di Guido Lucarno, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano
1. La ferrovia: da elemento economico a fattore geografico-politico dello Stato
Le ferrovie sono uno dei prodotti più significativi ed esaltanti della rivoluzione industriale. Il loro sviluppo è stato possibile grazie all’aumentata disponibilità di prodotti siderurgici, necessari per la realizzazione dei binari e dei veicoli, ma anche alla costituzione di ingenti capitali, richiesti per la costruzione di infrastrutture così complesse. Inoltre, per capacità di carico, i primi treni superavano di un ordine di grandezza il vettore stradale e si proponevano come mezzo complementare alla nave per l’inoltro dei trasporti in ambito terrestre. Infatti, le prime linee ferroviarie nacquero soprattutto per mettere in comunicazione i principali porti marittimi con il loro retroterra industriale: ne fu esempio emblematico la prima linea ferroviaria del mondo, la Stockton-Darlington, inaugurata nel Regno Unito nel 1825, realizzata per avviare al trasporto marittimo il carbone estratto da una miniera dell’interno. Un ventennio dopo, anche in Italia la politica delle costruzioni ferroviarie assecondava soprattutto questo ruolo, con le linee Livorno-Firenze e Genova-Torino, ma anche con l’asse ferroviario padano, progettato già dall’Impero austro-ungarico tra i porti del mare Adriatico e Milano.
All’inizio le ferrovie erano un semplice mezzo di comunicazione funzionale allo sviluppo economico del Paese (Sellari, 2011, pp. 100-102). Con questo compito esse rappresentano ancora oggi uno dei cardini del “sistema di circolazione”, intendendo con il termine qualsiasi “forma di trasporto e di comunicazione” che, garantendo il funzionamento dello Stato, ne costituisce una delle cinque caratteristiche geografiche (Glassner, 2002, pp. 56-57). Molto precocemente rivelarono anche la loro valenza strategica in campo militare, per la possibilità di trasportare velocemente al fronte truppe e materiali: in Italia, ad esempio, le ferrovie giocarono un ruolo importante già nella Seconda guerra di indipendenza (1859), velocizzando l’afflusso in Piemonte delle truppe francesi. In Prussia, sotto il comando del feldmaresciallo Moltke, le ferrovie erano state subordinate al diretto controllo delle autorità militari. In Italia, l’impiego di personale militarizzato era già presente nelle ferrovie del Regno delle Due Sicilie fin dal 1844, mentre nel Regno d’Italia reparti del Genio ferrovieri furono costituiti nel 1895 e diedero il loro contributo operativo in occasione delle due guerre mondiali1, durante le quali anche i dipendenti civili furono soggetti a militarizzazione e il servizio fu messo sotto la diretta amministrazione delle forze armate2.
Proprio per questa valenza strategica, l’opportunità di realizzare collegamenti internazionali fu percepita dai governi solo in un’epoca successiva e con una certa prudenza. La connessione tra reti di diversa nazionalità poteva essere un’opportunità di sviluppo economico a condizione che i rapporti politici tra i Paesi fossero amichevoli, ma poteva costituire una minaccia, in caso di guerra, perché avrebbe aperto il territorio di un Paese ad una più rapida invasione dei convogli militari. La diffidenza e la necessità di impedire l’utilizzo della propria rete da parte del nemico vide con favore l’adozione di scartamenti diversi da parte delle amministrazioni ferroviarie europee3. Benché oggi oltre la metà della rete ferroviaria mondiale, tra cui quella italiana, abbia adottato il cosiddetto “scartamento normale” di 1.435 mm, in Europa è ancora presente lo scartamento “russo” (1.524 mm), in uso in tutti i territori dell’ex impero zarista, compresa l’odierna Finlandia, mentre scartamenti maggiorati sono presenti in Irlanda (Ulster compreso, 1.600 mm) e nella Penisola iberica (1.668 mm).
Nonostante la diffidenza e l’adozione di particolari precauzioni difensive, la seconda metà dell’Ottocento vide svilupparsi in Europa una fitta rete di connessioni internazionali destinate a dare un poderoso sviluppo economico ai territori attraversati e ad aumentare la mobilità delle persone. Il simbolo di questa epoca, favorita da un periodo di relativa pace e di cooperazione tecnologica tra gli Stati è forse l’Orient Express, prestigioso treno internazionale che collegava la Gran Bretagna ad Istanbul e, da qui, anche la Siria, con la possibilità di raggiungere la Mesopotamia. Tuttavia, se spesso le linee ferroviarie univano Stati, politiche e culture, altrove erano costruite prevedendo la loro utilizzazione bellica. È il caso della Merano-Mals4 (1906) e della Sondrio-Tirano (1902), che dal 1915 al 1918 avrebbero contribuito strategicamente al rifornimento delle truppe schierate nella Prima guerra mondiale sul fronte dell’Adamello (Spinelli, 1936, pp. 63-66). In altri tempi e con un altro spirito di collaborazione, il loro collegamento con un eventuale tunnel sotto il passo dello Stelvio ed una diramazione verso la valle dell’Inn attraverso il Passo Resia, avrebbero offerto una direttrice alternativa al Brennero tra il cuore industriale lombardo e quello austro-bavarese, che oggi assumerebbe anche un rilevante interesse turistico.
2. Scartamento e interoperabilità: un fattore di divisione ancora attuale
Se per le reti insulari, come quella irlandese, la differenza di scartamento non comporta grossi impedimenti, dato che il tratto di mare che le separa dal continente impone comunque il trasbordo delle merci e delle persone, il passaggio tra due scartamenti diversi in corrispondenza di un confine terrestre può costituire un notevole impedimento alla interoperabilità ferroviaria con conseguenti problemi tecnici e allungamenti dei tempi di percorrenza.
