37,3%. Al Senato le percentuali di voto sono rispettivamente il 44,6% contro  il 37,3%.

Anche questo governo venne sfiduciato alla Camera per un solo voto (312 a 313), perché una parte dei deputati di Rifondazione Comunista, alleata dell’Ulivo, votò contro la fiducia al Governo.. Si susseguirono tre governi diversi (D’Alema 1 e 2, Amato 2) e comunque si arrivò a fine legislatura.

La XIV legislatura (maggio 2001-aprile 2006) è una delle poche  che è dura cinque anni con lo stesso schieramento e lo sesso presidente  (Berlusconi 1 e 2).

Tra  il 2006 e il 2022 si sono formati in 5 legislature ben 10 governi, una media  di quasi uno ogni due anni.

Sono stati governi di centrosinistra (3), di centrodestra(2), sovranisti e populisti (Conte 1 e2 e governi tecnici (2).

Nel complesso dal 1948 a oggi si sono succeduti 68 governi e 31 presidenti, quasi un governo all’anno o poco più.

La differenza tra prima e seconda Repubblica è che nei primi 15 anni  e anche  dopo, fino alla fine degli anni Ottanta, i governi erano egemonizzati dalla DC e quindi  cambiavano i governi ma non la politica e le alleanze e le  leadership.

La legge maggioritaria ha favorito l’alternanza fra alleanze diverse e, sia pure in parte una maggiore durata dei governi, l’aggregazione di forze disomogenee non ha risolto il problema dell’efficacia e dell’efficienza dei governi perché è facile trovare l’accordo sul potere e sul clientelismo ma non sulle scelte strategiche per una progettualità di largo respiro finalizzate alla modernizzazione  del Paese, essendo  le scelte condizionate dagli umori dell’elettorato attraverso i dati  dei sondaggi.

In uno studio di Massimiliano Di Pace, che analizza  vent’anni  di politica economica dei governi   (1992-2012), utilizzando i dati forniti dalla Banca d’Italia, Istat ed Eurostat, dividendo i governi tra centrodestra, centrosinistra e tecnici, i risultati dell’indagine sono certamente interessanti.

Il confronto tra le forze politiche è stato fatto sulla finanza pubblica (spesa pubblica, fisco,) e sulla crescita economica.

La prima notazione riguarda  la tendenza, in particolare per i governi di centrodestra, alla propaganda, promettendo un nuovo miracolo economico,  riduzione delle tasse, aumento dei posti di lavoro e felicità, promesse sempre   disattese pur dichiarando con enfasi gli strepitosi successi  conseguiti.

I governi di centrosinistra hanno contribuito in misura minore all’incremento del debito pubblico.

Se si considerano  i dati del debito pubblico espressi in termini reali, ossia rivalutati al valore dell’euro di fine 2012 emerge che:

I Governi  tecnici: 6 miliardi euro/mese, pari a 301 mld di euro in 50,5 mesi, che rappresentano il 43,7% del debito reale accumulato tra fine 1991 e 2012, una percentuale maggiore di quella relativa alla durata degli esecutivi rispetto al periodo considerato, pari al 20,7%.

governi di centrosinistra: 0,9  mld euro/mese, pari a 77 mld in 84,5 mesi, ossia 11,2% di tale debito, pur avendo governato per il 34,6% del periodo considerato.

Governi di centrodestra: 2,8 mld euro/mese , pari a 3310 mld di euro in 109 mesi , ovvero il 45,1%, percentuale analoga a quella relativa alla durata, 44,7%.

Si evidenzia come i governi di centrosinistra abbiano performance  migliori rispetto a quelli di centrodestra e siano più attenti alla riduzione del debito.

I risultati negativi vengono dai governi tecnici  (Amato I, Ciampi, Dini, Monti)  e la spiegazione è che i tecnici vengono chiamati nei momenti di grande crisi per rimettere in orine conti disastrati in poco tempo, quindi non hanno tempo sufficiente per interventi di medio-lungo termine.

Se si considerano i parametri di Maastricht,  il patto di stabilità e il Fiscal Compact emerge che:

Governi tecnici: 7,9% (media su 4 anni).

  1. B) governi di centrosinistra: 2,9% (media su 7 anni),
  2. C) governi di centrodestra: 4,3% (media 10 anni).

Analizzando i tassi di crescita del PIL reale emerge quanto segue:

governi tecnici: 0,1 media annua.

governi di centrosinistra: 1,9 media annua.

Governi di centrodestra: 0,3 media annua.

Considerazioni: i governi di centrodestra fanno propaganda, promettono crescita e sviluppo ma  fanno solo spese che aumentano il debito e non fanno sviluppo.

I governi di centrosinistra quando vanno al governo devono riparare i danni fatti dal centrodestra e comunque hanno performance migliori.

Emerge tuttavia una bassa crescita economica del nostro Paese conseguenza di una politica che non è stata in grado di fare le riforme necessarie a rimuovere quegli ostacoli burocratici e rendere attraverso un processo  di innovazione competitivo il territorio.

Il ritardo di sviluppo si nota ancor di più se la nostra crescita si confronta con quella degli atri paesi europei nello stesso periodo:

Media europea 16,7%,  Spagna 47,8%, , Gran Bretagna 48,1%,  Francia 33,8%, Germania 28,4%. Negli ultimi 20 anni Spagna e Gran Bretagna hanno avuto una crescita molto elevata, buona anche la crescita della Francia e della Germania, l’Italia è di fatto il fanalino di coda.

Al di là dei governi che si sono susseguiti, il XXI secolo è segnato dal Berlusconismo, una ideologia e una cultura politica che ha cambiato socialmente, economicamente e politicamente l’Italia  attraverso la propaganda fatta con  discorsi pubblici e i social-media, avendo Berlusconi il controllo di tre canali televisivi di sua proprietà, vari giornali e, una volta al potere, anche la possibilità di condizionare la linea culturale e politica  delle reti Rai.

Berlusconi  “scese in campo” il 26 gennaio 1994 con un messaggio televisivo preregistrato e inviato a tutti i telegiornali  delle reti televisive nazionali. Pochi giorni prima, il 18 gennaio, aveva fondato il movimento politico Forza Italia.

Nel messaggio, molto breve, della durata di nove minuti: “L’Italia è il Paese che amo…… Ho

scelto di scendere in campo e di occuparmi della cosa pubblica perché non voglio vivere n un Paese illiberale, governato da forze immature e da uomini legati a doppio filo a un passato politicamente ed economicamente fallimentare. …”

Un messaggio diretto, senza intermediazione, che sarà la cifra del suo comunicare direttamente con il popolo, una formula già sperimentata nell’antichità da Pericle, e riproposta da Mussolini e molto diffusa  oggi dai cosiddetti “populisti”.

Berlusconi chiuse il suo messaggio assicurando che verrà data fiducia  a chi crea occupazione e benessere, garantendo un nuovo “miracolo economico”.

I valori su cui si basava la nascita del nuovo movimento politico erano la difesa della libertà, la politica come servizio, l’impegno a sostenere la libera iniziativa e le persone  che vogliono “fare”. Promette mille posti di lavoro, la riduzione delle tasse,  di incentivare il volontariato. Le parole “chiave” sono libertà, solidarietà,  efficienza economica, protezione sociale.

Un partito di centrodestra, di impronta liberista in economia, europeista, atlantista,  la difesa dei valori giudaico-cristiani e, soprattutto anticomunista,  un termine che assume un significato ampio per contrapporsi al campo progressista.

Le promesse non sono state mantenute, nessuna riforma sulla concorrenza, nessun intervento per ridurre il debito pubblico e gli sprechi  per rendere efficiente la pubblica amministrazione, soltanto leggi ad personam per  difendersi dai tanti processi a suo carico e per tutelare il suo patrimonio. Infatti, se l’Italia non ha progredito sul piano economico e sociale, le sue imprese hanno fatto  registrare utili che hanno consentito l’azzeramento dei debiti e utili che lo hanno reso uno dei più ricchi al mondo. Un passato con molte ombre e un legame forte con Craxi , ormai vanificato dalla   crisi dei partiti,  lo ha indotto a entrare nell’agone politico per difendere i suoi interessi non più come sostenitore occulto del nume tutelare ma da protagonista.

Dopo la beve presidenza del Consiglio (8 mesi) Berlusconi è stato capo del governo  ininterrottamente dal 2001 al 2011 e influente capo dell’opposizione o partner importante di coalizioni di governo fino alla caduta del governo Draghi, che ha contribuito egli stesso  a sfiduciare, nel 2022.

Lunghi anni di responsabilità ai massimi livelli per poter realizzare il programma di rilancio, di modernizzazione e di sviluppo del Paese che egli aveva promesso. Ma così non è stato.

Negli anni del suo governo l’Italia è cresciuta meno degli altri paesi europei, nel 2001 il nostro PIL era superiore del 24% rispetto alla media europea, nel 2011 di appena il 6%, nel 2015 diventò addirittura inferiore alla media europea, nel 2021 è inferiore del 5%. Un grosso declino che si  è prodotto maggiormente nei periodi in cui Berlusconi era al governo.

Questo arretramento vale anche per la competitività dell’industria: Nel 1995 era di ben 41 punti percentuali sopra la media europea, nel 2011 era inferiore alla medita e tra 2000 e 2020 l’Italia ha perso rispetto alla Germania 26,4% punti in termini di CCLUP, 26,8 rispetto alla media dell’Eurozona. (dati OCS)

Rispetto all’ultimo rapporto sulla competitività l’Italia è al 21° posto sui 27 paesi europei, nel 2016 al 17°  posto, nel 2019 al 18° posto, dati che evidenziano una lenta, continua regressione.

E’ aumentata di conseguenza  anche la disuguaglianza e non è stato fatto nulla in quanto alle libertà civili e politiche, come anche sulle politiche  economica e  industriale.

Ma non aveva sbandierato la rivoluzione liberale che Piero Gobetti chiedeva già nel 1922?

In compenso sono state approvate leggi sul falso in bilancio sulla prescrizione, sulla tassa di successione, tutte a favore delle classi agiate io per proteggere  i corrotti e le il

legalità dei colletti bianchi. Ance l’abolizione dell’ICI sulla prima casa ha favorito i ricchi perché contestualmente sono stati ridotti i trasferimenti ai comuni, che hanno aumentato le tasse comunali. E il risparmio ha favorito maggiormente  chi possedeva una casa di lusso ai Parioli  a Roma o in pazza del Duomo a Milano.

Nel 1999 l’euro venne introdotto come valuta elettronica per le transazioni finanziarie tra bancarie e  imprese e nel 2002 come moneta circolane in  12 paesi europei. Questa innovazione non consentiva più all’Italia l di svalutare la moneta per restare competitivi sui mercati internazionali,     ma sarebbe stato necessario avviare una serie di riforme atte a favorire l’innovazione nella produzione industriale, effettuare investimenti nella formazione e nella ricerca, ma nulla si fece. Il cambio venne  adottato a un euro  equivalente a 1936,37 lire, come stabilito dal Consiglio europeo.

L’adesione all’euro da parte degli stati sarebbe dovuto avvenire soltanto nel rispetto dei parametri del Trattato di Maastricht, ovvero con l’impegno ad avviare una politica di riduzione del debito pubblico, ma a tutt’oggi l’Italia non è stata in grado di rispettare gli impegni.

L’adesione avvenne sotto il governo Prodi ma nel 2002, anno in cui la nuova moneta cominciò a circolare era in carica il governo Berlusconi con Tremonti ministro dell’Economia.

Subito si cominciò a criticare  l’equivalenza euro/lire, euro/lira, che secondo Berlusconi avrebbe dovuto essere pari a 1500 lire, ma la lira non era così forte e un diverso cambio avrebbe ostacolato le esportazioni.  Non si fece nulla invece per far rispettare quella equivalenza, tanto che venne introdotto su larga scala il cambio mille lire un euro che provocò un aumento dei prezzi  e una forte svalutazione che incise negativamente sull’economia del Paese. Invece di effettuare un serio controllo sui prezzi, il governo avviò una intensa campagna contro l‘euro e sull’equivalenza dando la responsabilità al governo precedente e non all’immobilismo del governo in carica. E’ il solito refrain della destra di governo, che non riesce a risolvere i problemi e scarica le responsabilità sui governi precedenti.

Le mancate riforme che avrebbero potuto rilanciare  l’economia non vennero mai fatte. Venne diffuso invece un’idea di liberà intesa come  libero arbitrio per superare i lacci e lacciuoli create dal rispetto delle leggi, che impediscono il fare a chi vuol fare.

Un invito all’illegalità, all’evasone fiscale , all’individualismo e al non rispetto del bene comune.

L’ eredità del Berlusconismo peserà molto e molto a lungo sulla vita politica, sociale e culturale della nostra vita (cfr. La morte d Berlusconi, Il Mulino, numero speciale, 2024)..

Berlusconi ha modificato profondamente non solo il modo di comunicare, parlando alle masse e soprattutto alla pancia dell’elettore medio ma ha fatto della politica un prodotto vendibile secondo le tecniche di marketing, con slogan facilmente comprensibili semplificando la complessità della realtà, il tutto a scapito della qualità dell’informazione e della trasparenza. Inoltre ha diffuso l’idea che l’importante è “il fare” e quindi non è importante il rispetto delle norme, spesso farraginose, educando le persone all’illegalità e all’evasione fiscale.

Ha sdoganato i neofascisti e, in particolare nell’ultima fase della sua vita politica, ha contributo a far cadere il governo Draghi, aprendo la strada a un governo di destra a guida FdI, che aspira a trasformare l’Italia in un’autocrazia, attraverso un’alleanza formata da tre principali partiti completamente disomogenei, ma ognuno portatore di specifici interessi: Fratelli d’Italia il premierato, Forza Italia il controllo politico sulla Magistratura, la Lega ll’autonomia differenziata, che premia il Nord a scapito del Sud.

In due anni di governo di desta già si stanno attuando prove tecniche di premierato, con il Parlamento privo di iniziative, di proposte di legge e il Governo che procede con Decreti legislativi che il Parlamento approva, spesso con il ricorso al voto di fiducia.E a volte i decreti-legge sono mera propaganda come quello varato a due giorni delle elezioni europee sulle liste d’attesa.

La comunicazione è affidata a messaggi preconfezionati e diffusi a mezzo social media, senza nessun confronto , e diffusi sono gli attacchi personali contro gli avversari.

Molte sono le leggi che tendono a limitare le voci critiche, il dissenso,  la libertà dell’informazione  pe lasciare spazio ai   messaggi che esaltano l’azione del governo in modo deviante.

La tendenza a scaricare la responsabilità dei problemi non risolti sui governi precedenti  o sull’opposizione dei “comunisti” è diffusa mentre esalta i successi ottenuti nel 2023 e 2024, come conseguenza delle azioni virtuose del governo, decontestualizzandole, senza tener conto degli effetti di interventi legislativi di governi precedenti e del rilancio dell’economia post-Covid. e degli investimenti del PNNR, le cui risorse attengono ai governi precedenti. Tuttavia i timidi risultati positivi  sono ancora insufficienti per considerare l’Italia un paese ricco e competitivo, come si evince dal PIL netto per abitante, decisamente inferiore alla media europea.

L’Italia ha bisogno di riforme strutturali, di interventi nel Sud, di riqualificazione ambientale e azioni per la difesa del suolo, di un fisco più equo e non differenziato per corporazioni, tutti risultati che si possono ottenere  che  si ottengono non con interventi spot  i a  favore di specifiche categorie di elettori per  fini elettorali o con continui condoni per fare cassa nell’immediato.

Il riferimento ai successi del PNNR, in particolare per l’ammontare delle rate già percepite, superiori per il nostro Paese, non tiene conto che l’Italia ha avuto il finanziamento più alto, ben 200 milioni di euro, in larga parte come prestiti da restituire, quindi come ulteriori debiti. Vedremo alla fine se veramente gli investimenti saranno produttivi, in grado di far decollare l’economia o saranno soltanto ulteriori debiti da restituire.

Una attenta riflessione sui due anni del governo Meloni è stata fatta di recente da E. Latora,  A. Licciardi, E. Trentini, disponibile su La Voce  (ottobre 2024).

Particolarmente travagliata è sta la storia dell’Italia nel Novecento. Dopo la caduta dell’impero romano l’Italia è stata sempre terra di conquiste da parte di popoli e potenze straniere che comunque hanno contribuito al suo sviluppo economico e culturale. I tre momenti più rilevanti i cui l’Italia ha influito sullo sviluppo culturale a livello europeo e mondiale  è stato il Basso Medioevo, il  periodo delle Repubbliche marinare, l’Umanesimo e il Rinascimento, il Risorgimento, la Resistenza, che ha consentito al nostro Paese di liberarsi dalla dittatura fascista.

Il Novecento è stato un periodo drammatico per  l’Italia e  per  l’Europa perché si sono combattute e che hanno lasciato macere  e lutti, perché complessivamente sono costate la morte di 70-80 milioni di persone, una amara esperienza che forse abbiamo già dimenticato,  se consideriamo le vicende che ci stanno affliggendo oggi, vicende che ci riportano con la mente  al 1938.

Relativamente all’Italia,  per descrivere  lo sviluppo economico del ‘900 si possono individuare quattro diverse fasi.

Conquistata dell’Unità nazionale e  avvio, dopo aver superato la cisi degli ultimi anni dell’Ottocento, del processo di industrializzazione, in particolare  con l’età di Giolitti,  un processo di industrializzazione che   coincide anche  con un cambiamento radicale del modo e dei luoghi di produzione a livello globale con la  riorganizzazione del lavoro e dei luoghi e del modo di produzione.

Nasce la fabbrica e la produzione diventa standardizzata grazie all’invenzione  della catena di montaggio ad opera di Taylor e l’uso di nuoei fonti energetiche come il petrolio e il carbone. E’ l’inizio della seconda rivoluzione industriale, che crea la grande fabbrica, la classe operaia, la produzione di massa di beni durevoli di consumo.

Giolitti agì su due piani: sostenere il processo di industrializzazione, nazionalizzare le ferrovie e le assicurazioni creando l’INA, promuovere interventi per il Sud, come la costruzione dell’acquedotto pugliese e varò varie riforme sociali che migliorarono la qualità della vita dei lavoratori..

Rispetto al 1898 il PIL  era cresciuto nel 1914 del 43,5% in 16 anni, con un tasso di crescita medio annuo del 2,4%. Ma nonostante tale sviluppo gli squilibri sociali e territoriali restavano ancora elevati t la guerra non solo interruppe questo processo positivo ma lasciò, dopo la fine del conflitto, un’Italia più povera e più divisa che favorì scioperi e proteste che indussero i ricchi a tutelare  i propri privilegi affidandosi a un governo autoritario. Nacque cos’ la dittatura fascista che bloccò l’Italia fino alla fine della  seconda guerra mondiale.

E’ il periodo che Francesco Forte nel suo scritto italiano Storia dello sviluppo economico e industriale  nel ’90 0  definisce  “miracolo industriale”  un periodo caratterizzato dalla figura di Giovanni Giolitti, esponente liberale, che attuò una politica liberista che durò fino alla prima guerra mondiale, poi sostituita dal dirigismo fascista. .

Bisognerà aspettare la fine della seconda guerra mondiale perché si apra una nuova fase,In questa fase, che vide protagonista Alcide  De Gasperi, che, grazie agli aiuti economici  americani che favorirono la ripresa nel dopoguerra,  tra  1948 e 1953 guidò ben otto  governi di breve durata,  che però assicurarono  una continuità politica che consentì la ricostruzione morale e civile di un disastrato paese, ottenendo anche lusinghieri risultati economici  tanto che quel periodo è ricordato come  gli anni del Miracolo economico. Fu un periodo di democrazia politica e di liberismo economico. A De Gasperi si deve anche la nascita della CECA.