Fin dagli anni Ottanta le Ferrovie spagnole (RENFE, Red Nacional de los Ferrocarriles Españoles) hanno cercato di ovviare a questo inconveniente utilizzando, per i collegamenti veloci con gli altri Paesi europei, degli elettrotreni dotati di carrelli a scartamento variabile: giunti nella stazione di confine, i veicoli vengono istradati a bassa velocità su un tratto di binario in cui la variazione di scartamento avviene gradualmente e le ruote si sganciano dal proprio asse adattandosi alla nuova configurazione, prima di venire nuovamente bloccate sull’asse stesso, trovandosi così nelle condizioni di percorrere a piena velocità i binari della rete corrispondente. L’operazione dura pochi minuti e non necessita del trasbordo dei viaggiatori, ma richiede materiale rotabile particolare e costosi sistemi di controllo e di sicurezza sulla configurazione dei veicoli, sulla stabilità degli assi e sui sistemi frenanti e di trazione che è impensabile applicare ai veicoli ordinari, in particolare ai carri merci. Attualmente, la politica delle Ferrovie spagnole è orientata ad una futura parziale riconversione verso lo scartamento standard, in quanto le linee ad alta velocità di nuova costruzione collegate con la rete francese vengono realizzate con questo sistema, che al momento rimane quindi distinto e non interoperabile con la rete storica.
Altrove l’incompatibilità tra reti dovuta alla differenza di scartamento è stata superata in altri modi e per altri settori di mercato. Fin dalla prima metà degli anni Ottanta del secolo scorso, la società finno-tedesca Frachtkontor Finland – Railship Services, che gestisce un proprio parco di veicoli merci attrezzato per il trasporto di colli di medie dimensioni e del settore automotive, attivò, tra gli scali dell’Europa centrale e la Finlandia, un originale sistema di trasporto combinato. I carri, giunti al porto tedesco di Travemünde, sul Baltico, vengono imbarcati su navi della stessa società e trasbordati fino a Hanko, in Finlandia. Allo sbarco, uno speciale dispositivo solleva il piano di carico e consente la sostituzione dei carrelli a scartamento standard con altri a scartamento russo (Pesola, 1994). A questo punto i trasporti possono essere inoltrati non solo sulla rete finnica (VR, Suomen Valtion Rautatiet), ma anche su quelle di tutti gli Stati della rete ex sovietica, consentendo ipoteticamente di collegare l’Europa con l’estremo oriente russo, in diretta concorrenza con il vettore navale sulle relazioni tra i porti atlantici e il Pacifico occidentale (Lucarno, 1996).
Dove invece la Cortina di Ferro ha impedito più a lungo lo sviluppo applicativo di queste tecniche di trasporto, i progressi per l’interoperabilità tra le reti sono stati più lenti. Il conflitto tra Russia e Ucraina e la necessità di sbloccare l’esportazione via terra verso la UE (e da qui oltre oceano) del grano ucraino, stante l’inagibilità dei porti sul Mar Nero, ha drammaticamente messo in evidenza i problemi logistici derivanti dalle differenze di scartamento. Le possibili alternative sono un oneroso trasbordo del carico al confine tra Ucraina e Polonia (paese sede dei porti di imbarco), oppure l’inoltro dei convogli fino ai porti dei Paesi baltici (le cui reti ferroviarie hanno conservato lo scartamento russo), soluzione che tuttavia implica l’attraversamento della Bielorussia, Paese ostile ancorché non direttamente coinvolto nel conflitto.
3. Ferrovie come fattore centripeto (o centrifugo?) all’interno di uno Stato
Sul ruolo delle reti di trasporto, e in particolare delle ferrovie, come fattore di coesione di un Stato, l’esempio più notevole è offerto dalla Transiberiana, realizzata negli anni a cavallo del 1900. Essa permetteva un più rapido spostamento tra i due estremi del grande Impero russo, riducendone i tempi da 4 mesi ad alcuni giorni, ma soprattutto un più tempestivo intervento delle forze armate in caso di crisi bellica. I risultati in termini di sviluppo economico e demografico della Siberia furono enormi. Diverso e con alterne fortune fu invece il ruolo della linea ad essa parallela, la Bajkal-Amur, il cui completamento richiese oltre un sessantennio, realizzata più a nord della Transiberiana. Il suo discutibile ruolo economico lascia pensare che il progetto fosse stato dettato principalmente da due motivi politico-militari, più simbolici che sostanziali: il primo era il coinvolgimento emotivo e la mobilitazione della popolazione in una grande opera “patriottica”, importante per la propaganda interna a sostegno del governo sovietico, in particolare dopo che, al termine della Seconda guerra mondiale, veniva meno la disposizione al sacrificio incondizionato raggiunta durante la guerra di fronte al pericolo dell’invasione nazista. Il secondo era la creazione di una linea di riserva, più lontano dal confine con la Cina, meno vulnerabile in caso di attacco militare da parte di un Paese che nella seconda metà del XX secolo si stava proponendo come un concorrente pericoloso nel percorso di egemonizzazione dell’area asiatica centrale (Sansone, 1977).
Ma forse in nessun Paese come la Confederazione Elvetica il ruolo di collegamento tra i vari Cantoni, e quindi di fattore centripeto nell’esistenza dello Stato, risulta altrettanto evidente e meglio perseguito. La Svizzera possiede circa 5.100 km di linee ferroviarie su una superficie territoriale di 41.285 kmq, pari ad una densità di 0,12 km di linea per kmq (circa il doppio di quella italiana). Tale sviluppo è ancora più considerevole se si tiene conto della conformazione orografica del Paese, con la presenza di alte catene alpine che separano vallate e Cantoni. Ma forse fu proprio a causa di questa condizione che la Confederazione fin dall’Ottocento attuò grandi investimenti per garantire efficaci collegamenti ferroviari non solo con l’estero, ma soprattutto al proprio interno, percorribili anche durante la stagione invernale, quando la maggior parte delle strade alpine erano chiuse a causa delle precipitazioni nevose.
È del 1882 l’apertura del traforo del San Gottardo, destinato a collegare senza limitazioni stagionali al resto dello Stato il Canton Ticino, ma soprattutto le aree industriali della Pianura Padana ed i porti della Penisola: oggi questa direttrice, sulla quale nel 2016 è stato aperto un traforo di base tra Bodio, nel Canton Ticino, ed Erstfeld, nel Canton Uri, supera la catena alpina alla modesta quota di 547 m anziché di 1.151 m tra Airolo e Göschenen, consentendo un considerevole risparmio nei tempi di percorrenza tra Milano e Zurigo e di energia per la trazione dei convogli. Nel 1905 fu infine aperto il traforo del Sempione, strategica alternativa al San Gottardo per collegare all’Italia e al Canton Ticino il Vallese ed il Ginevrino, tutta la Francia centro-occidentale e, attraverso il traforo del Lötschberg, aperto nel 1913, anche l’altopiano bernese.
Ma sono soprattutto le brevi linee interne di montagna, spesso realizzate a scartamento ridotto per consentire il superamento di tratti particolarmente tortuosi ed acclivi, a testimoniare l’attenzione verso i collegamenti interni, fattore di miglioramento del senso di appartenenza delle sue pluriculturali popolazioni ad una nazione che, nata nel 1291 con l’alleanza difensiva del primo nucleo di tre Cantoni (Uri, Schwiz ed Unterwalden), per certi versi può essere considerata la più antica d’Europa. L’esempio forse più notevole è quello dei Grigioni/Graubunden, Cantone trilingue in cui la presenza di alte catene displuviali separa il territorio in tre bacini imbriferi afferenti al Mar Nero, al Mare Adriatico e al Mare del Nord. La Rhätische Bahn (RhB), è una rete cantonale a scartamento metrico dello sviluppo di 384 km che unisce alla capitale Coira le valli di Poschiavo (a Tirano essa si collega con la linea da Milano delle Ferrovie dello Stato), l’Engadina, la Valle dell’Albula, le regioni Surselva, Viamala, Prettigovia e Plessur, superando il Passo del Bernina alla quota di 2253 m, punto più elevato in Europa raggiunto da una ferrovia ad aderenza naturale. La realizzazione della rete iniziò nel 1889 con lo scopo principale di assicurare i collegamenti invernali di valli periferiche, talvolta più facilmente raggiungibili dai Paesi confinanti, garantendone così anche la difendibilità militare (Lucarno, 1994). In tempi più recenti, venute meno le funzioni militari con il poderoso sviluppo della rete stradale, la RhB ha assunto un’importante valenza turistica, non solo nel ruolo di vettore, ma anche di attrattore, e nel 2008 è stata riconosciuta dall’UNESCO tra il Patrimonio dell’Umanità5.
Un altro esempio poco conosciuto, e forse ormai dimenticato, di linea costruita per garantire il collegamento allo Stato di appartenenza di territori periferici è la ferrovia Cuneo-Ventimiglia, ideata in epoca preunitaria, progettata fin dal 1879, ma aperta all’esercizio solo nel 1928, che per alcuni anni rappresentò il collegamento più veloce tra la Svizzera (via Sempione), Torino e la Costa Azzurra. I motivi di questa lunga gestazione sono da ricercare non solo nelle difficoltà tecniche di realizzazione del tracciato, che supera il Colle di Tenda, tra Limone Piemonte e Vievola, con una lunga galleria di 8,1 km alla quota di massima di 1032 m e raggiunge il livello del mare a Ventimiglia con un tracciato ripido e tortuoso che fa ricorso anche a gallerie elicoidali e arditi viadotti per superare le notevoli pendenze. Nel 1860, infatti, la contea di Nizza fu ceduta a Napoleone III come contropartita al riconoscimento del nascente Regno d’Italia, e la Val Roia, dal Colle di Tenda al mare, fu divisa politicamente in tre tratti, dei quali quello centrale divenne francese. Il collegamento tra Piemonte ed estremo Ponente ligure si trovava così a dover attraversare un tratto di uno Stato estero, con cui il Governo italiano dovette accordarsi per la ripartizione degli oneri costruttivi e di gestione del traffico.
Verso la fine della Seconda guerra mondiale l’infrastruttura fu completamente distrutta e venne resa inutilizzabile dalle truppe tedesche in ritirata; dopo il Trattato di Pace, firmato a Parigi il 10 febbraio 1947, ulteriori tratti della Val Roia dovettero essere ceduti alla Francia, che tuttavia non intraprese iniziative per il ripristino della ferrovia. Fu solo negli anni Sessanta che, in seguito alle pressioni della Camera di Commercio di Cuneo, fu riproposta la riapertura della linea tra Limone e Ventimiglia, ritenendo che avesse ancora potenzialità di sviluppo inespresse per le località del Cuneese (Fortini, 1979, pp. 2-7). Permaneva tuttavia il disinteresse del Governo di Parigi, preoccupato che la linea, ormai quasi tutta in territorio francese ma direttamente connessa all’Italia, potesse riallacciare i legami con l’ex madrepatria delle popolazioni della valle, troppo recentemente annesse con un discutibile colpo di mano in sede di Trattato di Pace, sancito da un referendum-farsa, divenendo un fattore centrifugo per la coesione del territorio all’interno dello Stato.
Alla fine fu raggiunto un accordo per la ricostruzione, con oneri quasi totalmente a carico dell’Italia. Ne scaturì un originale modello di gestione della linea, con la presenza di un “dirigente centrale” addetto al controllo della circolazione dei treni, dipendente delle ferrovie francesi ma stipendiato da quelle italiane, il quale applica su tutta la linea il Regolamento Circolazione Treni italiano in uso presso le Ferrovie dello Stato (disposizione ufficiale emanata dal Ministero dei Trasporti) e nei rapporti con il personale dei convogli è tenuto rigorosamente all’uso della lingua italiana, indipendentemente dalla posizione del treno rispetto al confine politico. Tra Limone e Ventimiglia ai viaggiatori non è richiesto un documento valido per l’espatrio a condizione che il loro viaggio non abbia origine o termine in una stazione francese intermedia. Si tratta di una curiosità che può essere considerata una sorta di limitazione di sovranità in quanto la legge applicata in caso di inconvenienti nell’esercizio ferroviario è quella italiana, anche sul territorio francese.