Dopo l’uscita di scena di Alcide De Gasperi, iniziò il periodo dei governi di centrosinistra degli anni Sessanta-Settanta, una fase che segnò l’inizio di una stagione di riforme,  ma insufficienti rispetto alla mutata struttura sociale della popolazione, specialmente quella giovanile, che chiedeva maggiore autonomia e partecipazione, che non ebbero risposte significative.

La stagione del centrosinistra organico iniziò il 1963 e durò fino al 1982, quando  iniziò una fase di consociativismo politico che causò inflazione e aumento del debito pubblico e di instabilità politica. Furono  anni convulsi caratterizzati  da bombe,  attentati (gli anni di piombo), rivolte studentesche, rapimenti,  agguati e morti provocate  dalle  Brigate rosse e attentati di  stampo mafioso, tentativi di colpi di Stato, cioè un lungo periodo di  sangue e di grande debolezza politica,  e soprattutto  di occasioni mancate.

Nel 1992 si aprì un’altra fase burrascosa, che risentì dello scandalo di Tangentopoli caratterizzata dalla battaglia referendaria, che determinò la scelta del sistema maggioritario nelle elezioni del 1994 ,che vide l’ingresso di Berlusconi nella scena politica e l’inizio del populismo, che avrebbe dovuto portare un nuovo miracolo economico e la rivoluzione liberale ma che in realtà è diventata la stagione delle frottole e della propaganda fallace.

Questa schematizzazione della storia politica del nostri Paese ci mostra un viaggio tormentato verso la  libertà e la democrazia, conquistata con il sangue ,le torture  e la carcerazione   di uomini  donne che hanno liberato l’Italia dall’oppressione nazifascista  e che poi hanno anche scritto una Costituzione per  Repubblica democratica che ha restituito all’Italia la dignità che le era stata sottratta dall’oppressione nazifascista.

La nostra Costituzione è, pertanto,  un Testo Sacro, , la Bibbia della Democrazia ma è anche un Sacrario perché quelle parole contengono il sangue versato da eroi che hanno sacrificato la loto vita per dare alle future generazioni un’Italia di Pace. Fare sberleffi su quella storia e sulla Costituzione  commette un crimine contro l’Umanità.

Nel vuoto politico degli anni Novanta l’unico momento di luce fu proprio la scelta del governo guidato da Romano Prodi di far aderire l’Italia alla costruzione della moneta unica europeanel 1988, nonostante le perplessità di molti, ma ancora una volta siamo in ritardo nel capire i cambiamenti e continuiamo a navigare a vista trascinandoci problemi che non siamo in grado di affrontare e risolvere.

La caduta del muro di Berlino nel 1999 ha illuso l’intero Occidente nel credere che ormai fosse finita la Storia avviandoci così verso un mondo senza differenze a guida USA, il gendarme unico del mondo, impegnato a esportare la democrazia e la civiltà, anche con le armi.

L’ invasione dell’Ucraina e la vittoria di Trump negli Usa hanno portati in vita scenari che ricordano Yalta, il luogo dove le tre grandi potenze si spartirono il mondo. Oggi il tavolo è ancora a tre, siedono ancora Russia e Usa, ma la sedia ancora vuoto sarà occupata dalla Cina e Europa oggi si trova ad affrontare una serie di problematiche che necessitano coesione per affrontare obiettivi comuni incompatibili con visioni divergenti, tra stati he spingono o verso nuovi nazionalismi o verso r un ulteriore avanzamento per l’attribuzione di nuovi poteri all’Europa, come la difesa comune, la politica fiscale e quella estera,  in quadro di incertezze determinate da frange sovraniste e da leadership impreparate.

Oggi sembra che si stia affermando un sentimento di disaffezione verso gli ordinamenti democratici, per sostituirli con  autocrazie che riducono gli spazi di libertà individuali e collettivi, dimenticando il costo pagato dai nostri padri per riconquistare la libertà che oggi noi  non sappiamo più apprezzare. Troppo apatia e indifferenza ci fa pensare che stiamo andando verso un mondo senza ideali, senza sentimenti, senza Umanità. A volte peso che i veri animali siano gli uomini e non  i gatti o i can, che restano  fedeli a chi li accudisce e non se ne scardano mai.

Il mondo  cartografato a Yalta non è stata pensata per un mondo di pace, è stata disegnata dai vincitori conto i vinti. Molte guerre regionali si sono combattute al di fuori dei nostri confini, a Est, nel Medio Oriente, in Indocina, in Africa,, in Asia, nei Balcani e l’Occidente ha le sue responsabilità..

Oggi il mondo è in fermento perché dopo il duopolio creato dalla Guerra Fredda si stanno cercando nuovi equilibri geopolitici per disegnare nuove gerarchie piuttosto che riorganizzare  un mondo multipolare con reti d cooperazione per evitare rischi di  nuove contrapposizioni tra Occidente e Oriente, le cui aggregazioni geopolitiche sono ancora in via di definizioni, anche permangono posizioni difficilmente aperte al dialogo e al confronto  giacché molti stati  ritengono che  le democrazie occidentale  sono ormai  un modello obsoleto  da superare.

I motivi di tale esito  sono divergenti. Per alcuni le cause vanno ricercate nella debolezza di Roosevelt, ammalato e stanco, che non seppe  opporsi alle richieste di Stalin; per altri si temeva che l’URSS, viste le posizioni favorevoli che i sovietici avevano  conquistato sul campo di battaglia, con l’Armata  ormai a 80 km da Berlino, si temeva che  potesse conquistare una posizione egera Europa. Il risultato fu comunque  che i due blocchi crearono un clima di guerra fredda fino al 1991, quando si ebbe l’implosione dell’Unione Sovietica e con essa la nascita di  nuovi stati autonomi. Si apriva così una fase completamente nuova che avrebbe dovuto indurre l’Europa ad aprire un dialogo per arrivare a forme di cooperazione economica con la nuova Russia, con reciproca utilità basato sulla scambio  di risorse energetiche per l’Europa e di tecnologia  europea per avviare un processo di sviluppo economico in Russia. Invece si pens, di spostare verso Est l’influenza atlantica, crenando un clima di accerchiamento della Russia, considerata ormai una potenza regionale.

Già nel 1920,dopo la fine della prima guerra mondiale, venne fondata dalle potenze vincitrici    la Società delle Nazioni, una organizzazione  internazionale con il fine di mantenere la pace  e sviluppare la cooperazione internazionale in ambito economico e sociale, una istituzione che tuttavia non è riuscita a evitare la seconda guerra mondiale.

Il fallimento di quella Istituzione favorì la nascita, nel 1945, di   un nuovo ente  internazionale, l’ONU, l’ Organizzazione delle Nazioni Unite, sempre con l’obiettiva di assicurare la pace e la sicurezza mondiale, promuovere il dialogo e la cooperazioni tra le nazioni.

L’ONU ha iniziato la sua attività il 24ottobre 1945, dopo la firma dei 5 stati permanenti che avevano ratificato la Carta dell’ONU, e cioè Cina, Francia, Regno Unito, Russia e  Stati Uniti. L’Italia aderì nel 1955.Questi cinque stati hanno diritto di veto che sancisce la loro egemonia decisionale sulle Risoluzioni  rendendo l’ONU un organismo mutilato e ininfluente sul piano globale.

Di conseguenza, nonostante i buoni propositi, l’ONU non riesce a imporre le sue decisioni, i conflitti continuano a essere attivi su larga parte della Terra , vengono violati con la forza e ’il Consiglio è spesso paralizzato dai veti posti dai membri permanenti nelle varie controversie internazionali sulla base delle alleanze tra stati, una situazione che rende meno prestigioso l’ONU, di fatto  paralizzando la sua attività.

Una prima importane iniziativa che venne presa nel dicembre 1948 dall’Assemblea Generale fu  la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani..

Oggi l’Europa è coinvolta “per procura” nella guerra russo-ucraina ed è minacciata dall’espansionismo neo-imperialista russo, che costringe tutti i paesi europei a riflettere sul futuro dell’Unione, sulle funzioni e sull’esigenza di una riorganizzazione, anche come risposta all’annunciato disimpegno americano sullo scacchiere europee, da cui scaturisce l’esigenza di una riflessione su futuro dell’Europa e sulla necessità di accelerale il processo per la rinascita dello spirito nazionalistico e sovranista che aleggia su tutto l’Occidente, che è anche  derivato dalla consapevolezza che la globalizzazione sia responsabile delle diseguaglianze diffuse nell’Occidente, una valuazione che deriva dalla formazione politica e dai risultati di indagine scientifica che comunque può condizionare o ritardare la fondazione degli Stati Uniti d’Europa, che Russia e Usa ostacolano. L’alternativa potrebbe essere quella di una federazione con un numero più ridotto fi paesi aderenti..

In realtà la globalizzazione è un processo che è iniziato molti secoli fa e si è rafforzata ed espansa con lo sviluppo dei mezzi di trasporto e di comunicazione, favorita dalla innovazione tecnologica e dalla produzione flessibile e ha investito, con la delocalizzazione della produzione, molti paesi arretrati, favorendone lo sviluppo.

Questa rivoluzioneeconomica non è stata  prevista e quindi non guidata  dai decisori politici, per cui oggi l’economia a livello globale viene determinata dalle lobby e dai grandi gruppi finanziari.

Il ritorno alla dimensione nazionale aumenterebbe ulteriormente le povertà, per cui è indispensabile l’aggregazione multipolare per poter garantire maggiore forza e competitività a livello globale, in un quadro geopolitico e geo-economico in movimento, che sta ridisegnando nuovi scenari e nuovi equilibri  che investono le grandi potenze in cerca di un impero.

Nonostante le difficoltà, l’Unione Europea ha prodotto  non pochi vantaggi a tutti i territori europei in termine di pace, di allargamento dei di mercato, di circolazione di idee e di persone, in particolare di giovani con il Programma Erasmus, di sicurezza , di difesa  dei diritti e di sviluppo economico e sociale.

La globalizzazione è ormai un processo inarrestabile, che è nato nell’Antichità, con le migrazioni, che diffondevano nuove idee  e nuovi prodotti su territori sempre più vasti, man mano che gli spostamenti di popolazione allargavano l’ecumene.

L’Unione europea ha sempre svolto u ruolo importante attraverso progetti di sviluppo per creare coesione tra i paesi dell’Unione  tenendo conto delle esigenze che emergevano. Nel 2020, pe esempio, la Commissione  ha varato un ambizioso programma da realizzare entro il 2027, che può contare su un consistente finanziamento per investimenti nei settori della ricerca e dell’innovazione, sulla transizione digitale e ambientale, dsul cambiante climatico, con fondi specifici destina a eventuali calamità, come avvenne in occasione  dell’epidemia Covid-19. Sono problemi che non possono essere affrontati agevolmente a livello nazionale perché sono di portata  globale e interconnessi, che richiedono decisioni rapide che necessitano anche strutture snelle ed efficienti, per questo è necessario avviare con urgenza anche nell’Unione un processo di innovazione istituzionale che possa dare all’Europa la capacità d competere a livello globale e per poter interagire con autorevolezza e immediatezza con altre Istituzioni internazionali.

Purtroppo, l’avanzata delle destre in Europa e nel mondo rischia di frenare il cammino dell’Unione verso un assetto federale, necessario affinché si continui a lavorare per la Pace e la difesa della libertà, dei diritti, della democrazia come è stato fatto in questi lunghi anni post-bellici.

L’Italia, pur essendo un paese fondatore, ha oggi un governo che non vola alto, è preda di visioni ottocentesche impregnate di visioni nazionaliste e sovraniste che non appartengo alla storia civile  e culturale del Paese, che possono alimentare una fase regressiva e indebolire ancora di più i diritti con il rischio di marginalizzazione in Europa  in un momento in cui  è necessaria più coesione, necessaria in un momento di transizione e che anche in Italia si mostri responsabilità e ragionevolezza per evitare tensioni inutile, confidando anche nel senso di responsabilità dei cittadini, che nei momenti difficili hanno sempre trovato le necessarie energie per difendere la libertà e la democrazia.

L’Italia ha ancora molti problemi da risolvere aggravati in questi ultimi trent’anni dalla presenza di una classe politica non adeguata. Il Paese è ancora molto frammentato, ha divari territoriali rilevanti e avrebbe bisogno innanzitutto di forti investimenti in settori strategici come scuola, Università, sanità e servizi sociale per migliorare il benessere e per eliminare la crescente povertà. sociale.

Poiché il debito pubblico è alto, sarebbe necessario un governo che non faccia scelta pensando al sondaggio, alla prossima tornata elettorali, agli umori dell’elettorato o alla pancia del Paese, ma avere una visione che abbia come prospettiva le prossime generazioni. Sarebbe cioè necessaria una classe politica fatta da Uomini e Donne di Stati, che anziché strillare e offendere o denigrare l’avversario, sappiano dialogare e discutere, e soprattutto  avere una postura consona al ruolo e alla funzione che si svolge, per non essere inadeguati.

Sarebbe necessaria una rivoluzione morale e cultura per educare i cittadini al rispetto del bene comune e alla responsabilità, migliorando le strutture formative, per creare una nuova generazione  di cittadini attivi, perché solo così si può sperare di avere dei servitori dello Stato migliori d quelli attuali.

Molteplici sono le criticità del nostro Paese, ma se si vuole porre mano al rinnovamento ò necessario, bisogna prima curare la mente e il corpo, ossia è necessario investine nella formazione e nella sanità,  i due settori strategici più disastrati,  causa principale del degrado morale e sociale del nostro Paese. Mens sana in corpore sano, raccomandava Giovenale in una sua satira, perché non è affatto vero che si possono ricoprire cariche importanti senza essere colt, perché gli incolti tendono a scegliere come collaboratori mediocri. La verità è che il potere  non ama la cultura perché un uomo colto generalmente è una persona libera ,che non si lascia asservire.

Un dirigente che si proponeva per un incarico si presentò dicendomi che per cultura era sempre disponibile a esaudire le richieste del rettore. Lia risposta fu che il colloquio si poteva interrompere lì, perché a me serve una persona che mi dica ciò che è legale e ciò che  contra legem, perché io non sono giurista e non leggo la mattina  la Gazzetta Ufficiale per aggiornarmi sulle normative. Anche i onsu le legale mi disse che si potevano fare pareri alla Sibilla cumana. No grazie Un’altra categoria e quella dei collaboratori infedeli, al servizio di qualcuno, che tri infila una carta da firmare che è in realtà un cavallo di Troia, per fotterti.. L’Accademia ha al suo interno anche questa tipologia di persone. Sono episodi illminanti per capire il perbenismo italiano.

La Cultura è creazione, espressione di un pensiero libero che lascia alle future generazioni pensieri,  racconti, cronache, storie che ci inducono alla riflessioni e ci migliorano. Leggere un articolo di un giornalista  prezzolato dal potere o un lavoro di un ricercatore che nella quotidianità è un menzognere, sono soggetti pericolosi per la società che dovrebbero essere allontanati.

Il Berlusconismo non aveva bisogno di una struttura formativa perché aveva i suo mezzi di comunicazione personali per formare “culturalmente” il suo popolo e ol governo ha le reti Rai, molta stampa e i social per sviluppare la sovranità culturale della Destra  e quindi la scuola e l’università non sono più funzionali al sistema politico e quindi perché potenziarli, piò anche capitare che poi si mettono a pensare. Mi viene in mente quel politico che diceva che nel Mezzogiorno non dovevano nascere fabbriche perché dopo i contadini non avrebbero più votato la DC..

E allora ecco una serie di leggi che, con la complicità dei professori hanno distrutto innanzitutto l’Università.

L’uno vale uno, i concorsi prét-à-porter, la liberalizzazione dei peani di studio, l’egalitarismo, l’abolizione delle Facoltà, la creazione dei Dipartimenti, dove i docenti non si incontrano  se non quando devono azzuffarsi, la burocratizzazione delle Biblioteche, l’aumento incontrollato dei corsi di laurea con titoli ad effetto, l’aumento degli insegnamenti e la parcellizzazione dei saperi e la specializzazione spinta che ti fa conoscere il particolare ma non l’insieme in un mondo ormai complesso (come l’ortopedico luminare esperto delle mani ma non ti può operare al ginocchio), l’interrogazione e la discussione della tesi di laurea  leggendo  slaide,  cricche di potere che litigano e poi si accordano,corsi di lauree in ogni paese (siamo ritornati alla cattedra ambulante), l’autonomia universitaria senza  responsabilità, hanno distrutto l’Università italiana ormai  in maniera irreversibile, l’Università che è nata a Bologna nel 1088 e l’abbiamo esportata in tutto il mondo e ora abbiamo scimmiottata l’America, rinunciando alle nostre identità. Bisognava distruggere l’Università dei Barni (che poi erano i Maestri, ormai estinti) per farla diventare democratica e in realtà e diventata come  il Parlamento:

strutturale.

Tutto è cominciato negli anni  Novanta, l’età della prepotenza, dell’arroganza, della precarietà e dell’improvvisazione.

Fino a metà anni Sessanta esisteva la scuola di élite, che però assicurava la mobilità sociale e tutti potevano studiare, sia pure con sacrifici, magari facendo un lavoro occasionale, e laurearsi. Oggi la mobilità sembra si sia arrestata, prevale il censo.

Era la scuola di Gentile, che formava la classe dirigente, liceo classico, laurea n Lettere o Giurisprudenza, studi che sviluppavano il pensiero critico con lo studio del latino e greco, con la dl traduzione, dal greco in latino e poi in italiano e dopo la laurea, magari, un master all’estero in matematica o economia e potevi diventare un banchiere, un imprenditore , un professore. Guido Carli, per esempio, era laureato in Lettere.

L’esame di maturità era molto selettivo, un bel numero di studenti non riusciva a superarlo. Oltre al liceo,  esistevano gli istituti tecnici e industriali per  ragionieri, geometri, , diplomi che valevano più di una laurea di oggi.

Poi venne il Sessantotto ed è cominciato  il caos, riforme spezzatino senza una visione generale.

Fino agli anni Sessanta prevaleva la formazione e la cultura umanistica, poi con lo sviluppo scientifico e l’industrializzazione si butta via  la cultura umanistica e si punta sulla tecnica e poi arrivano gli algoritmi, l’intelligenza artificiale, n grado di sostituire l’Umano. Mai una formazione equilibrata tra scienze umane e scienze dure per creare non solo i tecnici ma gli intellettuali.

La scuola e l’università cambiano, ci vuole la valutazione, gli obiettivi,  e i professori diventano impiegati del catasto. Ma ci vuole serietà, bisogna anche pubblicare, bisogna superare la mediana, ma il numero sale perché tutti cominciano a pubblicare, va meglio per i settori scientifici perché lavorano in gruppo, ma una ricerca seria e complessa è ormai difficile farla.

Poi è arrivato l’Orientamento, bisogna far conoscere la scuola e l’università agli studenti, per una scelta consapevole e il professore diventa un piazzista.

Meno male che sono un pensionato.

La vecchia scuola era dominata autoritaria,  all’università c’erano i Baroni, bisognava democratizzare, ma va bene anche un po’ di burocrazia in più-

Mi sono laureato con i baroni e mi sono formato con i Baroni e ho continuato a frequentare i Baroni. Li rimpiango e rimpiango anche quella Università, c’era rispetto reciproco, serietà, eleganza nei comportamenti, rigorosamente in giacca e cravatta, niente camicia aperta e pantaloni strappati (che tra l’altro costano di più) frequentarli era un continuo imparare, dovevi occuparti di biblioteca di collocazione delle riviste, anche di contabilità. Quando una volta ho mugugnato la mia Maestra mi disse: “mugugni pure perché sono certa che un giorno mi ringrazierà, ,perché sta imparando a gestire l’Università.

Atri tempi, bisognava riformare la scuola e l’università per adeguarle ai tempi ma non distruggerle..

Fino agli anni Settanta la foolteplici sono l sono accentuate a partire falla fine  degli anni Ottanta e si sono accentuati dall’inizio degli anni Novanta con il governo di Berlusconi, che aveva promesso il nuovo miracolo economico, facendo sognare gli italiani. Ma sono state  tutte promesse non mantenute.

Oggi non c’è democrazia nell’Università, c’è solo mediocrità, arroganza, sete di potere, cricche in lotta fra di loro, persone che imitano i vecchi baroni, autoritari ma non autorevoli, lupi con le pecore, pecori con i potentati accademici esterni all’Università da cui prendono ordini, diventando pecore, ossia sudditi. E’ un male tutto italano.

Gli Italiani, infatti, sono  stati sempre, e oggi  ancora  di più,  affascinati dall’uomo o della donna                                                                                                                                                                                                                       forte, che promette  alla popolazione  divertimenti e feste alla maniera della Belle Epoche, a guardare con fiducia al futuro, vendendo bene la loro politica come una merce, con messaggi diffusi attraverso social media e la televisione di regime, ormai diventata zeppa di intrattenimento, di quiz e programmi non certo educativi, come ben descritta da Renzo Arbore nei sui programmi satirici (La televisione è tutta un quiz), usata come distrazione di massa, che parla a quella maggioranza che ha come unica fonte di informazione  la televisione e si affida al potente di turno che la rassicura e non l’abbandona ai comunisti che mangiano i bambini.  E’ una cultura che si è consolidata perché  ci fa sognare perché ognuno di noi ambisce a diventare potente, un modello pervasivo, penetrato in tutte le istituzioni, non solo politiche, anche nelle università-

E così nell’ultimo trentennio abbiamo avuto l’affermarsi improvviso di personaggi che a ogni tornata elettorale, a turno,  hanno riscosso molto successo: Meno male che Grillo c’è, o meglio Silvio, no meglio “Giuseppi”, no, meglio Giorgia. Chiamatemi Giorgia, sono una di voi. E …, avanti il prossimo. E’ questa la migliore eredità che ci ha lasciato Berlusconi.

L’ultimo quarto di  secolo ha visto governi di centrodestra e di centrosinistra alternarsi, di breve durata nonostante l’adozione del sistema maggioritario, ma con maggioranze disomogenee create soltanto per ragioni elettorali, che cadevano per crisi causate da alleati riottosi, con intermezzo di governi tecnici,  chiamati a risolvere i problemi emergenziali creati dai  governi di centrodestra, in particolare..

Nessuna riforma strutturale per modernizzare il Paese e rimuovere quelle criticità che frenano lo sviluppo del Paese, per renderlo più competitivo a livello internazionale. Gli interventi più significativi hanno riguardato, nel caso di Berlusconi,  leggi  “ad personam”,  a tutela dei suoi interessi di imprenditore indebitato o i suoi problemi con la Giustizia risalenti alla sua precedente attività imprenditoriale o alla sua persona .

Nel 1992 Berlusconi controllava 168 società, di cui  44 all’estero. L’utile netto era di 21 miliardi, l’indebitamento creditizio era di 3400 miliardi e i debiti totali erano pari a 6000 miliardi. Una situazione da bancarotta, ma  durante il suo periodo di impegno politico la situazione si è ribaltata, diventando l’impero economico finanziariamente solido.

Nelle elezioni politiche, le divisioni all’interno del centrosinistra hanno spesso favorito la vittoria del centrodestra, anche quando i voti erano in numero inferiore rispetto al totale dei voti ottenuti da tutti i partiti del centrosinistra. Così è successo anche in occasione dell’ultima tornata del 2022 il partito di Fratelli d’Italia, che ha ottenuto poco più del 25% dei voti del 50% degli elettori aventi diritto al voto, espressione del disaffezione  della popolazione nei confronti di una politica asfittica che indebolisce la democrazia. Fratelli d’Itala tè risultato il primo partito e la coalizione ha avuto il maggior numero dei seggi alla Camera e al Sanato, pur avendo avuto un milione di voti meno dei partiti di centrosinistra, che non si erano coalizzati. Come conseguenza di questo risultato l’incarico di formare il governo è stato dato  alla leader del partito di maggioranza relativa, Giorgia Meloni detta Giorgia, che aveva promesso in campagna elettorale di abbassato le tasse, eliminate le accise  dei carburati, aveva tuonato contro l’Europa e l’Alleanza atlantica, che per l’Europa sarebbe finita la pacchia perché sarebbero arrivati i sovranisti e l’avrebbero smontata: In verità  non ha  promesso di costruire  sul Gran Sasso stazioni balneari, visto che l’Abruzzo può già  godere di un affaccio su tre mari, Adriatico, Tirreno e  Ionio, come ebbe a dire il suo fido presidente della Regione Abruzzo. Significativa dichiarazione che ci fa capire la qualità della nuova classe politica.

Sono passati due anni e più dall’insediamento del governo di centrodestra  e i risultati  ancora non si vedono, almeno stando alle promesse fatte..

E’ vero, i conti non sono stati sfasciati, ma è perché ci sono i vincoli europei  e la paura dei mercati, che non sono teneri.

Ma le accise non sono state eliminate, , la legge Fornero non è stata abolita, le tasse non sono affatto diminuite, anzi sono aumentate   perché la pressione fiscale è  aumentata rispetto al 2013 quando era al 38,7%. mentre oggi (fine 2024) è al 40,5% rispetto al PIL.  Anche il canone della televisione è passato da 70 a 90 euro, in silenzio, tanto nessuno se ne accorge perché la somma  si paga sulla bolletta dell’elettricità.

Ed è inutile fare riferimento alla coperta corta perché la presidente lo avrebbe dovuto sapere, visto che è una politica di lungo corso e avrebbe dovuto stare attenta a  fare promesse che poi non avrebbe potuto mantenere, per non prendere in gito i cittadini creduloni.

Il problema dell’economia italiana è determinato dalla lenta crescita economica e dalla bassa

produttività del lavoro. Dal 1990 al 2020 il PIL italiano è cresciuto di 19 punti, quello della zona Euro di ben 46 punti, l’aumento della produttività del lavoro  nel tempo è stata  quasi zero, dal 1990 a oggi è cresciuta di 10 punti, quello della  Francia, che si prende a modello per sottolineare la maggiore crescita del PIL italiano nel 2024,  ha avuto un incremento della produttività  di 40 punti. La produttività totale dei fattori nello stesso periodo è aumentata di 4 punti per l’Italia, per la  Francia è stato d ben 19 punti.

Le imprese italiane sono prevalentemente  di  piccole e medie dimensioni, quelle con un numero di addetti superiore a  250 poco più di un milione, quelle francesi sono il doppio ed è questa la causa della limitata innovazione che caratterizza il nostro sistema produttivo, un problema che per essere risolto necessita di maggiori investimenti in R&S e di una efficace politica industriale.

La propaganda politica della presidente  Meloni tende a ingigantire il successo del suo governo sottolineando  la maggiore crescita del PIL italiano rispetto a quello di Francia e Germania, ma nulla dice sulla crescita del PIL di Spagna, Grecia e Portogallo, che hanno avuto un aumento del PIL di oltre il 2%, più del doppio di quello italiano.

Inoltre, le criticità strutturali italiane  sono di gran lunga superiori a quelle di Francia e Germania, paesi che potranno presto riprendere a crescere in maniera più sostenuta avendo una economia più strutturata di quella italiana, e la ripartenza della Germania in particolare, avrebbe una prospettiva  molto positiva per l’economia italiana, che esporta in Germanica prodotti dell’indotto del settore automobilistico tedesco.

Il PIL dell’Italia nel 2022 ha fatto registrare un aumento del 3,7%, sostenuto dagli investimenti pubblici del bonus 110%,  ma nel 2023il PIL ha avuto un forte rallentamento attestandosi sullo o,7%. Parliamo quindi sempre di crescita pari a o virgola  qualcosa, come avviene da tempo,  che non  è sufficiente a supportare una economia gravata da un forte debito pubblico e che richiederebbe consistenti   investimenti  per la modernizzazione del Paese.

La propaganda politica serve a catturare qualche voto in più, soprattutto da parte di persone poco informate, ma non  a dare un concreto contributo utile alla causa. E anche il  continuo riferimento a responsabilità dei governo “comunisti” è alquanto sterile perché il MSI e Fratelli d’Italia hanno sempre fatto parte della coalizione di centrodestra a guida Berlusconi e la stessa Meloni ne ha fatto parte anche come ministra, condividendone le scelte non certo positive per la modernizzazione del Paese.

Sarebbe molto opportuno invece avere il coraggio di dire ai cittadini (e non al popolo, perché l’Italia è un Paese (e non una nazione) culturalmente molto variegato, niente affatto omogeneo e ha diverse identità e sensibilità,  che necessitano di forti investimenti in diversi settori e quindi è necessario che si taglino gli sprechi e i privilegi e che si facciano molti sacrifici. Ma per fare ciò bisognerebbe  avere il coraggio di non galleggiare e guardare i sondaggi per fare scelte popolari, ma promuovere interventi di medio-lungo termine e che siano utili al Paese e non al sistema dei partiti.

Ma avremmo bisogno di autorevoli politici, di  uomini e donne di  Stato, come De Gasperi, Togliatti, Nenni, Berlinguer, Moro, Pertini, Jotti, Anselmi e come lo è oggi il presidente Mattarella. Uomini e donne che rischiarono la vira per combattere contro l’avanzata nazifascista, contro  la barbarie per  fare   dell’ Italia un Paese libero e democratico,  consapevoli della necessità di  difendere la democrazia per  lasciare alle future  generazioni la speranza di poter costruire un futuro di pace e di prosperità.

Purtroppo abbiamo oggi una classe dirigente in larga parte  impreparata, racchiusa nel presente, interessata a consolidare il proprio potere e quindi a viaggiare a vista, seguendo gli umori degli elettori per assecondarli per fini elettorali, rinunciando a progettare interventi complessi di lungo termine, abbandonando l’idea di innovazione  del territorio e della società  per costruire le criticità che ostacolano lo sviluppo. Una classe politica, quindi,  non idonea  a  svolgere i gravosi compiti che le sono stati affidati, trastullandosi con sterili polemiche  spesso originate da ideologismi  che nascondono disegni oscuri.

E’ la cultura ideologica che  orienta l’agenda politica come il progetto di modifica costituzionale  per  stravolgere una Costituzione su cui hanno giurato di rispettare e che nell’agire  politico  non rispettano, perché lavorano per sostituire la democrazia con un potere autocratico abolendo i cardini di ogni costituzione liberale, la separazione dei poteri e l’autonomia della Magistratura.

Un  vecchio disegno tentato con colpi di stato falliti, per fortuna, o con stragi per terrorizzare i cittadini, portato avanti da poteri oscuri ma non troppo, con intrecci tra  mafia,  politica, servizi deviati, organi dello Stato, che hanno oerato per destabilizzare il Paese. E’ il disegno partorito dalla Loggia massonica P2, che di tanto in tanto viene rispolverato.

Oggi siedono in Parlamento persone che alimentano confitti e contrapposizione anziché creare coesione  e dialogo per cercare soluzioni condivise.

Con l’abbattimento del Muro di Berlino  si pensava che ci stessimo avviavando verso un mondo di pace e di libertà diffuse. Invece  si è ricreato un nuovo muro di Berlino, ideato da Berlusconi nel 1994 per separare quelle che  lui chiamava forze liberali dalle   “forze di sinistra e dai comunisti” con il solo scopo di cercare una nuova compagine politica che difendesse le sue aziende  e  la sua persona da  vicende giudiziarie, una volta persa la copertura politica di Craxi. Incutere nei moderati la paura del comunismo proprio quando l’URSS si era disgregata e il comunismo in Italia non si è mai avuto, perché  il PCI si è sempre schierato con chi ha  lottato il nazifascismo per difendere i valori costituzionali negli anni di piombo, sempre dalla parte di chi lottava per l’affermazione delle libertà, contrariamente ad altri schieramenti, che non hanno mai abiurato l’ideologia fascista.

La contrapposizione è diventata patrimonio della destra di potere che la esercita con modalità e linguaggio non consono ad un luogo come il Parlamento, espressione di una civiltà che  caratterizza una Comunità.

La responsabilità del degrado morale che ormai ha investito tutte le Istituzioni del Paese è certamente di cittadini che esprimono il loro voto in funzione delle promesse clientelari.

La  politica intesa come esclusiva ricerca del consenso è diventata una “merce” da vendere e quindi si fa ricorso a tecniche di marketing sempre più sofisticate  e soprattutto a nuove forme di comunicazione e di linguaggi.

Esistono diversi  codici di comunicazione e diversi registri in base al rapporto, psicologico e sociale,  che si vuole creare  con l’interlocutore, anche in base alle circostanze.

I principali sono il verbale, fatto di parole e concetti; il non verbale, che fa ricorso  più che al valore semantico della parola, alla gestualità,  all’accento, ai movimenti del corpo, alla postura. E poi  al paraverbale, cioè al ritmo, all’accento, al tono,  al volume.  La comunicazione può essere, inoltre,  aggressiva o  assertiva. La scelta del tipo di linguaggio scaturisce  dal tipo di informazione che si vogliono trasmettere e dai segni intenzionali che si vogliono inviare all’interlocutore.

Oggi è sempre meno diffuso  il linguaggio formale, lo si vede nei tolk-show, nel dibattito pubblico, persino nel Parlamento nazionale, luoghi in cui si preferisce il parlare in sovrapposizione ad altri, con toni alti, aggredendo verbalmente, a volte anche insultando l’interlocutore. Pare faccia molti ascolti.

La presidente  del Consiglio è una grande esperta, non usa mai il linguaggio formale, con i potenti della Terra preferisce essere friendly, baci e abbraccia, in Parlamento e nelle piazze, nei comizi ama il linguaggio inon verbale e il paraverbale, spesso in forma aggressiva. E funziona!

Probabilmente perché siamo in una fase di analfabetismo di ritorno, il recente Rapporto del Censis ha messo in evidenza che i giovani leggono ma non comprendono il contenuto di quanto hanno letto, non conoscono la grammatica e la sintassi, e allora a che serve trasmettere concetti, meglio emozionare.

Di conseguenza  anche le Istituzioni sono vittime  di questa trasformazione del modo di comunicare del nuovo modo di intendere la cultura fatta di video e di slogan.

Spesso s fa confusione tra valori culturali e il concetto di cultura. I valori culturali sono  beni materiali che immateriali prodotti da una Comunità nel corso del tempo,    e cioè  tradizioni, costumi, arte, letteratura, lingua , beni archivistici, bibliografici  e archeologici,, manufatti che esprimono l’ingegno  e le capacità individuali e collettive.

L’Italia è uno dei paesi più ricchi di beni culturali e ciò  è testimoniato dal  più alto numero di siti che sono inclusi nella lista del patrimonio mondiale dell’Umanità stilata dall’Unesco, ben 67  tra materiali e immateriali (12), tanto che  viene riconosciuto come il Paese della Bellezza. La fruizione di questo ricco patrimonio  dell’Umanità è  anche un bene economico perché genera turismo e molte attività indotte che creano occupazione, reddito e benessere.

La cultura è un insieme di valori fatti di comportamenti, di norme, di modi di agire e di pensare  che svolgono una funzione sociale e che creano un modello mentale che accomuna una intera Comunità, che diventa espressione di civiltà, onestà, rettitudine, senso civico, rispetto delle istituzioni, dell’altro, anche se diverso da noi, e del bene pubblico, una serie di comportamenti che possono essere sintetizzati dall’esigenza di  comportarsi con disciplina e onore, un principio richiamato nella nostra Costituzione, quindi un valore ben diverso da quello comunemente inteso come un insieme di conoscenze e competenze posseduto da   un persona e legato a  un titolo di studio.  La funzione principale della Cultura e quella di essere costruttore di Cittadinanza..

Quale è allora il livello culturale del nostro Paese, dove molti non pagano le tasse,  la corruzione è diffusa e le persone non rispettano le leggi , dove è diffusa la presenza di organizzazioni criminali, e  dove la scuola e la sanità non funzionano e il welfare è in una situazione di regressione? Ed è comparabile con i valori culturale il comportamento dei nostri rappresentanti in Parlamento, quando anziché lavorare per risolvere i problemi del Paese, si insultano vicendevolmente e i cittadini scelgono  i propri rappresentanti  sulla base di rapporti di tipo clientelare o addirittura  in seguito alla elargizione di un compenso? E pensate che la nostra classe politica abbia la Cultura adeguar a rappresentarci degnamente??

La qualità della classe politica è anche la conseguenza di una legge elettorale che delega il partito e non i cittadini a scegliere gli eletti, un metodo che crea un solco tra politica e società, e che esclude del tutto il rapporto  tra eletto  con il territorio.

E’ questa la causa della disaffezione dei cittadini  verso  le rappresentanze politiche che si esprime con un forte  astensionismo, che ormai investe la metà degli aventi diritto al voto, una scelta che indebolisce la democrazia.

La democrazia è qualcosa che va curata e difesa nel nostro agire quotidiano perché implica un lavoro faticoso perché è fatta di dialogo, di confronto, di  corrette informazioni  ed esige il rispetto verso le altrui idee, che devono poi tramutarsi in sintesi condivise, finalizzate alla soluzione dei problemi  nell’interesse della Comunità e non delle lobby o delle diverse cricche di potere.

Ben diversa allora la democrazia dall’autoritarismo, che consente  che  una sola persona  può decidere ciò che è giusto  e ciò  che non è giusto.

In un Paese come l’Italia, dove la democrazia è giovane, nata dalla Resistenza al nazifascismo soltanto pochi decenni fa e la  popolazione è stata dall’Impero Romano in poi sempre oppressa, dominata  da potenze straniere,  il cittadino  apprezza meno il valore della libertà perché   si è abituato alla sudditanza e alla ricerca  dell’Uomo o della Donna forte, che lo protegga, o, meglio, che gli faccia credere di volerlo proteggere. E’ uno stato mentale che addormenta il pensiero e che può essere rimosso solamente con la rie-Educazione e la Cultura.

In questo contesto, tuttavia,   la comunicazione diventa uno strumento di condizionamento  e di potere                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                 La comunicazione, di fatto,  non è finalizzata trasmettere informazioni ma a  rassicurare, a  far sognare, a dare speranza, cioè a creare consenso.

Il 58° Rapporto sulla situazione sociale del Paese pubblicato dal Censis afferma che la Sindrome italiana è la medietà, ossia una continuo galleggiamento in cui siamo intrappolati e da cui non riusciamo a uscire. Un Paese statico da almeno un ventennio, un periodo durante  il quale il ceto medio percepisce redditi inferiori al 7% rispetto a 20 fa e comincia a perdere fiducia nell’Europeismo, nell’atlantismo, nella democrazia. Siamo un Paese che ha concesso la cittadinanza italiana a stranieri ma siamo contro gli immigrati, siamo ormai un Paese multietnico ma temiamo la sostituzione etnica, siamo il Paese più ricco di beni culturali ma conosciamo poco il nostro patrimonio e la nostra storia. Registriamo  un forte incremento dei flussi turistici ma la produzione industriale è in calo.

Il governo afferma che  il 2024 è stato l’anno dei record, più occupati, più donne al lavoro, meno disoccupati, ma il PIL non cresce, aumentano le diseguaglianze, la povertà ha indici elevati, i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Nascono pochi figli e la popolazione invecchia, abbiamo il debito pubblico più alto in Europa, ma continuiamo a sprecare opportunità e risorse. Abbiamo scarsa propensione al rischio, ad aprirci all’esterno, non  avere paura dell’altro,  perché non sappiamo che le società chiuse sono destinate alla decadenza.

Le migrazioni sono nate con la presenza dell’Uomo sulla Terra e da allora è stato un continuo spostarsi, acquisendo nuove conoscenze e portando nuove idee che hanno create nuove civiltà, hanno fatto nascere nuove culture, sviluppo e benessere.