A margine della vicenda, annoso strascico della cessione alla Francia di lembi di territorio italiano in seguito alla sconfitta nella Seconda guerra mondiale, ricordiamo soltanto che la ferrovia ha oggi perso ogni interesse strategico ed economico per l’Italia, tanto che le Ferrovie dello Stato hanno ridotto il traffico a soli due treni al giorno, suscitando paradossalmente le proteste dei residenti francesi della Val Roia, immemori del fatto che al termine del conflitto proprio loro, o meglio la generazione di allora, si erano prodigati politicamente, anche con violenti episodi irredentisti, per essere annessi alla Francia, saltando così sul carro di un vincitore che non molto avrebbe fatto e sta ancora facendo per risollevare il territorio da una condizione di marginalità e per preservarne l’identità culturale6 (Lucarno, 1992; 1997).
4. Transiti facilitati
Completiamo questa breve disamina sul ruolo geopolitico spesso esercitato dai collegamenti ferroviari citando due esempi di configurazioni che potremmo classificare introducendo il nuovo termine di “pene-exclave ferroviarie”. Secondo Robinson (1957, p. 283) una pene-exclave è un territorio contiguo allo Stato di appartenenza per raggiungere il quale occorre (o è più agevole) attraversare un tratto di territorio estero: ciò avviene quando l’infrastruttura di collegamento diretto non esiste o è poco vantaggiosa a causa di ostacoli fisici, ad esempio un sentiero impervio che supera una catena di montagne, e può essere riferito anche alla rete ferroviaria. In alcuni casi di territori attraversati da linee ferroviarie il concetto si intreccia anche con quello di “quasi exclave”, intendendo con il termine una exclave di qualsiasi tipo per raggiungere la quale, dal Paese di appartenenza, non si incontra alcuna restrizione di accesso tipica dell’attraversamento dei confini, come le visite di dogana e il controllo di documenti o visti di ingresso (ibidem, pp. 283-284).
Dopo la Prima guerra mondiale, l’Austria si trovò racchiusa all’interno di confini molto più ristretti rispetto a quelli dell’epoca imperiale, con il Tirolo che costituiva una lunga e stretta appendice ad ovest del corpo centrale dello Stato. A parte la parentesi dell’Anschluss (1938-1945), la configurazione della rete ferroviaria austriaca vedeva, tra Innsbruck, capoluogo del Tirolo, e Vienna l’esistenza di un collegamento ferroviario interno (via Wörgl-Bischofshofen-Salzburg/Bruck an der Mur), tuttavia piuttosto tortuoso data l’orografia del territorio attraversato. Alternative più veloci erano suggerite da itinerari che sconfinassero in Baviera (tra Kufstein e Salzburg), oppure in Alto Adige, passando per il Passo del Brennero, Fortezza, San Candido e, da qui, rientrando in Ost Tirol, toccando Lienz, Spittal, Villach, Klagenfurt, nella valle della Drava, dirigendosi successivamente a Vienna. Il collegamento veniva assicurato con treni costituiti da materiale rotabile e personale viaggiante delle öbb (österreichische Bundesbahnen) le quali si facevano carico degli oneri di esercizio e fruivano degli introiti derivanti dalla vendita dei recapiti di viaggio.
Il caso dei treni circolanti per un tratto di ben 113 km in territorio alto-atesino è emblematico e significativo e rimase attivo fino alla metà degli anni Novanta del XX secolo con alcune coppie di treni tra Vienna/Linz e Innsbruck che circolavano giornalmente attraversando la provincia di Bolzano. Alla base della disposizione dettata dall’art. 10 del Trattato di Pace del 1947, che prevedeva la libera circolazione di persone e merci tra il Tirolo del Nord e quello dell’Est, vi è la particolare situazione storica Sud-Tirol, annesso all’Italia dopo il trattato di Versailles. Fino al 1995 l’Austria non era ancora entrata a far parte dell’Unione Europea e i controlli di dogana e di polizia ai confini del Brennero e di San Candido, per quando già piuttosto allentati, erano ancora in vigore. Le vetture dei treni viaggiatori provenienti da Innsbruck, giunte a Brennero, venivano “piombate” dalla polizia di frontiera italiana e proseguivano senza che i viaggiatori dovessero esibire documenti validi per l’espatrio. La presenza a bordo di un militare della Guardia di Finanza assicurava che nessun passeggero scendesse o salisse in territorio italiano durante eventuali fermate e il treno proseguiva senza altre formalità di carattere politico utilizzando il locomotore della propria amministrazione. Il macchinista austriaco doveva essere abilitato al Regolamento sui Segnali previsto sulle ferrovie italiane ed era affiancato da capotreno delle Ferrovie dello Stato, in quanto il Regolamento per la circolazione dei treni italiano all’epoca prevedeva, per motivi di sicurezza, la presenza di due agenti in cabina di guida. Giunto a San Candido, capotreno e guardia di finanza italiani terminavano il servizio, le vetture erano riaperte e il convoglio veniva ripreso in carico dal personale delle ferrovie austriache. Analoga procedura era adottata sullo stesso tratto anche in direzione opposta.
Il particolare regime di circolazione7, denominato Korridorzüge (“treni corridoio” a transito facilitato), non attribuiva al treno un carattere di extraterritorialità simile a quella di cui godono le navi quando si trovano all’interno delle acque territoriali di Paesi esteri: la presenza a bordo di un agente di polizia con pieni poteri in materia di ordine pubblico si scontra con una tale interpretazione. Tuttavia, in qualche modo il treno diventava un “oggetto alieno” nel contesto delle regole civili e politiche dello Stato italiano e gli veniva concessa solo una “facilitazione” alla propria funzione di mezzo di trasporto in un lembo di territorio passato sotto altra sovranità per una particolare concomitanza di configurazione geografica e di vicende storiche. Straordinaria è però la sua analogia con il treno “extraterritoriale” con il quale, grazie all’accondiscendenza interessata del Governo tedesco, nell’aprile 1917 Lenin attraversò la Germania facendo ritorno in Russia dalla Svizzera, dove si trovava esule, per avviare la rivoluzione bolscevica, il rovesciamento del governo borghese-socialista e l’uscita del paese dalla Prima guerra mondiale (Merridale, 2017).