Siamo il Paese delle grandi contraddizioni  e i conti non tornano.

Dobbiamo avere il coraggio di cambiare, il mondo sta cambiando velocemente, nuovi equilibri geopolitici sono all’orizzonte, è stato sconfitto il comunismo e pensavamo che il liberismo avrebbe creato sviluppo e benessere ovunque. Così non è stato, il mondo è in conflitto, gli Usa non sono più la potenza che lo dominava  ma cercherà di recuperare il prestigio e la  potenza di un tempo, indebolendo l’Europa e allargando il suo spazio d’influenza sul Canada, magari facendone  il suo  51° stato degli USA. . Ma Trump non vuole fermarsi al solo Canada, ambisce a diventare un imperatore e guarda alla Groenlandia e al Canale di Panama, e ad altri  obiettivi che considera spazio vitale degli USA. Ma il vero obiettivo di Trump, perché facilmente raggiungibile,  è la sostituzione degli accordi di   Yalta con nuovi accordi per ridisegnare a suo vantaggio gli equilibri global. Ci riuscirà.  Una cosa è certa. Tutti quelli che volevano fare cappotto hanno semre fatto una brutta fine..

Ma anche Cina e Giappone e Russiasono interessati a risolvere, anche con il ricorso alle armi, le loto dispute territoriali

Si spera che siano soltanto tatticismi politici, altrimenti potremmo effettivamente cominciare a pensare che ci stiamo avvicinando a un conflitto globale diretto e non più per procura,  pensare che ci stiamo sempre più avvicinando a un conflitto globale tra grandi e piccole potenze e non più  per la conquista della leadership globale, dagli esiti inceri ma certamente disastrosi per l’Umanità intera.

Una Europa divisa non potrà avere peso decisionale nel contesto internazionale, tanto meno i singoli stati, tutti   un fuscello al vento della Russia, il cui zar Vladimiro ambisce a ricostituire l’impero dei Romanov,  o degli USA. Troppo tempo è stato perso, troppi ritardi nello sviluppo di nuove tecnologie per favorire lo sviluppo economico e molti errori sono stati fatti sul piano geopolitico, specialmente dall’Italia, nei rapporti con l’Africa,  dove oggi sono massicciamente presenti Cina e Russia,  nel Medio Oriente  e nei rapporti con la Russia perché una collaborazione politico-economica poteva essere fruttuosa se basata sullo scambio prodotti energetici/tecnologia. Anche i Brics sono in fibrillazione e stanno mutando strategia e alleanze,ma non guardano con simpatia all’Occidente per il passato coloniale e per il modo in cui è stata gestita la decolonizzazione.  E l’Europa?  Tra sovranisti  ed euroscettici e le ambiguità di alcuni stati, tra cui l’Italia  rischia d essere ininfluente nello scacchiere  globale. E non mancano forze esterne che lavorano per favorire la frammentazione del Continente.

Ma anche la stessa  politica è in crisi, dominata ormai dai grandi monopoli internazionale che decidono le loro strategie  a livello sovranazionale e dominano le nuove tecnologie come ila comunicazione satellitare e l’Intelligenza Artificiale, in un mondo dove le diseguaglianze aumentano e la ricchezza globale è nelle mani fi pochi  e la maggior parte della popolazione diventa sempre più povera e in movimento verso  luoghi dove pensa di vivere meglio, ma viene respinta senza riflettere sulle conseguenze che possono determinarsi a livello globale in termini di sicurezza.

E’ necessario favorire un nuovo ordine mondiale incentrato su blocchi multinazionali,  dialoganti e non conflittuali, per affrontare i grandi problemi global del clima, della povertà, dell’invecchiamento della popolazione nei paesi ricchi, dell’inquinamento ambientale e delle calamità , tutti problemi non risolvibili da soli.

L’Italia è molto indietro sul piano politico-organizzativo e tecnologico, con una guida politica che sembra voler smontare lo Stato e  l’Europa, nostalgica di un passato che si spera non ritorni mai. Uno scenario denso di nubi e non si vedono meteorologi bravi. I protagonisti sono pronti alla guerra in un momento in cui bisognerebbe fermarsi e meditare. Del resto, i fabbricanti di armi  producono per vendere, e quindi la sollecitano.  La politica insegue gli umori degli elettori e fa propaganda anziché avere il coraggio di fare scelte di prospettiva, disegnando un futuro diverso, un mondo più giusto, educando i cittadini alla comprensione della complessità che regna nel mondo d’oggi piuttosto che  alimentare paure e disinformazione, scegliendo  il galleggiamento.

Dopo la fine della scuola che formava la futura classe dirigenti molti interventi legislativi si sono succeduti ma non è stata mai varata una riforma complessiva per ogni ordine e grado,

Integrando sapere umanistico  e sapere scientifico, perché la scuola e l’università devono trasmettere non solo conoscenze e competenze ma  anche formare cittadini attivi, , specialmente a favore di quei giovani che vivono in ambienti disagiati.  Più cultura e più scuola e   meno armamenti, perché non ci dobbiamo rassegnare a risolvere i problemi del mondo con la guerra.

Diffondere la Cultura per costruire Cittadinanza, riducendo la dispersione scolastica per allontanare i giovani dalla scuola della camorra.

Meloni ha recentemente affermato che  non è necessario studiare e laurearsi e lei è un esempio, ha raggiunto lo scranno più alto del governo del Paese  senza essersi  laureata. Personalmente ritengo che se avesse studiata un po’ di più forse avrebbe fatto qualche errore in meno e avrebbe potuto discutere di politica senza ricorrere a ideologismi. Comunque, coraggio la Resistenza è servita e probabilmente ha evitato anche a lei, signora Meloni, una vacanza a Ventotene.

Probabilmente per fare politica la cultura non serve, bisogna avere altre doti, ma se guardiamo i curricula degli attuali politici e le condizioni  sociali e il civismo dei cittadini eil loro agire potremmo anche pensare che un p’ di cultura in più sarebbe stata utile, perché la formazione delle nuove generazioni è indispensabile per formare una nuova classe dirigente colta e dotata di senso civico e attenta al bene comune.

Di recente è stata scoperta in un quartiere  ad alta criminalità della città di Napoli una struttura che “formava” i ragazzi del quartiere  alla criminalità, per avviarli alla “carriere”   del camorrista, per fasi successive cominciando  dal grado di scugnizzo, dopo aver superata la teoria e pratica.  Scuola gratuita, con borsa di studio.   E’ forse solo colpa dei ragazzi? Si risolve iquesto  problema con il carcere?

Molto deciso il programma per rivedere la Costituzione introducendo il premierato, l’approvazione della riforma dell’autonomia differenziata, le  limitazione delle libertà, soprattutto quella di critica e  di pensiero, con l’obiettivo di creare un’Italia a democrazia illiberale.

Particolarmente gravi gli attacchi alla libertà di stampa e al mondo della formazione, con l’obiettivo di  giungere alla egemonia culturale, al pensiero unico.  Non è un casp che la crisi della scuola sia iniziata  negli anni Novanta, con il governo Berlusconi, sostituita dalla scuols della televisione Fininvest e poi dalla scuola Rai  (e non mi riferisco a programma “Non è mai troppo tardi” del   maestro Alberto Manzi. .

A me pare che il disegno di modificare l’assetto istituzionale della Repubblica definito dalla Carta del 1948, progetto  non riuscito né con la strategia della tensione, né con Berlusconi,   lo si voglia tentare  oggi  per via parlamentare, no essendoci più nessun  Vittorio Emanuela , per dare finalmente corpo  al progetto della Loggia massonica P2 per dar vita a  un governo autoritario e  illiberale, fortemente voluto dalla Destra autoritaria italiana e da forze straniere, come gli Stati Uniti, espressione del clima di forte contrapposizione tra Occidente e Est Euriopa nei  periodo di Guerra Fredda, una  nuova contrapposizione che oggi trova nuova linfa nel governo di Destra.

Nella “Repubblica” del 12 maggio 2024, a pag. 22, Michele Serra, nel suo articolo “la politica in polvere” così scrive: I

“Sul clima intollerante ed episodicamente  poliziesco che si fa largo, una cosa molto giusta la dice Zerocalcare, intervistato a Torino da Fabio Tonacci: “La povertà di conflitto genera  società barbariche e chiuse dove ogni espressione di critica diventa   qualcosa da reprimere con la galera”. E nella stessa pagina Concita De Gregorio si dilunga su “L’ignoranza  non rende liberi” che apre alla riflessione sul livello culturale del nostro Paese e sulla disattenzione della classe dirigente nei confronti della Cultura e della Formazione.

Senza intellettuali. Politica e cultura  in Italia negli ultimi trent’anni è un interessante libro                     pubblicato da Giorgio Caravale (Laterza, 2023), in cui  si affronta il tema sul rapporto tra politica e cultura  in una  stagione, quella attuale, in cui è vivo la rimozione e il  discredito degli intellettuali, la crisi dell’università e invece acquistano sempre più  rilevanza i mass-media e i talk-show.

In un periodo in cui la politica  è messa in crisi dall’antipolitica ed è sempre più evidente  la questione morale, sollevata da Berlinguer già  negli anni Settanta, la politica sembra voler fare a meno degli intellettuali perché preferisce una politica senza storia, concentrata sul presente e priva di una strategia che disegni il futuro senza inseguire i condizionamenti dei gruppi di interesse e dei sondaggi, affidandosi piuttosto che alla riflessione del passato allo story-telling del presene, proprio quando si renderebbe necessaria una riflessione sulle scelte e sul progetto di una modernizzazione della società  basata sulla interpretazione della realtà e per disegnare i necessari cambiamenti, compito precipuo  dell’intellettuale, che negli anni Settanta aveva invece un ruolo importante e dialogante con la politica.

La politica, che ha perso il contatto con il territorio per affidarsi alla televisione o al racconto dei comunicatori, preferisce avere la collaborazione di tecnici, possibilmente d’area, tecnici della sopravvivenza  per interventi che servono a conservare o consolidare il potere proprio quando invece, specialmente in un periodo di crisi o di grandi trasformazioni sarebbe necessaria una visione di lungo termine  per progettare il futuro.

E cosa fanno gli intellettuali oggi? Nel migliori dei casi si chiudono nell’Università e anche loro pensano in piccolo, indagano sul particolare, sul settoriale perdendo la visione del futuro, in una Università che ha perso la funzione di formazione della nuova classe dirigente riducendosi a casta o meglio riunendosi in cricche che pensano  ai loro piccoli interessi ed assumono sempre più pratiche clientelari e comportamenti conflittuali. L’Università come la Politica che cerca il consenso in maniera anche non democratica nella lotta per la conquista di un fragile potere accademico.

Aumenta sempre più la frattura tra chi pensa e chi non pensa,  si è ormai persa la figura dell’intellettuale universalista che  interpreta il globalismo, che scrive libri e non articoletti su quisquilie, come suggeriscono oggi i criteri per la valutazione dei docenti.

Scomparse le ideologie, finiti i partiti di massa,  sostituiti  dai partiti personali, è finito anche il dialogo tra soggetti portatori di pensieri diversi come pure il dialogo intergenerazionale. In un mondo in cui gli equilibri  geopolitici mutano repentinamente oggi il ruolo degli intellettuali  e degli accademici  viene svolto sempre più e con efficacia dai giornalisti,  commentatori e cronisti rimasti indipendenti, rifiutando il ruolo di megafoni del potere.

E’ necessario ritornare al passato rivalorizzando il ruolo dell’intellettuale e restituendo alla Scuola e all’Università la funzione di formazione di cittadini attenti alla legalità, alla democrazia, al bene comune e non solo quindi di competenze e conoscenze,  ossia per favorire la crescita di una nuova  classe dirigente indipendente e qualificata.

Ma chi forma oggi i nuovi formatori?

Da tempo ormai la disattenzione politica verso la Scuola e l’Università  è crescente, in particolare nell’ultimo trentennio, un periodo in cui è prevalso il liberismo e l’individualismo e il progressivo smantellamento dei servizi pubblici  essenziali come la sanità, la formazione, il welfare, la cultura, a favore del privato o delegando ai social e ai mezzi di comunicazione di massa l’informazione per diffondere modelli sociali idonei a favorire il consumismo, il divertimento, il pensiero unico a scapito della riflessione e del pensiero critico.

Ciò è evidente, in Italia come anche in Europa, dove l’avanzata dei governi di destra  che reprimono il dissenso e la protesta, accusando soprattutto i giovani e gli studenti di voler alimentare il conflitto.

La stessa Presidente del Consiglio dei ministri,

Giorgia Meloni, più volte ricorda che lei è entrata in politica dopo gli omicidi dei giudici Borsellino e Falcone, scegliendo di aderire al Fronte della Gioventù. E allora dovrebbe essere più tollerante nei confronti di chi protesta perché il Fronte della Gioventù non era un gruppo di chierichetti ma una organizzazione del MSI che accoglieva giovani che venivano acculturati all’ideologia post-fascista  e che partecipavano a manifestazione che producevano scontri tra gruppi di diversa ideologia che si concludevano anche con feriti e a volte anche con morti. E dal Fronte della Gioventù sono fuorusciti personaggi che hanno formato gruppi eversivi colpevoli di aver partecipato a fasi di violenze e stragi, di cui non si è fatta ancora piena chiarezza.

 

  1. La scomparsa dell’intellettuale

L’Italia all’inizio del Novecento era un Paese la cui popolazione era ancora largamente  analfabeta  e l’educazione di massa è arrivata soltanto negli anni Sessanta del secolo scorso e fino agli anni Settanta si potevano trovare ancora cittadini non alfabetizzati che apponevano la loro firma con il

segno della croce. Era questa la popolazione che era fortemente condizionata dalla Chiesa e  che era il bacino elettorale delle forze conservatrici.

L’indebolimento delle strutture formative nell’ultimo trentennio è  funzionale a rendere la popolazione meno libera e più condizionabile. E non è un caso  che in Italia si vendono e si leggono pochi libri, che il numero dei laureati è ancora inferiore a quello dei paesi più evoluti e che ha una classe politica in larga parte inadeguata a svolgere le funzioni che le competono con adeguata competenza e con “disciplina e onore”, come recita la nostra Costituzione.

Dagli anni Novanta in poi l’Università è stata oggetto di norme che l’hanno resa una struttura burocratica che ha finito per indebolire la didattica e la ricerca. La selezione è avvenuta attraverso concorsi da “supermercato”, “prendi tre e paghi uno”, con una procedura che avrebbe dovuto avere una durata biennale e con due sole sessioni all’anno. E’ diventata di durata decennale con quattro sessioni all’anno, causando l’abbassamento della qualità della docenza. I criteri valutativi sono ancora oggi  basati sulla  quantità della produzione che deve essere superiore alla mediana  della produzione del settore scientifico, che impone una continua corsa a produrre articoli il cui valore scientifico necessariamente è sempre più modesto.

L’autonomia finanziaria e gestionale avrebbe dovuto  comportare responsabilità nella gestione. Invece ha favorito un minore controllo, visto che i controllori vengo nominati dai controllati e scelte dettate da interessi personali o funzionali  a soddisfare le richieste delle cricche più potenti, a scapito dell’interesse generale o di quelle persone che non accettano di mandare il loro cervello all’ammasso, rifiutando di essere sudditi del potente di turno. Inoltre la politica dell’uno vale uno ha reso le elezioni degli Organi accademici molto simili alle elezioni politiche, con metodi non sempre democratici o con sempre più richieste basate su scambi di favori e promesse, quando non vengono fatte pressioni minacciose relative alla carriera.

Mi sono formato nell’Università dei “Baroni” e ho conosciuto l’Università della fase “democratica” dei nuovi “baronetti”, dove ormai il conflitto, l’educazione, il senso di responsabilità, il rispetto degli altri sono merce rara, prevalendo l’individualismo e l’interesse personale.

Mi vengono alla mente le riunioni dei Consigli Facoltà di un tempo passato, tutti in giacca e cravatta, raggiunto il numero legale, sempre all’ora indicata nella Convocazione, il dibattito si svolgeva in maniera civile, senza urlare e avendo sempre rispetto dell’altro, nessun insulto, nessun andirivieni, tutti presenti dall’inizio alla fine dei lavori.

I professori svolgevano regolarmente le loro attività didattiche e la presenza in Atenei era assidua, specialmente quando esistevano gli Istituti monotematici, si lavorava insieme e si avvertiva un senso di Comunità. E i Consigli erano occasioni di incontro anche per discutere su questioni rilevanti, di tipo economico o politico-sociale stimolate dal dibattito pubblico, per far sentire la nostra voce come intellettuali, perché tali dovrebbero essere i professori universitari.

Per me i Consigli erano anche occasione di crescita culturale e civile.

C’era anche qualche mela marcia, ma veniva isolata.

Una sera la mia Maestra mi chiese se avessi presentato domanda per il concorso a ordinario. Dissi di no perché non mi sentivo pronto. Rispose, ha fatto bene non perché non è pronto, ma perché sarebbe stato inopportuno, in quanto io sono in Commissione e non mi avrebbe fatto piacere se lei avesse vinto perché tutti avrebbero detto che avresti vinto grazie alla presenza mia in Commissione. Faccia domanda la prossima volta e lei vincerà:

Ma l’anno dopo lei morì. Tutti mi consigliavano di non fare domanda perché la mia Maestra non poteva avere più nessuna influenza sull’esito concorsuale.

Ma quando vennero avviate le procedure per il nuovo bando, mi chiamò il preside della Facoltà per comunicarmi  che si era liberato  il posto lasciato dalla mia Maestra e che sarebbe stato bandito per me e titolati come il mio insegnamento. Mi chiese solo se fossi competitivo, non vogliamo sapere se vinci o meno, perché nessuno può saperlo. Risposi che sarebbe stato opportuno chiedere ai referenti della disciplina. Le referenze furono positive, quindi sarebbe stata chiamata una cattedra per me. Ma proprio quando si stava tenendo il Consiglio di Facoltà, un collega, che si dichiarava mio “amico”, si affrettò  a raggiungere la sala del Consiglio  per dire che era stato da me incaricato per far conoscere la mia decisione di non volermi più presentare  al concorso e quindi di non bandire il post.. Ma  il mio “amico” andò oltre, suggerì anche che la cattedra poteva essere bandita ugualmente perché  c’era una candidata disponibile, sicura vincitrice e su questa scelta c’era anche il o consenso. Il preside rispose o Bencardino o niente. Decidiamo noi come utilizzare quel posto. Fu assegnata ad altra disciplina per un candidato interno.

Incontrai poco dopo il Consiglio il  preside che mi chiese la motivazione della mia scelta. Quale scelta, risposi. Bene, ne parleremo un altro giorno.

Il giorno dopo ricevetti una telefonata dalla segretaria del preside per avvertirmi che l’indomani, a mezzogiorno, il preside  avrebbe avuto il piacere di ricevermi. “Posso confermare”? “Certamente”.

La mia meraviglia fu che in Presidenza erano già presenti anche il direttore del dipartimento e il mio “amico” latore del mio messaggio.

Il Preside iniziò dicendo: “Amico caro,  vuoi dire a Filippo quello che mi hai riferito”? Mi sono vergognato per lui: Bianco, verde, rosso,  “Forse si è trattato di un equivoco”, bisbigliò. Non ripeto quello che gli è stato detto, ma l’imbarazzo fu grande.

Il bello venne dopo, a conclusione delle procedure concorsuali,   io vinsi il concorso fuori sede, il candidato interno che usufruì della mia cattedra non vinse e la cattedra andò ad un esterno, e la sicura vincitrice venne bocciata.

Questa era la Università dei Baroni!

Su sei posti messi a concorso, soltanto tre sui sei  banditi per candidati locali soltanto se furono occupati dai candidati locali, gli altri tre restarono liberi, le sedi erano Catania, Cagliari e Teramo.  dichiarati  vincitori.  Le sedi vacanti   erano Cagliari, Catania, Teramo. Scelsi Teramo perché era la più vicina a Benevento, città dove mi ero trasferito nel 1981, dopo il terremoto.

Ero venuto in città qualche mese prima e avevo notato un’aria di cambiamento, percepivo un vivace dinamismo culturale finalizzato a trasformare la in un centro di servizi innovativi e culturale, riflettendo su alcune iniziative che già erano state avviate. La fiducia  per un futuro  incentrato sull’innovazione territoriale era una scommessa che mi affascinava. L’esito finale  di questo progetto era l’istituzione di un polo universitario come  obiettivo, che in effetti venne   raggiunto nel 1989 come sede gemmata dall’Università di Salerno.

Concordes in unun , è la frase scritta su una parete della  Sala  Consiliare del Comune di Benevento.

E’ lo spirito con il quale si è lavorato per raggiungere l’obiettivo della istituzione dell’Università,  da  impegno corale della cittadinanza e delle istituzioni comunali e provinciali, rappresentate nel Consorzio per lo sviluppo della cultura e la valorizzazione degli Studi universitari, che provvide a predisporre tutti quanto sarebbe stato necessario per l’avvio delle attività, qualora fosse stata istituita l’Università.  Partecipai anch’io a quella intensa fase preparatorio, tanto da potermi considerare tra i fondatori dell’Ateneo. Fu una fase piena di entusiasmo e di fiducia collettiva.

Anche gli anni Novanta furono di grande rilievo perché all’inizio do quel decennio iniziarono i primi corsi universitari. L’entusiasmo era grande, un gruppo di giovani dottorati di ricerca, giovani ricercatori e professori lavorarono con molta coesione, molte erano le iniziative culturali che coinvolgevano  la cittadinanza, le Scuole e le Istituzioni. Quel Concordes in unum che campeggia nella Sala consiliare si addiceva bene anche a quella prima fase della vita accademica.

Ma purtroppo la coesione cessò subito, quando nel 1998 venne data l’autonomia e nacque   così l’Università degli Studi delSannio.

Bisognava eleggere il rettore e a molti sembrò  naturale che la funzione venisse svolta da Pietro Perlingieri, accademico di lungo corso, persona di grande esperienza di gestionale non solo in campo  accademiche, ma soprattutto perché aveva guidato, da presidente del Consorzio, tutta la fase preparatoria, con successo visto il risultato finale. che aveva come fine la istituzione dell’università a Benevento.

Ancora, Pietro Perlingieri apparteneva a quel piccolo gruppo di professori ordinari (cinque,

scelta e non per avanzamenti di carriera, essendo già professori ordinari.

Ma alla competizione elettorale partecipò anche un professore di Ingegneria, Franco Garofalo, neo straordinario, vincitore del concorso bandito da Salerno per la sede di Benevento e in procinto di trasferirsi a Napoli, sede da cui proveniva.

Fu uno scontro duro, non leale, con polemiche alimentate ad arte, facendo anche ricorso a falsità, che continuarono anche successivamente.

Il motivo reale di questo conflitto nasceva tra chi auspicava un’autonomia gestionale, pur con forti legami con  le altre università regionali e nazionali  e chi invece  voleva farne una sede intesa come esondazione del fiume accademico napoletano, posizione favorita anche dal fatto che buona parte dei docenti  proveniva  dalla Facoltà di Ingegneria della Federico II ed erano in carriera.

Dalla disputa uscì vincitore Pietro Perlingieri, sia pure al fotofinish.

Questa lotta tra indipendentisti e sudditi rimarrà la cifra dell’Ateneo ed p anche la causa della sua decadenza.

Peccato perché nel decennio precedente l’autonomia si lavorò in armonia con buoni risultati. La cooperazione fu sperimentata nella gestione di un Progetto di ricerca  denominato “Link”, finalizzato a sperimentare un modello di sviluppo territoriale basato sul rapporto tra Centri di ricerca, imprese e istituzioni,  guidato dalla Scuola Sant’Anna di Pisa, il cui Rettore aveva coinvolto la Facoltà di Economia di Benevento, che poi estese la partecipazione alle altre Facoltà, in particolare a quella di Ingegneria. Si formò un gruppo d ricerca formato da ingegneri, economisti, giuristi, aziendalisti e geografi, che produssero risultati interessanti, tanto che la mia idea era quella di strutturare l’Università di Benevento su una organizzazione che valorizzasse  la multidisciplinarietà, già sperimentata con il Progetto Link.

Ma nonostante la quiete apparente, il fuoco covava sotto la cenere. Cominciarono ad emergere le diversità negli obiettivi e nei metodi di gestione. Emersero aspirazioni egemoniche, interessi economici, legami con altre sedi, paralizzanti per lo sviluppo autonomo dii Benevento. Il progetto originario era la nascita di una università piccola ma fortemente caratterizzata sul piano della formazione e della ricerca per promuovere lo sviluppo economico, culturale e sociale in un’area marginale del Mezzogiorno. E questa sfida mi aveva indotto a scegliere la sede di Benevento.

Le divergenze che presto divennero conflitti si svilupparono nella Facoltà di Economia, che divennero poi insanabili tanto che si arrivò alla formazione di un’altra Facoltà (definita di Scienza economiche ed aziendali) per scissione ,anche se Economia era solo la punta dell’icerberg

Dopo due anni dalla prima elezione del rettore bisognava rinnovare la carica e con le altre Facoltà un gruppo di docenti della Facoltà di Economia definì un programma basato sulla democrazia, sulla trasparenza, sulla partecipazione e sul rispetto reciproco. Venne individuato come garante di questo programma il prof. Aniello Cimitile, preside  della Facoltà di Ingegneria. Ma la coesione durò poco perché presto lo scenario mutò. il rettore scelse, dopo appena sei mesi dall’insediamento, non di continuare a impegnarsi nell’Università ma di accettare la candidatura alle elezioni politiche come deputato, anche se non andò in aspettativa e continuò a svolgere la funzione di rettore durante il periodo elettorale e  anche dopo, perché il risultato elettorale fu negativo. Non era il caso di aprire  nuove competizioni, la sede aveva bisogno di stabilità, tanto che lo invitammo a restare anche per un secondo mandato. Ma la fiducia non venne premiata. Gli interessi erano altri ormai, cominciò piano piano a sfilacciarsi quella coesione iniziale, prevalse l’impegno politico per coltivare altre aspettative, si svilupparono nuovi individualismi, si affermarono posizioni egemoniche  che inquinarono la fiducia collettiva  e la gestione democratica, cominciarono ad emergere  interessi individuali variegati.

Era comunque chiaro che il rettore era diventato una figura di parte e l’Università era destinata a ricercare un difficile equilibrio tra le aspettative  dell’Accademici napoletana,  gli interessi della politica locale e regionale, pensando di poter contare su un rettore ormai espressione del partiti politici.

Stava anche cambiando la Società, si diffondeva il berlusconismo, il liberalismo, il fai da te, le regole erano lacci e lacciuoli, cambiava il quadro di riferimento dei valori. Nelle Università diventavano sempre più diffuse  le cricche di potere, i concorsi erano meno rigorosi, la selezione divenne locale e non più nazionale, i posti venivano banditi a livello locale, per ogni posto gli idonei erano tre, le commissioni erano formati da tre docenti, di cui uno era rappresentante della sede che bandiva. Come si può immaginare era molto semplice trovare l’accordo sui vincitori. I meriti cominciarono a contare sempre meno e si estese sempre più il concetto di posizione di potere inteso non come  non come responsabilità ma come privilegio.

Questo cambiamento culturale si avvertiva principalmente sui giovani, sempre più rampanti e nelle piccole sedi e di recente fondazione, dove non esisteva una tradizione accademica  e le nuove generazioni di docenti erano quasi tutti privi di quella palestra dove si imparava la cultura accademica, cosicché rurri aspiravano a carriere facili e a posizioni di potere.

L’Università si avvicinava sempre più al modello della politica, con gli eletti spesso non adeguati a svolgere le funzioni connesse al ruolo svolto, spesso privi di esperienze e di  titoli di studio qualificati, al punto che l’attuale presidente del Consiglio dei Ministri Giorgia Meloni esplicitamente  disse ai giovani anche senza studiare si possono raggiungere posizioni apicali e lei rappresenta un esempio della validità di questa teoria, confutabile perché non dimostrata ma solo enunciata.

Mancando una spinta ideale, prevalgono atteggiamenti autoritari per supplire alla carenza di visione strategica sul futuro dell’Università e cominciano i conflitti  tra amici e nemici, tra sudditi e persone dotate di pensiero critico e di autonomia didi giudizio, che sono da ostacolo  a chi deve coltivare i propri interessi e quindi deve essere ostracizzato.  Importante diventa la conquista dei posti di comando a qualunque costo.  E allora il rettore trasforma un centro multidisciplinare in una struttura monotematica con funzione dipartimentale ma con accesso “per invito”, diparti esc con  adesioni riservate solo agli appartenenti al proprio gruppo disciplinare, che però hanno il diritto di far parte anche di un altro  dipartimento pe controllarlo.

Personalmente ho sempre  difeso l’autonomia dell’Ateneo dai centri di potere interni ed eterni , da qualsiasi cricca dii potere perché credo che compito della cultura sia   quello di sviluppare il pensiero  critico, la libertà di parola e di critica perché il ruolo dell’Università è quello di favorire la crescita di una classe dirigente competente e dotata di senso civico per essere cittadini attivi e non solo fornire competenze e conoscenze  che possono essere fornite anche da strutture finalizzate a creare tecnici per il mercato del lavoro.

Un giorno mi chiamò un collega molto potente e mi propose un’alleanza “invincibile” garantendomi il soddisfacimento delle mie richieste. Ci penso un attimo dissi  e mi misi a contare. Arrivato a cinque  mi chiese di conoscere le richieste. Risposi che non erano richieste ma le cose che già possedevo e la prima delle cinque era la dignità, non negoziabile. Da allora non ci siamo più incontrati,  soltanto scontrati.

Per essere una persona autonoma e indipendente  sono stato sempre ostacolato e discriminato. Per ben tre volte mio figlio è stato pesantemente sgambettano, ma sono stato sempre zitto, non mi sono prestato al gioco, uno sporco espediente per poi essere ricattabile. Per dire no a una proposta indecente  sono stato offeso davanti ad un’altra persona. Ho chiesto un provvedimento disciplinare ma non ho avuto mai risposta. Al mio sollecito il rettore mi ha detto che non era possibile procedere perché  l’Ateneo non aveva predisposto il Regolamento. Era uno della cricca, quindi intoccabile. Sarebbe bastato un giurì d’onore.

Già prorettore, ero stato invitato a candidarmi a rettore con una lettera firmata da molti colleghi del corpo elettorale. Ma a poco più di un mese dalla data fissata per la tornata elettorale vennero  a farmi visita tre esponenti del mondo politico, accademico e sindacale di Napoli per comunicarmi la loro stima e l’adesione alla mia candidatura al punto che mi suggerivano due persone molto Ringraziai ma dissi che queste decisioni le avrei prese in piena autonomia se avessi vinto.

Il giorno dopo questo incontro mi telefonò il mio preside per dirmi che aveva ricevuto la visita di due docenti appartenenti ad una delle Facoltà dell’Ateneo (uno dei quali indicato per futuro incarico dai tre  cu ho già fatto riferimento) per comunicargli che non mi avrebbero votato perché mi ero mostrato indisponibile al dialogo.

Dissi al preside che il dialogo non è altro che una gentile richiesta di sudditanza a poteri esterni e che io non sono disponibile ad accettare  nessuna imposizione, altrimenti preferisco che non venga eletto. Sono stato eletto e riconfermato per un secondo mandato con larga maggioranza e ho gestito  l’Ateneo nell’interesse generale, operando un ampio rinnovamento, riconosciuto da molti, anche all’esterno dell’Ateneo, da membri dell’Accademia e delle Istituzioni.

Il metodo però è stato riproposto per la elezione del mio successore con un percorso intrapreso già circa due anni prima, con riunioni che si sono svolte  nel salotto di Napoli, il bar di Piazza dei Martiri, con la partecipazione d due docenti dell’Ateneo con funzione di gancio, uno dei quali candidato come direttore di un dipartimento e aspirante rettore, non avendo capito che la riunione  era finalizzata alla elezione di un rettore già individuato.

Non ho accettato i consigli dei Capi e secondo loro avrei dovuto accettare i “gentili “ consigli dei sudditi.

Lo scopo era quello di spaccare il dipartimento più corposo per rendere più sicura la elezione  del prescelto. Comunque vennero da me i due che avevano partecipato agli incontri come espressione di Benevento per suggerirmi di aderire all’accordo perché mi sarebbe convenuto, altrimenti sarei rimasto isolato e “bastonato”.

Sconcertante anche un episodio relativo a un casuale ascolto di una conversazione tra due persone da parte di una mia amica, che le due persone convenivano su un punto: la mia posizione di rettore non avrebbe consentito di fare accordi, bisogna sperare che cada.

Il  metodo di “lavoro” che prevede la sudditanza a poteri esterni è comunque diventato prassi per tutte le scelte dell’Ateneo.

Per quanto riguarda la elezione a rettore, un candidato mi ha chiesto un anno prima delle elezioni che avrei dovuto dargli la delega di coordinatore del Rettorato e io non avrei dovuto più andare in ufficio, potevo molto meglio fare viaggi e lasciare fare tutto a lui così poteva “farsi conoscere”- Un altro mi frequentava per assicurarsi il consenso, ma il sabato era quasi sempre mio ospite. però il lunedì mi criticava con i colleghi. Informato di ciò gli chiesi le ragioni. La risposta fu che si trattava do una strategia intelligente  perché così avrebbe avuto oltre ai voti che io controllavo anche quelli dei miei nemici!. Non penso sia necessario qualche commento. Comunque mi aveva scambiato per un capobastone!

Alla fine del mio mandato avevo organizzato una cerimonia per salutare due colleghi che lasciavano il servizio attivo, meritevoli per il loro impegno e la loro correttezza. Avevo anche acquistato una campana da consegnare al rettore entrante, inutilmente perché il rettore eletto era assente e i  pochi presenti alla cerimonia  non mi hanno neanche rivolto un saluto, hanno lasciato l’aula in religioso silenzio. Non hanno offeso me perché le persone che non stimo non mi feriscono, hanno offesa l’Istituzione, dimostrando di essere dei maleducati.

Quando è stato organizzata l’inaugurazione dell’anno accademico per ricordare il XXV anno dalla Fondazione  non sono stato invitato. Ho inviato una lunga lettera al rettore pro-tempore per manifestare  il mio disappunto ricordandogli la storia dell’Università perché forse  non la conosceva bene, ma non ho avuto risposta.

Un mio amico romano che trascorreva le vacanze nel mio paese e che a Roma aveva conoscenza della politica nazionale e internazionale essendo impegnato nella Cooperazione internazionale, un giorno mi chiese se avessi mai avuto sollecitazioni per entrare in qualche loggia massoneria. Alla mia risposta negativa mi disse che ne era convinto perché io so dire anche “no, grazie” e quelli non sono fessi. Ci vuole intelligenza anche per essere  poco educati.

L’art. 54 della Costituzione italiana recita “Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi. I cittadini cui sono affidati funzioni pubbliche  hanno il dovere  di adempiere  con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla Costituzione.”

I professori universitari non hanno l’obbligo del giuramento ma svolgono una funzione pubblica molto delicata perché hanno la responsabilità di formare i giovani, che dovrebbero essere indirizzati a diventare  cittadini attivi, amanti della libertà e della giustizia, per poi operare con disciplina ed onore. Chi è privo di questi valori non è degno di essere un docente.

Purtroppo le Università pubbliche non hanno efficaci strumenti di controllo per valutare e punire comportamenti illiberali o non corretti dal punto di vista della legalità, perché tutto è demandato agli organi accademici, che spesso risentono dell’umore del corpo docente e lo stesso rettore, che dovrebbe garantire la difesa dei diritti di tutti i componenti della Istituzione, ma se viene eletto dalla cricca  cui  apppartiene diventa di parte e non è più in grado di garantire la democrazia e la legalità.

Sono i comportamenti arroganti e aggressivi dei docenti che spingono oggi molti studenti a preferire le università private, perché in queste istituzioni i professor diventano tutti “mansueti” perché sotto “Padrone” e i giochi di potere non sono tollerati perché le scelte vengono decise nel Consiglio di amministrazione, dove siedono persone competenti che hanno come obbiettivo il buon funzionamento della Istituzione e non sono consentite decisioni che sono finalizzate a favorire amici e parenti o a soddisfare “capricci” personali.

Amara anche la mia esperienza come presidente della Società Geografica Italiana tra il 2015 e il 2019.

La Società è (forse è meglio dire era) una antica e prestigiosa istituzione culturale fondata fondata essenzialmente imprenditori e politici interessati alle conquiste coloniali  per promuovere le conoscenze geografiche e i viaggi di esplorazione. Il primo presidente fu Cristoforo Negri, diplomatico, poi senatore a vita, che guidò la Società con la collaborazione di Cesare Correnti, ministro dell’Istruzione. Fino alla fine della seconda guerra mondiale i presidenti sono stati industriali, militari e politici, tra i quali anche il ministro Luigi  Federzoni, che si adoperò per dsulla politica culturale della Istituzione.

Soltanto nel dopoguerra la Società, guidata dai Maestri della Geografia, assunse un profilo laico, se si esclude il periodo della presidenza di Ernesto Massi, esponente di spicco  del Partito Nazionale Fascista prima e del MSI dopo.

La stagione dei Maestri, che ha visto avvicendarsi professori come Almagià, Gribaudi, Riccardi, Della Valle e, tra  i9 00 e 1906, Giuseppe Dalla Vedova, considerato il fondatore della Geografia,  finisce con la presidenza di  Gaetano Ferro, e con lui finisce anche il rigore scientifico, culturale e morale perché  il primo quarto di secolo la Società si è distinta prevalentemente  per una gestione allegra, che ha accumulato un debito di circa un   milione di euro, nonché da

comportamenti  incivili non degni di una istituzione culturale.

Era  stata “costruita” una presidenza che avrebbe dovuto assicurare la continuità politico-culturale e morale della presidenza Ferro, ma i “conti” non sono tornati e oggi la cultura ideologica ha riportato indietro nel tempo le lancette della Storia.

Anche la storia della Geografia ha seguito una evoluzione parallela  a quella della Società. Nata come disciplina moderna sulla scia  dell’evoluzionismo darwiniano e del determinismo tedesco, cominciò a diffondersi nelle Università nella seconda metà dell’Ottocento. A Padova, in verità, già nel 1745 venne attivata una cattedra di Scienze nautiche e  Geografia, affidata a  Gian Rinaldi Cali, che però dovette lasciarla dopo appena quattro anni per motivi familiari. Ma Padova divenne un importante centro di ricerche geografiche a partire  dal 1857 quando venne affidato a Giuseppe Dalla Vedova l’insegnamento di  Geografia fisica fino al  1878 anno in cui si trasferì a Roma. Gli successe Giuseppe Pennesi e poi fu un susseguirsi di Maestri come Roberto Almagià,  Arrigo Lorenzi, Luigi De Marchi,  Giuseppe Morandini e Bruno Castiglioni. Lo studio patavino mantenne negli anni il suo prestigio e si distingue ancora oggi per aver conservato l’unità della Geografa, sviluppando ricerche nel campo della Geografia umana, economia, fisica e geo-cartografia.

Le  cattedre si diffusero poi anche in altre sedi universitarie, a Firenze innanzitutto, dove nel 1867 venne fondata la Società Geografia Italiana, sostituita dalla Società di Studi geografici, quando la Società Geografica venne trasferita a Roma, diventata capitale d’Italia. Da allora Firenze è stato un prestigioso centro di ricerche geografiche e si è potuta avvalere di Maestri come Olinto Marinelli,  Aldo Sestini, Renato Biasutti.