5. L’amministrazione delle linee ferroviarie nei tratti prossimi ai confini politici
La situazione della ferrovia della Val Roia, notevole per la lunghezza (47 km) del tratto interessato dalle particolarità amministrative e gestionali, si ripresenta peraltro, anche se con una minore estensione, ogni volta che una linea attraversa un confine di Stato. In Italia ciò avviene in 17 casi, compreso quello del breve (0,6 km) tratto di linea che entra nel territorio della Città del Vaticano, esercitato, in base alla L. 810 del 1929, dalle Ferrovie dello Stato.
Innanzitutto è difficile che una stazione si trovi esattamente al limite territoriale tra i due Stati confinanti e, quand’anche ciò si verificasse, la sua estensione a cavallo del piano verticale del confine porrebbe comunque il problema della giurisdizione di servizi non facilmente divisibili. È ad esempio il caso, per le ferrovie italiane, delle stazioni di Chiasso (il cui asse mediano si trova circa 300 metri all’interno del territorio svizzero, e del Brennero, il cui edificio è in Italia a circa mezzo chilometro dal confine. È normale quindi che le competenze giuridico-amministrative dell’impianto, a qualunque delle due amministrazioni vengano attribuite, si estendano fino alla fine del piazzale di stazione, individuato dai segnali esterni di protezione, posti anche a parecchie centinaia di metri dal fabbricato di servizio. In altri casi, invece, la stazione si trova anche a diversi chilometri dal confine, come avviene a Modane (11,3 km), Domodossola (30,0 km) e San Candido (9,1 km) (Ente Ferrovie dello Stato, 1992, p. 141). In tali casi, l’impianto è gestito dall’amministrazione ferroviaria dello Stato su cui si trova (Francia nel primo esempio, Italia negli altri due, mentre il tratto di linea compreso tra la stazione e il confine politico è esercitato dalla amministrazione corrispondente, che in tal caso, a seconda degli specifici accordi internazionali, generalmente se ne accolla gli oneri, incassandone tuttavia i proventi.
Le funzioni svolte dalle stazioni di confine sono piuttosto complesse e interessano molteplici aspetti della sovranità dello Stato. L’emissione dei titoli di viaggio avviene di norma nella valuta del Paese di giurisdizione, mentre l’accettazione di quella dello Stato limitrofo può essere soggetta all’applicazione di provvigioni sul cambio. Le norme per la circolazione dei treni viaggiatori e merci sono quelle del Paese di giurisdizione, ma quello corrispondente estende le proprie sul tratto di linea tra il confine politico e la stazione di confine (estensione di sovranità).
Tra le norme che interessano materie diverse dall’esercizio ferroviario, ma che nelle stazioni ricevono particolare attenzione da parte del personale preposto al controllo, ricordiamo, ad esempio, quelle che sottopongono a visite veterinarie o fitosanitarie il bestiame, il latte e il legname in importazione, oppure, in tempi più recenti, quelle relative alla gestione dell’emergenza pandemica. I controlli di polizia, soprattutto in materia di immigrazione, avvengono nella stazione e non al confine politico. In questo caso, poiché in stazione sono presenti i funzionari della polizia di frontiera di entrambi i Governi, quelli che operano fuori dal proprio territorio possono già impedire l’ingresso dei passeggeri indesiderati o irregolari: ad esempio, la polizia francese a Ventimiglia ha l’autorità di respingere dai treni in partenza per la Francia coloro che non siano in regola con i documenti di immigrazione.
In maniera diversa possono invece avvenire i controlli e le formalità di dogana, che spesso richiedono anche alcune ore. Se le stazioni di confine non dispongono di piazzali sufficientemente ampi per accogliere i treni merci in sosta, tali controlli vengono delegati a sedi di dogana a volte anche piuttosto distanti. Prima che l’Austria entrasse a far parte dell’UE e le merci potessero essere scambiate liberamente con l’Italia, il controllo doganale non avveniva a Brennero, ma a Fortezza, 37 km oltre il confine, oppure nella località di destinazione.
Negli scali di confine avvengono inoltre operazioni tecniche imposte dalle norme e dai requisiti di circolazione dei treni sulle due diverse reti: il cambio dei mezzi di trazione, necessario quando la tensione di alimentazione è differente, il controllo di ammissibilità di circolazione di carri merci e vetture in conformità al RIV (Regolamento Internazionale Veicoli), la visita tecnica di origine da parte del cosiddetto personale di verifica, necessaria per accertare l’integrità dei carri, il rispetto delle procedure di carico e quello della sagoma limite ammessa per garantire che le merci trasportate non urtino contro ostacoli posti in vicinanza del binario o possano entrare nei sottopassi o nelle gallerie. Si tratta di operazioni particolarmente delicate in quanto hanno lo scopo di evitare che il treno possa incorrere in inconvenienti di esercizio anche gravi, come il disastroso incidente avvenuto a Viareggio nel 2009, dovuto a carenze nel rispetto delle procedure di controllo dei materiali rotabili.
Da quanto appena visto si intuisce che le stazioni di confine sono (non) luoghi speciali, caratterizzati da peculiarità strutturali che un occhio esperto sa riconoscere, come ad esempio marciapiedi con percorsi obbligati per meglio controllare l’afflusso delle persone da sottoporre ai controlli di polizia, ampi piazzali con fasci di binari destinati ad accogliere i treni durante le operazioni di transito, presenza di servizi finanziari e commerciali tipici delle zone di frontiera, variopinto assortimento di veicoli delle due amministrazioni. Tutto ciò le rende un elemento inconfondibile del paesaggio di confine, così come definito da Rumley e Minghi (1991).