Atre cattedre vennero istituite a Napoli, Bologna, Pavia, Roma , Torino, la cui istituzione di una Cattedra risale al 1857, ma per vedere un geografo coprire quella Cattedra bisognerà attendere il 1882, perché, istituita la Cattedra bisonava trovare un adeguato Cattedratico.

Durante quel periodo  fu Ettore Ricotti a ricoprirla pro-tempore. Venne individuato prima un arabista, che rifiutò e poi  Celestino Peroglio come “dottore aggregato”, garibaldino, che fondò il Circolo Geografico Italiano con lo scopo di promuovere le esplorazioni geografiche, che poi si trasferì a Bologna. Nel 1882-83 la Cattedra fu affidata a Guido Cora, formatosi a Berlino, Lipsia e Gotha. Nel 1812 la Cattedra venne coperta da Cosimo Bertacci, che fonda il Regio Gabinetto di Geografia, con annesse Biblioteca e Cartoteca.

A succedergli fu  Alberto Magnaghi, che, insieme a Cora e Bertacci possono essere considerati i fondatori della Geografia  a Torino.

Tra gli allievi di Bertacchi vi fu anche  Piero Gribaudi, che sviluppò gli studi di Geografia economica, dando vita a una scuola che si è distinta per originalità e innovazione, continuata da geografi come Giuseppe Dematteis e Sergio Conti.

Una Scuola di Geografia fiori anche a Napoli con Filippo Porena, a fine Ottocento e dal 1907 con  dopo Messina e Palermo insegnò Geografia  all’Università di Napoli e poi con Giuseppe De Lorenzo, geografo e geologo che copri la cattedra di Geografia dal 1907. Dopo di lui furono Colamonico,  Migliotini e Fondi i titolari della cattedra. Migliorini fu anche professore all’Orientale, dove svolse anche a funzione di rettore prima di trasferirsi nella Università di Napoli.

Fino ad allora i geografi provenivano dalle Facoltà di Lettere e, soprattutto, dalle Facoltà di Scienze naturali  e da laureati in Ge, formati per lo più alla scuola della geografia tedesca.

Sul finire del XIX secolo e l’inizio del XX secolo cominciarono a essere istituite Scuole di Economia. A Venezia venne fondata  nel 1868 l’Università Ca’ Foscari, a Milano nel 1902 l’imprenditore milanese  Ferdinando Bocconi fondò l’Università Commerciale Luigi Bocconi, in memoria del suo figlio primogenito.

Anche a Roma venne aperta nel 1906 la Facoltà di Economia, ma è a Napoli che nel 1700 venne fondata la prima Facoltà di Economia in Europa, con cattedra  di Economia  e felicità pubblica, promossa da Antonio Genovesi, considerato uno dei fonatori della moderna scienza economica.

Sull’abbrivio dell’Illuminismo, che a Napoli ebbe impegnati in politica molti studiosi che abbracciarono il movimento, Genovesi insegnò l’Economia intesa come disciplina che serve a promuovere uno sviluppo che vede al centro non la crescita del PIL ma quello del benessere dell’Uomo. Fu anche il promotore dello sviluppo della Cartografia e della Geografia perché si affermò che per poter programmare lo sviluppo  bisogna prima studiare e cartografare le  risorse del territorio e poi progettare, per poterle utilizzare bene, nell’interesse generale.

Questa visione dello sviluppo, che ha animato il dibattito culturale e lo spirito innovatore nel Regno di Napoli, ha favorito anche il dibattito sulla Geografia e sulla Cartografica, animato da dell’abate Ferdinando  Galiani , che   ha portato all’Istituzione a Napoli  nel 1871 del Reale  Officio  Topografico del Regio di Napoli, proposto alla  “costruzione di mappe  topografiche, geografiche ed idrografiche “ del Regno  nel 1780, poi trasferito a Firenze con l’Unità d’Italia, prendendo il nome di Istituto Geografico Militare

L’interesse per la Geografia e la Cartografia a Napoli si sviluppò in un periodo di forte sviluppo delle nuove tecniche di rilevazione che consentirono la produzione di una cartografia più precisa e aggiornata, grazie allo sviluppo dei viaggi da parte dei mercanti e  ala invenzione della stampa a caratteri mobili, consentendo ai naviganti viaggi più sicuri e agli editori di avere un prodotto che attrae anche l’interesse della nuova borghesia mercantile e alla nobiltà di acquistare prodotti cartografici da usare le carte come oggetti d’arte da esporre nei salotti, insieme alle” vedute”, che nel 600-700 ebbero un forte sviluppo.

Tra 600 e 700 cade il secolo d’oro della cartografia olandese, con Amsterdam città ricca di editori specializzati in produzioni di carte e atlanti. Amsterdam, insieme a Londra è un importane centro mercantile, mentre Londra è centro mercantile e industriale, capotale di un impero coloniale,  che svolgeva quindi anche una funzione di metropoli globale.

La cartografia nell’800 assume un carattere internazionale perché la simbologia viene concordata e unificata a livello internazionale, ma diventa politica, nel senso che le potenze europee la usano  delimitare le aree di interesse strategico  o per motivi propagandistici. Un ulteriore sviluppo dlla cartografia si avrà nel 900 con l’aerofotogrammetria  e la cartografia da satellite.

Significativa, anche la produzione cartografica  nel Regno di Napoli, tra la quale si distingue l’ Atlante Geografico del Regno di Napoli, pubblicato nel 1812, ordinato da Ferdinando IV al famoso cartografo  padovano Giovanni Antonio Rizzi Zannini.

Le Scuole di Economia incentivarono lo sviluppo della Geografia economica. A Venezia insegnò a lungo, tra il 1928 e il 1952,  Leonardo Ricci, prima di trasferirsi a Milano, alla Bocconi.

A Venezia  Gino Luzzato, professore di Economia, presentò un suo giovane laureato,  Luigi Candida a Ricci, che lo prese come suo assistente volontario, che poi divenne nella stessa Università professore ordinario di Geografia economica e rettore tra il 1971 e 1974.

Dalla sua Scuola uscirono molti giovani geografi economici, che hanno illustrato la Geografia italiana.

Anche a Roma si sviluppò una fertile scuola di Geografia economica, che vide come titolare di Cattedra studiosi come Ferdinando Milone, che nel 1955 diede alla luce l’opera L’Italia nell’economia delle sue regioni, Ernesto Massi, Mario Lomonaco, Riccarda Simoncelli e Attilio Celant.

Anche a Milano e Napoli si svilupparono interessanti studi di Geografia economco-politica, con Cesare Saibene e Domenico Ruocco e Francesco Compagna, continuati poi da Tullio D’Aponte.

Purtroppo la Prima guerra mondiale e la dittatura fascista bloccarono lo sviluppo degli studi geografici (e non solo), perché molti studiosi aderirono alla ideologia fascista. Furono proprio  gli studi  di Geopolitici a pagare il prezzo più alto perché vennero visti come giustificazione dell’espansionismo del regime nazifascista.

Bisognerà attendere il dopoguerra per vedere il rilancio della Geografia con nuovi Maestri che hanno formato molti giovani geografi che hanno rinnovato profondamente il sapere geografico attraverso vivaci discussione di visioni episttemologiche contrapposte.

Furono anni di incontri, di dibattiti, anche aspri, in un periodo in cui le occasioni e i momenti di incontro erano continui, specialmente nel corso delle Escursioni universitarie, occasione di crescita culturale e scientifica ma anche foriere di amicizie e di consolidamento di rapporti personali.

Il rinnovamento è stato anche organizzativo, con la rivendicazione di maggiore partecipazione alle decisioni  relative al futuro della disciplina, come nel caso della trasformazione del COGEI, riservato ai soli ordinari, in AGEI, aperto a tutte   le figure di docenza.

Ed è stato un processo che i Maestri hanno saputo gestire senza creare fatture generazionali.

Oggi si avverte uno scollamento che diventa disarmonia, ognuno si è chiuso all’interno della propria sede, un isolamento favorito anche dallo sviluppo tecnologico che consente incontri telematici, comunque più aridi, che  la pandemi Covid ne ha agevolato la diffusione, facendo risparmiare tempo e denaro. Ma m  Ma un incontro  davanti a un  bar sul lungomare di Napoli con una tazzulella ‘cafe  e na’ sfogliatella sul tavolino è molto più gradevole di una teleconferenza.

Ben diversi,  rispetto a oggi, erano i tempi in cui la rappresentanza della Geografia era passata nelle mani dei “golden boies”, cioè  dei geografi nati tra la fine degli anni Trenta e gli anni Quaranta, allievi di grandi Maestri che hanno rinnovato la disciplina anche dal punto di vista professionale, i vari Dematteis, Conti, Vallega, Corna Pellegrini, Pagnini, Cori, Gambi, Compagna,  D’Aponte, Coppola, Cataudella,  Bevilacqua, Zunica, Tinacci, Celant e tanti altri ancora, che hanno operato al fianco dei più anziani, come Ruocco, Pracchi, Ferro, Baldacci,  Di Blasi, Ruocco, Fondi, Badacci,  Pracci, Sestini, Merlini, Castiglioni e  altri ancora, potendo anche avvalersi della loro esperienza.

Allora la Società Geografica Italiana era una struttura viva, accogliente, molto frequentata. Vi si organizzavano convegni, incontri di studio, si promuovano ricerche, era la Casa dei Geografi, di tutti i Geografi. C’era gentilezza, autorevolezza, anche nel Consiglio, mai  autoritarismo, volgarità maleducazione, falsità. Veramente una bella stagione per la  Geografia italiana.

Oggi è triste, deserta, una nobile decaduta. Chi vuole approfondire lo squallore di oggi e coscere i personaggi della mala gestio può documrnyatsi leggendo iil mio cotposo libroonchirsta di 450 pagine, di cui 250 di documenti. E’ un libro verit perché validato da una sentenza del Tribunale d Roma, che sembra una sinde del libro (F. Bencardino, Il sole non illumina la Società Geografica Italiana, Damato editore, Salerno).

Riordinando il mio Studio, ho trovato una vecchia cassetta di sicurezza di cui non riuscivo a trovare la chiave. Quando l’ho trovata e l’ho aperta ho avuto delle sorprese: ricordi del periodo universitario, tra cui il tesserino universitario, un  manifesto nel quale in latino si comunicava la morte del periodo universitario e l’inizio della vita professionale, di cui ancora oggi non ricordo chi l’ha scritto) e due lettere, una proveniente dalla Società Geografica  Italiana (vergate a mano, lettera e busta),e  con i titoli sbarrati) , e l’altra  dall’Accademia dei Lincei. Erano a firma di Carlo della Valle e di Elio Migliorini. Il contenuto era molto simile, entrambi mi ringraziavano di aver loro inviato il mio Middlesgrough”, che avevano letto con attenzione e che avevano trovato interessante, invitandomi a continuare a studiare. Ero un giovanotto sconosciuto, pochi mesi dopo la laurea. Ho incontrato qualche anno dopo Migliorini, si ricordava di me, mi chiese di che cosa mi stessi occupando, e alla mia risposta aggiunse: “legga anche questi due articoli, li troverà nel periodico…annata

Erano veri Maestri e e avevano una stile elegante, ora trovi professori arroganti, presuntosi e volgari. Se oggi  scrivi a qualcuno, specialmente in Società, nessuno ti risponde e se rispondono  lo fanno per avvelenare i pozzi e se parlano di te lo fanno per denigrarti.

Purtroppo è conseguenza della crisi della Cultura, che causa anche una crisi della morale e dell’etica pubblica. E’ un fenomeno ormai globale, molto diffuso.

La sconcertante vicenda legata a una gestione molto discutibile  ha causato un danno d’immagine rilevante, per la Geografia e per i geografiche,  ha messo in evidenza  la mediocrità dell’attuale classe dirigente, che anziché  superare la crisi con un totale rinnovamento, soprattutto rinnovando Statuto e Regolamenti in senso democratico, come era stato più volte sollecitato  anche  dal Collega D’Aponte: Interessante sarebbe stata anche la nomina di un gruppo di “saggi” per rilanciare l’immagine della Geografia e della Società al di la dell’Accademia, ma la risposta fu che i saggi già c’erano, cioè erano i membri del Consiglio. Quanta modestia.

In realtà,  per far rinascere una Comunità è necessaria una rigenerazione morale e civile,  che non può essere promossa da chi ha determinato la crisi. Si è invece,  preferito continuare con pratiche illecite pur di bloccare il rinnovamento. E di una antica istituzione culturale resta la funzione di “affittacamere”, anche se  ora è ben finanziata dal Governo Meloni. E si ritorna all’antico.

Una sentenza dl settembre 2022 relativa ad una denuncia prodotta dal prof. Franco Salvatori  nei miei confronti per diffamazione , una sentenza del Tribunale di Roma di 17 pagine ha condannato Franco Salvatori. E’ una sentenza che fa chiarezza, che ristabilisce la verità sulla gestione della Società Geografica Italiana e  sui comportamenti  e le motivazioni dello scioglimento del Consiglio direttivo, e delle successive elezioni effettuate con procedure discutibili.

Vengono smentite le motivazioni che avrebbero rese urgenti lo scioglimento del Consiglio e le immediate indizioni delle elezioni.

Il Consiglio è stato sciolto con le presunte dimissioni di 7 consiglieri sulla base di una semplice dichiarazione della prof. Margherita Azzari, in quell’occasione  maestra di cerimonia senza autorizzazione, senza nessun documento che accertasse le dimissioni e senza nessun verbale della seduta del Consiglio. Prima considerazione: le dimissioni vanno date all’Assemblea, che elegge Presidente e Consiglio direttivo, non a voce a un membro del Consiglio. Seconda considerazione: le motivazioni che hanno spinto a prendere l’iniziativa delle elezioni, necessarie e immediate, vengono smentite dalla Sentenza del Giudice, che nelle motivazioni elenca tutta una serie di diciamo, “criticità” da me doverosamente portate a conoscenza dei membri del Consiglio e dei soci, fino ad allora ignari perché disinformati.

Inoltre, l prof. Claudio Cerreti afferma nel programma elettorale inviato ad alcuni soci che

“Era necessario” procedere a …”democratiche” elezioni per i seguenti motivi:

Le questioni rese pubbliche  non consentono  ai soci di farsi una  opinione certa, …he questioni di tale natura non debbano essere sottoposte ai soci, e “risolte” in altra sede”, che la relativa disputa non convenga al buon funzionamento della Società e alla sua reputazione, … che si tratta  di un contenzioso  che ha assunto un carattere di contesa personalistica,— un contesto in cui si profilano oscuri ma molto concreti tentativi di prevaricazione che svilirebbero il corpo sociale.”

Strano concetto di democrazia e di legalità,  un chiaro invito all’omertà, con parole anche diffamatorie, un linguaggio e un comportamento consono al livello morale e culturale del XXI secolo. Il fatto grame è il silenzio e la permanenza di chi ha mistificato e tentato di togliere la muffa senza riuscirci e sta ancora lì e nessuno dice nulla. Per alcuni è saggio essere indifferenti o, meglio, giannizzeri.

Vi sembra possibile tali sggetti siano professori, affideresti un figlio a docenti che sono indifferenyi alla illegalità?

C’è solo da augurarsi che giovani coraggiosi e preparati, che ci sono, abbiano il coraggio e la voglia di impegnarsi, ripulendo la Geografia dai vecchi simulacri per aprire  una nuova stagione di rilancio scientifico e culturale  della Geopolitica in particolare, oggi dominata da cronisti, giornalisti e da studiosi di estrazione diversa da quella più strettamente geografica.

Purtroppo il Novecento è stato un secolo di grandi trasformazioni, di sviluppo ma anche  di grandi invenzioni e innovazione, ma anche di grandi tragedie, di corruzione diffusa e di decadenza morale,  specialmente  a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso.

Sono diventati obsoleti  molti valori, l’onestà e  considerato da molti un disvalore che ostacola l’affarismo,  diventando una cultura da combattere.

La Giustizia è lenta e non sempre è giusta e ciò è un incentivo alla diffusione dell’illegalità.

Del resto, è sempre più diffuso un atteggiamento di indifferenza verso la giustizia e la questione morale, gli onesti  vengono percepiti come ostacolo alle procedure illegali, tanto da diventare persone non gradite, mentre i disonesti vengono guardati con rispetto e ammirazione. La disonestà sembra sia diventata  un titolo che arricchisce il curriculum.

I costruttori  del  male,  pur mimetizzati dietro la foglia di fico del  falso perbenismo, operano  contro i  costruttori di pace, di libertà e di democrazia. Sono  poveri di spirito che attraverso la falsificazione della realtà e il conflitto cercano di convincersi di essere potenti.

Siamo figli del Novecento, un’era piena di contraddizioni, di successi e disfatte, di tragedie ma anche di conquiste scientifiche, di sviluppo sociale, di istruzione di massa.

Dopo il disastroso  secondo conflitto mondiale uomini visionari hanno riflettuto sui nazionalismi come fonte di conflitti, in un’Europa che dopo la caduta dell’Impero romano è stata sempre in guerra  per conflitti dinastici o per espansione territoriale finalizzate al controllo di risorse strategiche.

Da queste considerazioni è nata l’idea di unificare l’Europa per dar vita a uno stato sovranazionale  federale, un obiettivo che tarda a realizzarsi.

Un’Europa aperta e inclusiva  per l’affermazione dei valori della Rivoluzione  francese, libertà, fraternità, eguaglianza e la promozione della pace universale , valori già presenti nella Regola francescana del XIII secolo, sono questi i valori che devono spingerci a impegnarci per realizzare il sogno della nascita degli Stati Uniti d’Europa.

I nazionalismi, invece,  favoriscono l’insorgere di conflitti armati, alimentano gli egoismi territoriali, esaltano e differenze individuali e collettive che sono causa di  disgregazione social e non di coesione, : libertà, affinché l’Uomo, come diceva San Francesco nelle sue predicazioni, possa  accogliere, sostenere e valorizzare l’altro.

Ama gli altri come te stesso e assicura a ciascuno libertà politica, civile ed economica perché ogni persona  è titolare dei diritti fondamentali, di pensiero, di critica, di associazione e ha diritto a vivere con dignità.

E questo dovrebbe essere l’impegno di ogni buon governante.

Il processo di unificazione europea, dalla CECA, alla CEE e oggi alla Unione,  ha consento di avere per la prima volta  una pace che, dopo ottant’anni dura ancora oggi nonostante il putinismo, che conferma lo spirto aggressivo del sovranismo, mentre lo spirito cooperativo dell’Europa che  estendendo la democrazia anche ai paesi dell’Est Europa, a popoli che avevano vissuto sotto la dittatura dell’Unione Sovietica fino alla caduta del Muro di Berlino.

Oggi però questo periodo di pace sembra stia perdendosi c’è voglia di  isolamento, di sovranismo , di suprematismo)e di nazionalismo, che ci sta riportando all’Ottocento, periodo in cui il patriottismo era lotta per la liberazione dall’oppressore straniero, per la conquisa della libertà e della democrazia.

Aumenta il quoziente dell’ignoranza, dimostriamo di non conoscenza della storia    e di voglia di  voglia di autocrazia, non siamo  più  in grado di capire il valore della partecipazione .                                        di averla dimenticata mentre avanza più in grado di capire il valore della partecipazione, desiderosi di affidarci a nuovi populisti, a imbonitori che ci rassicurano dalle paure che essi stessi alimentano per far emergere il desiderio dello stato forte. Ed è strano che questo sentimento è più forte on quei paesi che hanno vissuto l’amara esperienza del nazifascismo. Come i bambini che, durante la tempesta, corrono ad abbracciare la mamma per vincere la paura. E questo ritorno alla capocrazia è più forte  in alcuni paesi dell’Est, che più hanno sofferti la dittatura bolscevica.