6. Italia e Svizzera: luci ed ombre nella storia dell’integrazione ferroviaria
I collegamenti ferroviari tra Italia e Svizzera furono favoriti da una plurisecolare tradizione di buon vicinato che, dopo la battaglia di Marignano (1515), non registrò più significativi episodi di conflitto. Oggi le comunicazioni ferroviarie tra i due Paesi si fondano sui già citati assi del Sempione e del San Gottardo e sul transito di Luino, tra Bellinzona e Gallarate, che, nonostante sia esercitato a semplice binario, viene ampiamente utilizzato a supporto delle altre due direttrici nel trasporto combinato strada-rotaia tra Europa centrale e Italia. Sono inoltre presenti altri tre transiti di confine, quello di Arcisate-Stabio, sulla linea Varese-Mendrisio, quello di Ponte Ribellasca, in Val Vigezzo, sulla Domodossola-Locarno8, e quello di Tirano, capolinea in Italia della ferrovia del Bernina, già citata trattando la rete della RhB. Le ultime due linee sono a scartamento ridotto e soddisfano esclusivamente una domanda di traffico locale e turistico, grazie al contesto paesaggistico delle aree attraversate.
L’Italia non seppe tuttavia cogliere o agevolare le proposte di espansione della RhB, che nei primi anni del Novecento avrebbe proposto la prosecuzione delle proprie linee da Sankt Moritz a Chiavenna (passo del Maloja) e da Tirano a Edolo (attraverso il Passo dell’Aprica), località già raggiunte dalla rete italiana. Se tali infrastrutture fossero state realizzate, oggi la Val Chiavenna e la Val Camonica sarebbero efficacemente integrate nella rete alpina delle ferrovie svizzere che tanto traffico turistico internazionale richiamano ogni anno, rappresentando una delle più note attrattive della Confederazione.
Dopo oltre vent’anni di progettazione e di costruzione, nel 1926 entrò in esercizio per due anni la Ferrovia della Valmorea, tra Mendrisio (Canton Ticino) e Castellanza (in provincia di Varese), gestita dalla rete in concessione delle Ferrovie Nord Milano: fu il Governo fascista dell’epoca a decretare la “sospensione temporanea” del servizio, probabilmente nel timore che il collegamento potesse innescare più proficue intese economiche e politiche tra il Varesotto e la Confederazione. Tale sospensione divenne di fatto una chiusura definitiva, tanto che l’infrastruttura cadde in disuso ed è oggi soltanto un simulacro di cui solo l’occhio attento di un cultore di archeologia industriale sa cogliere ancora sul terreno i segni di un passato ormai dimenticato (Lucarno, 2004).
Il valico di Stabio, a breve distanza da Mendrisio, è stato riaperto solo nel 2018 con la realizzazione di un nuovo tratto di binario che raggiunge Arcisate e, da qui, Varese. Se adeguatamente collegata con l’aeroporto di Malpensa, la linea potrebbe efficacemente estendere il raggio d’azione dello scalo aereo lombardo all’intero Canton Ticino e anche oltre, in diretta concorrenza con l’aeroporto di Zurigo. Ma questa è un’altra storia, a conferma di quanto in Italia sia sempre stato difficile connettere gli aeroporti con la rete ferroviaria, realizzando una sinergia che, invece, all’estero vede quasi sempre la presenza di esempi virtuosi. In Lombardia, Malpensa è raggiungibile con il treno solo da una ventina d’anni e Linate attende ancora il completamento della linea M4 della metropolitana milanese, affidando la propria accessibilità ad autobus urbani che impiegano anche un’ora per raggiungere lo scalo dal centro città. Gli altri aeroporti lombardi di Bergamo e Brescia sono ancora privi di collegamenti ferroviari diretti, così come quasi tutti gli altri scali aeroportuali italiani.
7. La linea Raeren-Weiwertz e le ultime quasi exclave d’Europa
Al termine della Prima guerra mondiale il Belgio annesse alcuni territori dalla Germania, tra cui il triangolo di Kelmis-Moresnet, ultima zona neutrale d’Europa nata con il Congresso di Vienna e controllata congiuntamente per oltre un secolo dai due governi. Poco più a sud di Kelmis, si trovava la linea ferroviaria Raeren-Weiwertz, che correva a vicino al confine, parte in Belgio, parte in Germania. Con il Trattato di Versailles, il Belgio ottenne che l’intero tracciato ferroviario passasse sotto il proprio controllo esclusivo e a tal fine pretese che il terreno su cui era costruito il binario diventasse territorio belga, sia per evitare che in un futuro la Germania ne potesse impedire l’utilizzazione, sia per potere a propria volta impedirvi il transito dei treni tedeschi senza il proprio consenso.
Il territorio del Belgio si ampliò cosi di una striscia serpentiforme lunga alcuni chilometri e larga circa una decina di metri che conteneva il binario. Per ben cinque volte questa striscia di territorio entra ed esce dalla Germania separandone altrettante exclave normali che tuttavia vengono definite “quasi exclave” in quanto in pratica non sussiste alcuna formalità per poterle raggiungere dalla Germania attraversando la ferrovia, né avrebbe senso fare un doppio controllo di frontiera a distanza di pochi metri: paradossalmente, ai passaggi a livello un autotreno lungo più di una decina di metri si troverebbe con la cabina di guida già rientrata in Germania, la parte posteriore del rimorchio che non ne è ancora uscita, mentre la sezione centrale del veicolo si troverebbe in territorio belga, sopra la massicciata ferroviaria (Robinson, 1957, pp. 283-284).
Si tratta di una situazione al limite del ridicolo che testimonia quale importanza si desse ancora al controllo delle comunicazioni ferroviarie un secolo fa, importanza oggi notevolmente ridimensionata dallo sviluppo del trasporto stradale. La linea Raeren-Weiwertz, che nel secondo dopoguerra era ancora utilizzata per il transito di treni merci, oggi è stata dismessa, ma il confine è rimasto immutato, testimoniando come gli Stati difficilmente rinuncino ai diritti acquisiti e a parti pressoché inutili della propria sovranità, per motivi di prestigio o anche per una velata diffidenza verso i nemici storici che è pur sempre difficile estinguere.
8. Ferrovie turistiche e turismo ferroviario: luci e ombre nell’ingerenza delle amministrazioni politiche sulla gestione delle linee
Alcune ferrovie nacquero, già nel XIX secolo, per soddisfare esclusivamente il bisogno di mobilità di una clientela turistica: le classifichiamo pertanto come “ferrovie turistiche” in quanto la loro funzione è principalmente o esclusivamente consentire ai visitatori di raggiungere convenientemente (in assenza di altre infrastrutture competitive) la meta del loro soggiorno. L’esempio più significativo di ferrovia turistica è la linea a cremagliera della Jungfrau (Kleine Scheidegg-Jungfraujoch) nel Cantone Berna, ardita costruzione realizzata nel 1912 per consentire agli alpinisti una veloce ascesa sotto le vette dell’Eiger e del Monch, fino alla quota di 3454 m (Rossberg, 1992, pp. 198-230). Dopo un secolo e mezzo di esercizio oggi la Jungfrau Bahn è uno dei principali operatori turistici elvetici che attira ogni anno centinaia di migliaia di visitatori esteri per nulla scoraggiati dall’elevato prezzo del biglietto.
Altre ferrovie, nate invece a supporto della rivoluzione industriale, dopo diversi decenni di operatività hanno visto tramontare definitivamente il loro ruolo originario e sono state abbandonate; alcune di esse tuttavia, vivono oggi una seconda giovinezza essendo state recuperate per il turismo ferroviario, termine con cui si intende una forma di turismo in cui la finalità principale non è tanto il raggiungimento di una meta da visitare, quanto piuttosto il viaggio fine a sé stesso, compiuto su treni d’epoca adeguatamente restaurati secondo l’aspetto originario che ripercorrono le linee di un tempo oppure attraversano paesaggi di straordinaria bellezza ammirabili solo dalla ferrovia. Il treno, quindi, indipendentemente dalla destinazione, è fruito come un “museo vivente”, in quanto costituito da materiali storici autentici, restaurati e rimessi in condizione di circolare, e il personale di servizio assume anche la funzione di figuranti, in quanto spesso indossa uniformi d’epoca; anche le stazioni sono recuperate architettonicamente riproponendo un “paesaggio ferroviario” di altri tempi, che soddisfa la vera motivazione alla visita, indipendentemente dalle altre attrattive del territorio circostante (Pagetti, Malvasi, Lucarno, 2003).
Nato e diffusosi con successo in Gran Bretagna, dove ha ridato vita a decine di brevi linee ferroviarie abbandonate, il turismo ferroviario è presente in molti paesi d’Europa, tra cui l’Italia, dove tuttavia il suo sviluppo è stato fino ad oggi piuttosto limitato9. Tuttavia, in qualche caso la proposta turistica ha assunto anche dimensioni internazionali contribuendo a riallacciare in Europa relazioni economiche e turistiche tra Paesi prima ancora che la fine della Guerra fredda riaprisse i confini alla libera circolazione. L’Orient Express all’inizio degli anni Ottanta, dopo mezzo secolo di oblio, è stato riproposto come treno d’agenzia composto da lussuose vetture d’epoca opportunamente restaurate ed ha ripreso a circolare su alcuni tratti del percorso originario, riscuotendo un successo immediato da parte di una facoltosa clientela intercontinentale.
Esistono invece tipologie intermedie di linee ferroviarie che assumono una funzione promiscua tra le due viste sopra: la Flåmsbana, nel Sogn og Fjordane (Norvegia), dopo il tramonto del suo ruolo logistico di trasporto merci esercitato nel secondo dopoguerra, è oggi frequentata da turisti ferroviari, che ne apprezzano l’ardito tracciato e i panorami ammirabili esclusivamente dal treno. Essa, però, è anche una “ferrovia turistica”, in quanto, in assenza di strade alternative, ha la funzione di collegare due reti infrastrutturali altrimenti non intercomunicanti e consente il raggiungimento rapido e confortevole di località turistiche come Flåm, porto dell’Aurlandsfjord toccato anche da navi da crociera che conducono i passeggeri alla scoperta dei fiordi norvegesi.
Un’ultima casistica di treno al servizio del turismo è la riconversione di ferrovie industriali dismesse e trasformate in infrastrutture di trasporto verso località attrattive (ferrovie turistiche secondo la definizione vista all’inizio del paragrafo), ammodernate però senza lo scopo di conservarne le caratteristiche storiche e culturali apprezzate dal turismo ferroviario. Iniziative di questo genere vengono a volte fatte proprie dalla classe politica locale che vi intravvede possibilità di sviluppo economico del territorio senza valutare adeguatamente il rapporto tra costi e benefici, determinando, in caso di fallimento dell’iniziativa, un enorme spreco di denaro pubblico.
Un esempio emblematico è stato, tra gli anni Ottanta e il primo decennio del secolo attuale, il progetto di recupero dell’ex ferrovia mineraria Cogne-Acquefredde, abbandonata nel 1976 in seguito alla chiusura delle miniere di ferro di Cogne. Il capolinea di Acquefredde si trova sopra l’impianto siderurgico di Aosta, cui il minerale scaricato dai vagoni veniva fatto affluire con una teleferica. Acquefredde si trova oggi alla base del famoso comprensorio sciistico di Pila, la cui capacità ricettiva è tuttavia insufficiente, nell’alta stagione, ad ospitare tutti gli sportivi, che alla sera soggiornano in altre località come Aosta, oppure decidono di fare ritorno in residenza, se provenienti dai vicini bacini di outcoming di Milano e Torino. Cogne, invece, a fronte di una buona dotazione alberghiera, attiva soprattutto nella stagione estiva, dispone di modesti impianti sciistici, per cui i posti letto risultano in gran parte inutilizzati durante l’inverno. L’idea di base del progetto era mettere in comunicazione due comprensori teoricamente complementari, accogliendo gli sciatori a Cogne e trasportandoli a Pila con la ferrovia, mezzo che richiederebbe soli 20 minuti a fronte di un percorso stradale di oltre un’ora.