E se  l’Europa non è ancora interessata da alcun conflitto, ai suoi confini sono tuttoa attivi feroci guerre di conquiste territoriali  che ci vedono sia pure indirettamente coinvolti, guerre combattute con atrocità, che stanno distruggendo uomini e cose, con conseguente non solo economiche, comunque rilevanti, ma soprattutto culturali perché attengono alla cancellazione della identità di interi popoli.

Anche se non sempre ce ne rendiamo conto, i conflitti sono molti in ogni angolo del mondo, in Medio Oriente, in Africa in particolare, alimentati da interessi economici, dai mercanti delle armi, da despoti per rinsaldare il proprio potere, perché un ordine globale si è rotto e non è stato ancora sostituito con un altro ordine, con le grandi potenze,che non sono in grado di imporre decisioni e la diplomazia internazionale è debole in seguito al fallimento delle Organizzazioni internazionali

Viviamo in  mondo instabile, pieno di contraddizioni, sembra ci sia un desiderio di guerra, distruttiva per tutti, un generale desiderio di aggredire il diverso, ma anche i nostri simili, l’amico, il vicino, il nostro familiare. Una tensione costante  tra progresso e regresso, tra civiltà e inciviltà, tra  guerra e pace  tra sovranismo e universalismo, tra ragione e follia, che alimentano una voglia di suicidio collettivo. Una Umanità che ha dimenticato la storia e che anziché costruire vuole distruggere, lo Stato, l’Europa, la famiglia, ognuno chiuso in se stesso, aperto al virtuale dei nuovi social.

E’ la fine di un’epoca e nulla si intravede all’orizzonte, è l’esaltazione della quotidianità.

Non c’è più pensiero perché la cultura, la scuola, l’università, la politica sono anch’esse in crisi di identità, una crisi che investe l‘Occidente democratico, sotto attacco di quei paesi che  un tempo dominavamo. Una vendetta , una rivolta contro i colonizzatori…

Nel mondo antico  la cultura era intesa come educazione dell’Uomo a vivere in comunità e all’esercizio delle attività intellettuali, ossia lo studio come formazione dell’individuo sul piano morale e civile, affinché sia consapevole del ruolo che deve svolgere nella società e non solo quindi,  formare la persona affinché sappia fare qualcosa.

Abbiamo smarrito le coordinate per leggere la realtà, per interpretarla e quindi per poterla governare., siamo sempre più dipendenti dalla tecnologia, dall’Intelligenza Artificiale, che ci domina e ci controlla e indebolisce la nostra capacità di riflessione.

Sarebbero necessari nuovi strumenti e nuove metodologie di indagini per comprendere la complessità del mondo d’oggi.

E la crisi della Scuola e della Cultura , che non ci aiutano più a capire , lasciandoci soli nel nostro labirinto..

Non sappiamo ricercare  i contenuti di una nuova formazione  funzionale alle esigenze  non solo del mercato del lavoro ma anche a fornire gli strumenti culturali e scientifici per  la comprensione dei cambiamenti in atto  nel XXI secolo.

Nel nostro Paese è stata ed è ancora prevalente una frattura tra cultura classica e cultura scientifica. La prima è prevalsa fino agli anni Settanta, poi è cominciata a prevalere quella scientifico-tecnologica, ma non stati ancora capaci di considerare che in un mondo in cui la tecnologia sembra ormai prevalere sull’Uomo, la cultura è indispensabile per riflettere sulla necessità che la tecnologia deve essere al servizio dell’Uomo, del suo progresso sociale, conservandone il controllo. L’evoluzione tecnologica è così veloce che non abbiamo più il tempo e l’energia per seguirla  e allora sarebbe il tempo di fermarci un attimo per cominciare a pensare. A pensare come vivere meglio su quesra Trra e non su Marte perché altri mondi possibili per il mpmento non ce ne sono. Non abbiamo un luogo dove fuggire, è bene cominciare ad avere cura del nostro ianeta.

E’ indispensabile ciò in un contesto come quello attuale, un’epoca in cui   la tecnologia sembra poter sostituire l’Uomo in tutte le sue funzioni, , anche in quelle cognitive.

Va sempre più emergendo l’esigenza di una formazione fondata su un equilibrio tra cultura classica e scientifica finalizzata a sviluppare il pensiero critico, la liberà di pensiero, l’autonomia intellettuale per preparare dei cittadini attivi e creativi.

Troppo frettolosamente sono stati ridotti gli spazi all’insegnamento della Storia, della Filosofia, della Geografia, dell’educazione civica, conoscenze indispensabili per una formazione che metta in primo piano l’Umano, ossia il ruolo dell’Uomo come  attore della costruzione  di una società  equa e sostenibile.

Le strutture formative sono il luogo della conoscenza ma anche il luogo dove interrogarsi sul nostro essere nel mondo, sul senso della vita, sul rapporto singolo-comunità, sulle nostre identità, sul progetto del nostro futuro, come singolo e come comunità. E allora abbiamo la necessità di saperi specialistici ma anche di saperi che siano in grado di connettere il locale con il globale, la parte con il tutto e quindi di discipline che ci sollecitano a porci dei perché,  a riflettere,  a mettere insieme il passato con il presente  per immaginare e progettare il futuro.

Secondo Ivano Dionigi, in un sua  Lectio Magistralis letta, tre parole dovrebbero essere scolpite sulle pareti di ogni struttura formativa: interrogare, intelligere,  invenire.

Interrogare significa stimolare il cervello a pensare, ad alimentare la curiosità, ad abbandonare gli stereotipi, i pregiudizi. Intelligere significa comprendere, ascoltare, ragionare, aprirsi al mondo. Invenire significa scoprire cose nuove, ma anche riscoprire il passato, la memoria per meglio comprendere il presente e progettare il futuro.

Ecco perché è necessario studiare la Storia, la Filosofia, la Geografia, l’Educazione civica. La Geografia stimola la curiosità, la conoscenza dell’altro, di altri mondi e quindi alimenta il pensiero e la convivenza con il diverso.

La crisi che stiamo vivendo è indubbiamente economica ma in quanto tale è politica e quindi culturale.

Un esperimento di ricerca multidisciplinare era stata fatta nell’Università del Sannio  negli anni Novanta con buoni risultati, ma quando un ingegnere informatico è diventati rettore ha pensato bene  di far finire quell’esperienza trasformando quella struttura di ricerca in un centro di ricerca sull’ingegneria del software, per rafforzare il suo gruppo. Logiche di potere, come quando ha occultato un piano di sviluppo dell’Ateneo perché prevedeva il potenziamento della Facoltà di Scienze. Ciò succede quando si intende una funzione come esercizio  di potere e non come servizio offerto alla Comunità.

L’Università del Sannio era nata come luogo di sperimentazione di un modello di Università di piccole dimensioni che, localizzata in una piccola città di una altrettanta piccola provincia (meno di 300000 abitanti) posta in un’area marginale dell’Appennino meridionale, avrebbe dovuto essere elemento di trasformazione economica, sociale e territoriale. La Regione era in quel periodo impegnata a finanziare progetti per favorire lo sviluppo economico r creando “centri di competenza per l’innovazione”  attraverso la collaborazione tra impresa e centri di ricerca, per attrarre nuovo investimenti con start-up da localizzare in appositi spazi attrezzati con i servizi necessari utili ad agevolarne l’insediamento di nuove attività industriali, creando nuova occupazione qualificata. Dopo alcuni anni positivi, tutto si è arrestato. Gli investimenti sono stati fatti nell’area napoletana e non nelle aree interne, la città anziché crescere in servizi avanzati ha perso quelli tradizionali (Scuola dei Carabinieri, Banca d’Italia, Camera di Commercio) e l’Università non ha svolto quel ruolo propulsivo sperato, anche a causa delle beghe interne da parte di attori co scarso senso civico. E’ la solita Italia che promette e non mantiene.

Quando ero rettore venne nel mio ufficio una signora, moglie di u industriale  defunto, che voleva ricordare creando un  qualcosa da allocare nella sua villa, di due piani più due seminterrati, che avrebbe donato, con l’impegno che l’iniziativa avrebbe dovuto portare il nome del marito. L’Università Bocconi così nacque, con una donazione di un facoltoso imprenditore che voleva ricordare il suo primogenito.. Le dissi che l’Università poteva creare un centro di ricerca sullo sviluppo locale intestato al marito. Si entusiasmò e donò la villa all’Università. Sono passati circa vent’anni, la Signora è morta da tempo e nulla è stato fatto, la villa resta chiusa. Ho sollecitato il rettore ricordandogli l’impegno che avevo preso, mi sento responsabile nei confronti della città e della defunta Signora, ma il rettore laconicamente rispose “sono problemi nostri, tu non preoccuparti”. Sarebbe stato bello creare un punto di contatto tra Università, Scuole e associazionismo culturale per sviluppare quella cultura che manca, favorendo anche una cultura imprenditoriale, nel ricordo e nello spirito del donatore.  E’ un chiaro esempio della esigenza di una formazione  che non sia soltanto specialistica per capire cosa è bene e cosa è male, non per se ma per la Comunità.

Il problema più serio di oggi è la mancanza di leadership, che non significa comandare, saper imporre, mostrare autorità, esercitare un potere gerarchico. E’ una competenza esistenziale, significa avere la capacità di emozionarsi, di saper guidare un gruppo e di entusiasmare, di mobiliare risorse emozionale, passione, sogni, speranze, avere una visione chiara su dove si vuole andare, la capacità di sviluppare nuove opportunità, cioè essere un visionario, come lo erano i tre di Ventotene, che non piacciono alla presidente del Coniglio perché erano antifascisti e dovevano stare lì per penare e non per pensare.

La conseguenza è che oggi l’Università del Sannio , come tante altre Università,   non è più in grado di formare l’intellettuale e quindi nuove leadersship, perché è leader colui che è capace di prendere decisioni nell’interesse dell’intera comunità, anche se  impopolari, senza essere condizionato dai sondaggi o dal tornaconto personale, o da vantaggi immediat, piuttosto che guadare in prospettiva per progettare il futuro, pensando alla nuove generazioni.

L’art. 9 della nostra Costituzione recita infatti “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e Il patrimonio storico e artistico della Nazione. Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni.”

La politica purtroppo non è più gestione dell’amministrazione pubblica nell’interesse della comunità, è mero potere esercitato per ottenere vantaggi individuali, di lobby o di corporazioni che contribuiscono a creare consenso anche in maniera illecita, tanto che i fenomeni corruttivi sono diffusi.

L‘alta percentuale che diserta le urne nelle tornate elettorale è la conseguenza del disincanto e della frattura  tra politica  e cittadinanza, perché ormai  la politica più che confronto tra posizioni diverse, ha assunto  una dimensione di imprinta ideologica che crea  conflittualità che si esprime con  toni aspri e offensivi e la comunicazione politica, spesso affidata ai social media, è basata non più a informare ma  alla falsificazione della realtà,  per attrarre consensi  cavalcano il disagio sociale.

Si fa così ricorso alla propaganda, utilizzando tematiche che suscitano paure,  che stimolano  l’immaginazione collettiva, come l’invasione dei migranti,  l’insoddisfazione delle classi medie, la sostituzione etnica  e il negazionismo della scienza, la pericolosità dei vaccini, per attrarre il consenso delle persone meno colte, ma anche  e per la delegittimazione degli istituti di garanzia, della Magistratura,  e imporre la regressione dei diritti, il bavaglio  agli organi di stampa non asserviti al potere, per  stravolgere  la Costituzione democratica per instaurare un regime autocratico.

L’Italia ha il privilegio di aver dato i natali a grandi uomini e ha l’orgoglio del primato a livello mondiale di custodire   beni culturali creati da artisti, pittori, musicisti, scrittori, letterati, scienziati e di uomini e donne cha hanno dato la loro vita o sacrificato la loro libertà per difendere degli ideali in cui credevano, persone che tutto il mondo apprezza e ci invidia.

Stiamo vivendo un momento difficile, abbiamo un quadro politico e sociale molto preoccupante.  L’Itali è un paese dilaniato da conflitti interni, frutto di una frammentazione dei partiti che crea immobilismo che ostacola la risoluzione  dei tanti problemi che da sono sull’agenda, che, se non risolti, aggravano gi   squilibri territoriali, le diseguaglianze sociali, la carenza dei servizi primari come strutture sanitarie e formative,  le  infrastrutture economiche , ormai obsolete, che frenano la ripresa economica e non rendono competitivo il nostro territorio a livello internazionale

Ricordare il passato e non dimenticarlo può aiutarci  a riflettere e a trovare giuste soluzioni a per i problemi del presente. Ma  la classe politica è  sorda e impreparata, arrogante e mediocre, non disponibile al dialogo e al confronto, che rende la nostra  democrazia  immatura.

Con questa classe dirigente non avremmo mai avuto la Resistenza e forse saremmo ancora sudditi di potenze straniere.

Abbiamo faticato per unificare il Paese e oggi con l’Autonomia differenziarla rischiamo di dividerlo                  e di  aumentare le differenze economiche e sociali  che in 150 non siamo riusciti a eliminare.

La Germania in pochi anni ha integrato la sua parte orientale  e noi in 150 anni non siamo riusciti a risolvere la questione meridionale. Perché? Abbiamo una Carta Costituzionale che  il mondo ci invidia, frutto del dialogo e della collaborazione tra forze diverse ma che ancora non siamo riusciti ad attuarla pienamente e oggi la si vuole disarticolare con  il machete, da partedi una maggioranza parlamentare che è minoranza nel Paese.

Quasi quotidianamente una donna viene uccisa in ambito familiare e le donne non hanno ancora gli stessi diritti degli uomini, soprattutto in ambito lavorativo, ma    già cinquemila anni fa, nella civiltà mesopotamica, in particolare con i  sumerico e gli egizi,  la donna avere una posizione sociale elevata tanto  che una donna poteva diventare faraone.

Nelle società del mondo antico gli schiavi venivano rispettati e   Abramo Lincoln nel XVIII secolo abolì la schiavitù in tutti gli Stati americani.  Il poeta latino  Lucrezio, nel “De Rerum Natura” nel I    secolo  affrontava anche il tema del rapporto tra Natura e Uomo  e affermava che  cielo,  mare, terra e aria formavano un pieno in un universo infinito fatto di vuoti e di pieni che sono un insieme armonico tra l’uomo e la tecnologia, in un’azione creatrice che dà vita  alla civiltà ma, mentre gli animali vivono in armonia con la Natura, l’Uomo con la sua avidità non conosce limiti e la Natura lo punisce con tuoni, lampi, tempeste, diremmo oggi con  disastri ambientali  causati  dalla rottura dell’equilibrio tra Natura e Uomo, per  l’avidità dell’Uomo moderno.

Il governo italiano, per risolvere il problema delle migrazioni adotta soluzioni che definisce di deterrenza, ossia ritardi nei soccorsi, trattenimenti in mare e poi pensa anche di  mandarli in vacanza in  Albania, offrendo loro ospitalità in un luogo ameno come i centri di accoglienza, che in realtà sono luoghi di reclusione.

Mentre Lucrezio duemila anni fa ci inviava ad avere rispetto per la Natura, oggi , invece, assistiamo inermi a comportamenti dell’Uomo che alterano  gli equilibri del sistema ambientali,   del  paesaggio, allo sfruttamento  dei  migranti,, a sconsiderate forme di  negazionismo della scienza e del cambiamento climatico, e alla selvaggia cementificazione del territorio e il governo, anziché avviare una seria politica di riqualificazione, concede condoni in sanatoria.

C’è sintonia tra il “popolo” e una parte dei decisori politici nei confronti di interessi particolari, per conservare il consenso, ma anche per deficit di conoscenze e competenze non adeguate al ruolo  assegnato. E non è un caso se l’Italia ha numeri di diplomati e laureati più bassi rispetto agli altri paese sviluppati.

E’ l’Italia ancora un Paese civile?

Gran parte del successo dei partiti di destra in tutto il mondo occidentale viene ottenuto grazie  alla lotta contro le immigrazioni provenienti  dai paesi extracomunitari. E’ un fenomeno che è iniziato con la comparsa dell’Homo sapiens sulla superficie della Terra e da allora è iniziata la “sostituzione etnica”, ossia l’incontro tra popolazioni diverse.

Le popolazioni si sono mosse, pacificamente  o in maniera conflittuale e continueranno a muoversi fino a quando il pianeta sarà abitato e nessuno potrà mai fermare questo processo. Piuttosto bisognerebbe  studiare attentamente questo fenomeno perché è stato alla base del progresso e del formarsi delle diverse civiltà.  L’espulsione degli ugonotti dalla Francia, quella degli Ebrei  dalla Spagna, che si sono diretti in Inghilterra, hanno determinato lo sviluppo di nuove attività artigianali e imprenditoriali nei luoghi di destinazione, contribuendo a rivitalizzare interi quartieri londinesi, che quando sono stati  lasciati liveri,  altri immigrati li hanno occupati, come i musulmani, che li hanno ritrasformati in un quartiere con  funzione turistica e per il tempo libero.

La mescolanza tra gruppi culturali diversi e l’integrazione favoriscono lo scambio di idee, portano nuove conoscenze  che producono innovazione e  nuovo sviluppo. L’Europa oggi è tale perché è stata, anche per condizioni fisiche, aperti agli scambi, luogo di incontro e di scontro ed oggi è tale proprio agli apporti di civiltà e culture diverse. Sono le società chiuse che decadono, come succede per le popolazioni che vivono in modo isolato.

La Cina quando si è aperta all’esterno ha intrapreso una fase di sviluppo considerevole e gli scambi con l’Europa sono stati  un arricchimento reciproco, di trasferimento di idee, di conoscenze , di prodotti .

La  Civiltà occidentale è stata sempre aperta al confronto con altre culture,  ma se   continueremo  a consideriamo il diverso un nemico da combattere come sarà il nostro futuro?

Per modernizzare il Paese sarebbe necessaria una rivoluzione culturale e morale,  ma   siamo in  troppi a preoccuparci della conservazione del nostro benessere oltre le nostre possibilità, inquinando la nostra vita sociale con un consumismo sfrenato, che ci ha fattoi diventare  pigri ed egoisti.

Bisognerebbe che tutti i cittadini leggessero  attentamente la nostra Costituzione, soprattutto quelli che  svolgono funzioni pubbliche o hanno la responsabilità di formare i giovani.  in particolare dovrebbero imparare a memoria un articolo. E’ l’art. 54,  che recita:

“Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne Costituzione e  leggi. I cittadini cui sono affidate  funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge.” Quanti spergiuri ci sono in gito, anche nelle stanze del Potere”

I cittadini dovrebbe chiedere conto ai governanti del  loro agire politico e verificare se rispettano o meno l’articolo 54 della Costituzione e votare di conseguenza, rifiutando il voto di scambio e i favori. Ma questo comportamento comporta la presenza di una cittadinanza matura e consapevole., perché la cultura liberista che si è affermata anche in Italia a partire dagli anni  Ottanta ha incentivato l’individualismo indebolendo il  ruolo dello Stato a vantaggio del privato. Ne è derivata  la perdita di valori collettivi  come il senso civico, il rispetto delle regole, il senso del bene comune e  della Comunità, scivolando nel libero arbitrio.

Con la crisi  dell’Università e di conseguenza dell’intellettuale è venuta meno  la formazione intesa come costruzione di un sentimento di cittadinanza attiva e il dibattito sul discorso  pubblico è stato affidato ai mass media e ai talk-show con la politica che rinuncia alla riflessione per trasformarsi in spettacolo e marketing, un prodotto da vendere con la propaganda, una tecnica di comunicazione usata come sonnifero per addormentare le menti.

Dagli anni Ottanta, l’Università ha perso progressivamente  il prestigio di un tempo, si è liceizzata a seguito di normative che hanno burocratizzata la gestione, facendo prevalere le funzioni amministrative sulla ricerca e sulla didattica. Le norme sul reclutamento sono diventate meno rigorose e  i concorsi prima  nazionali, sono stati affidati alle singole sedi. Questo processo è stato accompagnato dalla legge sull’autonomia universitaria, che ha aperto spazi alla    discrezionalità delle scelte non ben ponderate, ma piuttosto finalizzate a soddisfare gli interessi dei docenti piuttosto che degli studenti, finendo per non essere più in grado di formare gli intellettuali.

Nel gennaio del 2023 Giorgio Caravale ha pubblicato un inyereddsnte libro intitolato  Senza Intellettuali. Politica e cultura in Italia negli ultimi trent’anni.

La figura dell’intellettuale come la intendiamo oggi nasce nel  1898, quando venne pubblicato su L’Aurore il Manifese des intellectuels firmato da alcuni scrittori su iniziativa di Zola a difesa dell’ufficiale  Alfred Dreyfus , accusato d spionaggio e condannato con un discutibile processo.

L’intellettuale è colui che usa l’intelletto per svolgere l’attività di cui è capace , cioè leggere la realtà senza condizionamenti ideologici e politici. E’ stata sempre  una figura molto prestigiosa, rispettata e ascoltata, apprezzata, autorevole, un faro che ti illumina e ti indica  la strada da seguire. Inizialmente,  in un periodo di diffuso analfabetismo, era un tramite per leggere la realtà, interpretarla e spigarla alle masse.  Quando sono nati i partiti con le loro ideologie, l’intellettuale era il collegamento tra politica e realtà per spiegare il nesso tra realtà e ideologia.  E’ l’intellettuale organico di cui Gramsci, che, quando la politica ha iniziato il suo declino, ha assunto la figura di censore, di critica morale della politica, diventando soggetto pubblico per un governo degli onesti.

Per Gramsci l’intellettuale organico, era lo stratega  del consenso su un’idea, ossia  un pifferaio.

In realtà un ’intellettuale  dovrebbe illustrare la realtà come la vede e la intende senza condizionamenti, in  maniera responsabile per essere una guida morale per diffondere   l’etica de dovere e della responsabilità,  il senso del diritto e diffondere l’affermazione del dialogo come   stimolo per la ricerca della verità. Ben diverso, pertanto, è l’intellettuale al servizio della politica, diventandone il megafono.

Esistono oggi gli intellettuali?

Il libro  di Giorgio Caravale  analizza le cause  della frattura che si è verificata tra intellettuali  e politica all’inizio degli anni Novanta. Un rapporto compatto e organizzato si è tramutato pe entrambi le parti  un rapporto prima compatto e organizzato, poi  diventato distaccato e sprezzante, con la politica che ha finito di avvalersi dell’autorevolezza degli intellettuali.

Per lungo tempo l’intellettuale o era completamente distaccato dalla politica o ne  rappresentava la voce critica. Negli anni Settanta la politica cercava l’intellettuale per rappresentare in Parlamento la Cultura e le competenze qualificate, intellettuali che quando nasce la questione morale assumono un atteggiamento critico e moralistico, diventando soggetto politico per un governo degli onesti.

E’ in questo momento che l’intellettuale si allontana  dalla politica, e trova sponda in Berlinguer e  nel quotidiano La Repubblica e nasce in Italia l’antipolitica inyerpreata dalla Lega e poi da Grillo, che fa nascere il populismo.

Poiché i politici non accettano la critica, anche la politica si distacca dall’intellettuale, che lo attacca cercando di delegittimarlo. Ricorrenti  le invettive di Craxi contro i giornalisti.

Ma è con gli anni Novanta che la frattura diventa definitiva. La scesa di Berlusconi e la sua propaganda politica si appoggia a due pilastri, cavalcando l’antipolitica e l’anticomunismo. Ma Berlusconi è proprietario di tre reti televisive e altri mezzi di comunicazione, come a carta stampata e anche una rete di collaboratori finanziari diffusi in tutta Italia e quindi non ha bisogno di intellettuali o di mediatori per diffondere il suo messaggio, tutt’al più ha bisogno di tecnici, che non devono pensare ma eseguire.

La politica diventa merce da vendere, si fanno promesse, che non potranno essere mantenute,  si assicurano un nuovo miracolo economico, mille nuovi posti di lavoro, la riduzione delle tasse, tutta propaganda perché la fase della politica che governa pensando al futuro è finita e per questo motivo non ha più  bisogno dell’intellettuale, ora la politica pensa solo al presente, diventa gestione del quotidiano e cerca il consenso per resistere ed esistere.

E l’intellettuale? Anche l’intellettuale entra in crisi perché ha perso il rapporto con la realtà, non pensa più al mondo, si è rinchiuso nel suo mondo. E poi anche gli altri non hanno bisogno dell’intellettuale perché ognuno pensa da intellettuale, di essere in grado di pensare da sollo

E l’Università? Anche l’Università è in crisi, non ha più l’intellettuale che illumina il politico, i partiti hanno perso il contatto con la realtà, comunicano con le chat, con la televisione, ma non hanno più il contatto con il territorio, non usa più neanche i tecnici, chiama al suo fianco amici e parenti perché non si fida più di nessuno, teme il complotto. La Politica ha dimenticato la Storia, ci sono addirittura partiti senza storia e partiti che mistificano la storia per dare senso al loro presente.

Anche a livello globale c’è disordine, tutti sono alla ricerca di un nuovo ordine che sembra debba essere basato sulla forza e non sul diritto, sull’espansionismo del più forte e non sulla cooperazione, poiché non si riconoscono più  gli  organismi internazionale, perché hanno perso la loro funzione di mediazione e di risoluzione dei conflitti.

Il mondo oggi somiglia alla Torre di Babele, dove i membri dell’Internazionale sovranista si affannano a salire per arrivare in Cielo credendosi unti dal Signore. Sembrano uniti, ma è sola apparenza perché ogni sovranista vuole essere sovrano del proprio feudo e ala fine non si capiscono erché ognuno parla una “lingua diversa:

Sono incolti e o capiscono che il potere oggi è nelle mani dei grandi finanzieri globali che dominano la politica e la cultura e impongono anche la lingua. Ed è la lingua del più forte, ii  latino nell’età dell’Impero romano ed è oggi l’inglese, diffuso in tutto il mondo dall’Impero britannico.

Ma ci sono alcunosovranisti che non si accontentano dell’estensione del proprio feudo vogliono anche quello degli altri e alla fine giocano alla guerra.

Anche l’Università si è chiusa in se stessa, ha perso il prestigio di un tempo, e diventata autoreferenziale, il luogo della mediocrità, pensa a coltivare il suo piccolo giardinetto, si settorializza, ricerca sul micro, indaga sul particolare, non è più capace di progettare il futuro. E per non deprimersi che fa? Diventa conflittuale, vuole imporre il suo piccolo pensiero e l’Università diventa il non luogo, meglio,  il luogo dei conflitti, abbandona il dialogo, il confronto,  la sintesi tipica dell’Università dei Baroni, per diventare autoritaria senza autorevolezza, aggressiva, incivil

E allora dove stiamo andando? Verso il baratro-

Per salvarci  è necessario il risveglio dei volenterosi, il ritorno dell’intellettuale laico, per  stimolare la partecipazione, la discussione, il confronto sulle idee, ritornando a progettare il futuro, a pensare al mondo, allontanando i pifferai e i   capibastone.

Siamo ormai in una barca che affonda ogni giorno di più, si è perso ormai i decoro, sono sempre più diffusi comportamenti incivili in tutti i settori della Società.

Corrado Augias, in una sua trasmissione televisiva ha chiesto a Michele Serra  come definirebbe sinteticamente questo nostro mondo. La risposta è stata lapidaria: Un mondo di … melma (traduzione del curatore). Io aggiungerei, e molti, purtroppo, ci sguazzano bene!

E’ tempo che ognuno si metta a remare per portare la barca in un porto sicuro, prima che affondi definitivamente. Bisogna però prima tracciare  la giusta rotta, perché gli scenari globali stanno mutando rapidamente. Il vero potere non è più nelle mani dei politici e degli stati, ma in quelle dei grandi gruppi tecno-economico-finanziari che agiscono su scala globale, mentre la politica opera a livello di stato nazionale. Riescono a interloquire con i poter globali soltanto le strutture politiche multipolari o federate, come USA, Cina, Russia–Turchia, Paesi arabi. Tutte macro-aree in competizione per il dominio globale.

Un’Europa disunita non può avere nessun altro ruolo se non quello di essere alla mercé dei grandi decisori e pensare di giocare ruoli solitari è soltanto un pensiero debole.

L’arguto Matteo Renzi ha detto che a tavola staranno seduti USA, Russia e Cina perché l’Europa  +nel menù.

Di conseguenza, anche la Cultura e la formazione devono misurarsi con la globalità ed essere pronte a fornire   le nuove competenze e conoscenze.

Nell’Età del Caos l’Italia sembra aver perso la bussola, è entrata in un labirinto dal quale non sa come uscirne. Ironia della sorte, nel peggior momento politico della Storia repubblicana, abbiamo una classe politica che ha dimenticato o non  conosce la Storia e non sa dove andare. Per fortuna abbiamo il miglior Presidente della Repubblica, molto amato dagli italiani. Mi sembra un faro  posto su un alto colle, sull’orlo del precipizio che, con il suo lampeggiare voglia indicare ai naviganti nella tempesta la direzione giusta per un porto sicuro, un faro che somiglia alla sirena che suona per avvertire i cittadini della tempesta in arrivo.

Spero che i cittadini siano consapevoli di questo difficile momento e sappiano essere responsabili.

Parole chiave: Migrazioni, Civiltà, Squilibri, Geografia, Geopolitica, Università, Intellettuale

 

 

 

 

 

Bibliografia

 

La ALBINIA, A., Imperi dell’Indo, Adelphi,2013

AMES, G. J., L’età delle scoperte geopolitiche 1500-1700, Il Mulino, 2011

Atlante storico fondamentale, De Agostini, Novara, 2003 (per Convegno UNESCO)

Atlante storico mondiale, De Agostini, Novara, 1987

AA,VV,  Berlusconi,. I numeri, i protagonisti, i nodi cruciali dell’eredità del Cavaliere, Il Sole 24 Ore, 2023

AA.VV, Mesopotamia. La culla di tutte le civiltà, , Sprea, 2024

ARMERO, M. Le montagne della patria, Einaudi, 2013

AVAGLIANO, M., PALMIERI, M.,  Italiani d’America, Il Mulino, 2024

AZZARA, C., Le invasioni barbariche, Ili Mulino, 2012

BAHN, P., Grande Atlante delle civiltà, Giunti, 2021

BAEBUJAM, G., L’alba della storia. Una rivoluzione iniziata diecimila anni fa, Laterza, 2018

BELL,D:A, Carisma e potere, Viella,2023

BARATTA, P., Dal Mezzogiorno, Il Mulino, 2024

BRAUDEL,  F., Mediterraneo, Bompiani,2017

BONNET, C., La  civiltà dei Fenici,  Carocci, 2020

BEN   F., Dalla scoperta dell’America alla Restaurazione, Laterza, 2005

BRIGS, A., La storia dell’umanità, National Geographic,  2023

BEUNO GUERR, G., Benito. Storia di un italiano, Rizzoli, 2024

BEVOR, A., La  seconda guerra mondiale. I sei anni che hanno cambiato la storia, BUR, 2025

BLOM, P., La grande frattura. L’Europa  tra le due guerre (1918.1938),Feltrinelli, 2020

BREVINI, F., Abbiamo ancora bisogno degli intellettuali?  La crisi dell’autorità culturale, Cortina, 2021

BUSSOLINO,C., Cambogia. Angkor e l’Asia dei tempi perduti,  Polaris, 2015

CANALE CANNA, F., Storia del mondo. Dall’anno 1000 ai nostri giorni, Laterza, 2019

CANFORA, L., Il fascismo non è mai morto, Bompiani, 2022

CARAVALE, G., Senza intellettuali. Politica e cultura in Italia egli ultimi trent’anni, Laterza, 2024

CAROL, R., Storia del Giappone, Laterza,2017

CASSESE, S., Governare gli italiani. Storia dello Stato, Il Mulino, 2023

CAVAZZA, C., Nazioni, nazionalismo e folklore. Italia e Germania dall’Ottocento a oggi, Einaudi, 2024

CAZZULLO, A., Quando eravamo i padroni del mondo. Roma: l’Impero, Sport, 2023

CAZZULLO, A, Una giornata particolare, Solferino, 2024

CAZZULLO, A:,  CRAXI. L’ultimo vero politico, Rizzoli, 2025

CECCARELLI, G., Atlante delle migrazioni. Dalle origini dell’uomo alle nuove pandemie Edizioni Clichy, 2020

CILIA, L., Ferdinando Galiano e l’origine del dibattito geografico nel Settecento napoletano, tesi di dottorato, Università di Catania, 2011-12

COLUCCI, M., Storia dell0innigrazione straniera in Italia dal 1945 a oggi, Carocci Editore, 2018

COENA PELLEGRINI, G. (a cura di), La ricerca geografica in Italia 1960-1980, Ask Edizioni, 1980

CLOYZ, G., La civiltà Egea, Einaudi,1975

DEAGLIO,, M. (a cura di), Il mondo ha perso la bussola, Guerini Editore, 2024

DEAGLIO, M: & al., La resa dei conti, Guerini  Editore  2008

DIACONO, P., Storia dei Longobardi, Einaudi, 2017

DE HAAS, H., Migrazioni, Einaudi, 2024

ECO, U. (a cura di) L’Antichità. Le civiltà del Vicino Oriente,, EncycloMedia,  2018 (8 volumi)

EVERT, A., Atene. Nascita di una gande civiltà, Hoepli, 2017

FABBRI, D., Geopolitica umana.  Capire il mondo dalle Civiltà antiche alle potenze odierne, Gribaudi, 2024

FELICE, E., Perché il Sud è rimasto indietro, Il Mulino,2016

FELICE,E.,  Divari regionali e intervento pubblico, Il Mulino, 2007

FERRONE, V., Il mondo dell’Illuminismo. Storia di una rivoluzione culturale,  Einaudi, 2019

FORTE, F, Storia dello sviluppo economico e industriale italiano nel 900, Università degli Studi  “Mediterranea” (322 pag. Unrc.it).

FORTE, F., L’economia italiana dal Risorgimento ad oggi1861-2011, Cantagalli, 2012

FREDERICKSYARR,S., L’Illuminismo perduto. L’età d’oro dell’Asia centrale dalla conquista araba a Tamerlano, Einaudi,2024

GENTILI, M.,  Storia del Fascismo, Laterza, 2019

GERNET, J., Il mondo cinese. Dalle prime civiltà alla Repubblica popolare, Res Gestae, 2024

GIORDA, C., Geografia e antropocene. Uomo, ambiente, educazione, Carocci, 2017

GODART, L., Popoli dell’Egeo. La civiltà del Palazzo, Silvana Edizioni, 2002

GIUSFREDI, F., Il Vicino Oriente Antico, Carocci, 2020

GRANET, M., La civiltà cinese antica, Ghibli, 2024

GRATALOUP, C., Atlante storico mondiale, L’Ippocampo, 2024

HANS, K.,  Profeti e popoli, Torino 1948

INGUE, D., Il Vicino Oriente Antico, Adelphi, 2016

JONES,E. S., Il miracolo economico, Il Mulino, 1984

JOHNSTON, A., La civiltà greca dalle origini all’apogeo, N Newton Compton, 2010

LEVEQUE,  P., La civiltà greca, Einaudi,1992

LIVI BACCI, , N., In Cammino. Breve storia dell’emigrazione, il Mulino, 2019

LUCREZTO, De rerum natura, Einaudi, 2023

LUZZANA CARACI, I., Cristoforo Colombo vero e falso, SAGEP, 1989

LUZZANA CARACI, I., Al di là di Altrove. Storia delle esplorazioni geografiche, Mursia, 2024

MAEYER,E.,  La mappa delle culture, ROI Edizioni, 2021

MANZI,G., Il grande racconto dell’evoluzione umana, Il Mulino, 2018

MINDS,H., The Book. Manuale per la ricostruzione della civiltà, Feltrinelli, 2023

MAZZARINO, S., L’Impero romano, Laterza, 1924

MAZZEI, F., Nazioni e nazionalismi, I Libri di Viella 2015

MOLA, E., Dentro il grande gioco. Orientarsi nel grande gioco degli equilibri internazionali, Rizzoli, 2025

MORISON, S E., Cristoforo Colombo Ammiraglio del mare Oceano, Il Mulino, 1992

MOSSE, C., Pericle. L’inventore della democrazia, Laterza,2018

MUSTI, D., Storia greca. Linee di sviluppo dall’età micenea all’età romana, Laterza, 2006

OLIVA, G. ,45 milioni di antifascisti. Il voltafaccia do una nazione che non ha fatto i conti con il Ventennio, Mondadori, 2025

ODEL, F., Storia misura del mondo, Il Mulino, 2015

OSTERHAMMEL, J., Storia del mondo. La prime civiltà, Einaudi, 2018

OVERYE, R.J.,  ,Sangue e rovine. La grande guerra imperiale, 1931-1945, Einaudi, 2022

PASTORE, G., America precolombiana, En.Gi Edizioni, 2016,

PIETSCHMANN, R., La storia dei Fenici, Edizioni Techne, 2017

RIGONI STERN,M., Tra due guerre, Einaudi, 2014

PICO DELLAMIRANOLA, La dignità dell’Uomo, Einaudi, 2021

PEEUARDONI SAGALA, M., Storia della Scienza dal Rinascimento al XX secolo, Il Mulino, 2024

Quadri Curzio, A., FORTIS, M. (a cura di, ), L’economia reale nel Mezzogiorno, Il Mulino, 2014

RIGONI STERN,M., Tra due guerre, Einaudi, 2014

REMARQUE, E.M., Niente di uovo sul fronte occidentale, Neri Pozza, 2016

ROMANELLI, R., Ottocento. Lezioni di storia contemporanea, Il Mulino, 2021

ROMERO, F., Storia globale dell’età contemporanea. Dal dominio occidentale all’insicurezza multipolare,, Carocci, 2025

SADUN BORDONI, Guerra e Natura umana. Le radici del disordine mondiale, Il Mulino, 2025

SCUEATI, A.., Gli ultimi giorni del Fascismo, Bompiani, 2022

STAMMARD, D.E., Olocausto americano, Bollati Boringhieri, 2021

STEINER, R., La storia dell’umanità e le civiltà del passato, Editrice Antroposofica, 2009

TAVIANI,  E. (a cura di), Le historie della vita e dei fatti dell’Ammiraglio don Cristoforo Colombo di Ferdinando Colombo, Istituto Poligrafico Zecca dello Stato, Roma, 1990

TAKESHITA, T., Il Giappone e la sua civiltà, CLUEB, 2012

THPHMPSOM, JE., La civiltà maya, Einaudi, 2024

TOMANOV, T., La conquista dell’America. Il l problema dell’altro, Einaudi, 1984

TRAURMANN:R:, La civiltà dell’India, Il Mulino,2014

TRAVERSO, E., Rivoluzione. 1789-1989:un’altra storia, Feltrinelli, 2023

UBALDI, P., La nuova civiltà del terzo millennio, Edizioni Mediterranee, 1988

VAILLANT, G.C., La civiltà Azteca,Einaudi,1992

VERNANT, G. P., Le origini del pensiero greco, Feltrinelli, 2018

VIESTI,G., I divari territoriali in Italia, Carocci, 2024

VILLAR, F., Gli Indeuropei e l’origine dell’Europa, Il Mulino,2008

WILSON, E.O., Le origini profonde delle società umane, Cortina, 2020

WILSON, P.H., Il Sacro romano impero, Il Saggiatore, 2017

VOGEL,S.., K., Cina. Una storia millenaria, Einaudi, 2014

ZACARIA, F., Le storie delle rivoluzioni. Progresso e rabbia da 1600 ai nostri giorni, Mondadori, 2025

ZAGHI, C., s