Il progetto, sviluppato a livello ingegneristico senza una visione geografico-trasportistica di insieme, ha (malamente) proceduto alla riqualificazione della linea, al termine della quale ci si è accorti che, sulla base dell’impostazione dell’orario di servizio, basato su un treno navetta all’ora della capienza massima di 160 posti, alla chiusura pomeridiana degli impianti (16,30) ci sarebbero volute almeno 3-4 ore per ricondurre a Cogne gli sciatori affluiti in vari scaglioni nelle ore del mattino. In sostanza, la capacità oraria della linea non era in grado di assorbire in tempi ragionevoli i picchi di affluenza dei passeggeri. Dopo un enorme spreco di denaro pubblico, il progetto è stato alla fine abbandonato senza che i decisori politici si rendessero conto che esisteva la possibilità di risolvere il problema del rientro serale degli sportivi con una diversa organizzazione del servizio che non prevedeva costi aggiuntivi per le infrastrutture, applicando metodologie (un orario grafico cadenzato) che gli studenti di Geografia dei trasporti imparano e sanno applicare dopo poche ore di corso (Lucarno, 2020).
9. La politica delle infrastrutture nell’Unione Europea
Se le ferrovie turistiche sono in genere costituite da infrastrutture a modesto sviluppo locale e rappresentano un fenomeno di nicchia nel complesso dei trasporti terrestri, lo sviluppo o il potenziamento delle reti nazionali interessa da almeno un trentennio le politiche infrastrutturali dell’Unione Europea. All’indomani della nascita dell’UE, le conferenze internazionali di Corfù e di Essen (1994) delineavano un quadro continentale di grandi opere considerate di interesse comunitario, il cui sviluppo coinvolgeva gli sforzi comuni degli Stati membri. Dopo un cinquantennio di declino e di marginalizzazione nel mercato dei trasporti a favore di altri vettori, soprattutto del trasporto su gomma, alle ferrovie veniva nuovamente riconosciuto un ruolo strategico, sia nel trasporto internazionale che in quello locale attorno ai grandi poli di concentrazione urbana, e lo stato di congestione delle strade indicava nel potenziamento delle ferrovie la via da seguire per un riequilibrio modale e la sostenibilità ambientale del trasporto. Sono stati inoltre tracciati 10 corridoi plurimodali internazionali che rappresentano i grandi assi di comunicazione continentale: l’Italia è attraversata da 4 di essi ed assume un ruolo centrale nella politica di sviluppo europeo dei trasporti, alla pari con altri Stati dell’Europa centrale e occidentale, non più marginalizzata dalla barriera di separazione delle Alpi rispetto al contesto propulsivo del cuore del continente.
Dopo che, nel secondo dopoguerra, le ferrovie sembravano avviate ad un ruolo progressivamente sempre più marginale, tanto da subire tagli alla rete di migliaia di chilometri rispetto alla dotazione anteguerra, negli ultimi decenni nel nostro Paese la realizzazione di grandi opere ferroviarie ha assunto un ruolo nel complesso preponderante rispetto a quello di nuove autostrade e aeroporti. Lo sviluppo, tutt’ora in corso, della rete ad alta velocità, il collegamento ferroviario dei principali aeroporti con le rispettive città, il potenziamento delle reti ferroviarie metropolitane e suburbane hanno raggiunto dimensioni comparabili a quelle delle regioni europee più sviluppate.
L’aumento del costo dell’energia e la necessità di ridurre la dipendenza dai combustibili fossili ha rilanciato il ruolo del treno tanto nel trasporto delle merci quanto in quello dei viaggiatori e il recente conflitto ucraino ha confermato la necessità di proseguire con decisione su tali linee strategiche. Sembra ormai profilarsi all’orizzonte un’epoca in cui il trasporto privato sarà ridimensionato: l’UE ha già deciso, all’orizzonte temporale del 2035, uno stop alla vendita di autovetture a motore termico, in alternativa alle quali le auto elettriche non hanno ancora dato risposte convincenti. Di conseguenza, anche il turismo dovrà riposizionarsi su altre mete e modalità di viaggio.
In questo quadro generale il futuro delle politiche ferroviarie è già da tempo sufficientemente ben delineato nelle sue principali linee guida:
– sviluppo del trasporto pubblico locale finalizzato al decongestionamento stradale e alla sostenibilità ambientale;
– maggiore efficienza nell’interconnessione tra reti di diversa natura (sviluppo del trasporto intermodale);
– alta velocità ferroviaria, destinata a sostituire il trasporto aereo fino ad un raggio d’azione di almeno 1.000 km;
– interoperabilità tra sistemi ferroviari appartenenti a reti nazionali diverse.
I temi dell’interoperabilità sono stati per tempo affrontati e studiati dagli staff tecnici delle reti dando un poderoso impulso all’opera di armonizzazione tecnica internazionale avviata dall’UIC (Union Internationale des Chemins de Fer) nel lontano 1922, anno della sua costituzione, allo scopo di rendere possibile una progressiva uniformazione e standardizzazione del trasporto ferroviario mondiale. Oltre alla uniformità di scartamento, cui si stanno adeguando alcuni Stati che non adottano quello standard, almeno nelle linee di nuova realizzazione ad alta velocità, notevoli progressi sono stati compiuti nella possibilità di interscambio non solo dei carri e delle vetture, ma anche dei mezzi di trazione che, dotati di dispositivi per l’utilizzazione di diverse tensioni di alimentazione, possono ora circolare su reti diverse e riconoscere i differenti sistemi di segnalamento e di sicurezza. Oggi sulle linee italiane si vedono viaggiare locomotori appartenenti a varie amministrazioni ferroviarie ed imprese private (svizzere, tedesche, austriache, francesi ecc.) alla testa di convogli che provengono dall’estero senza aver compiuto soste tecniche ai confini.
Nell’Italia settentrionale gli ultimi anni Novanta e il primo quindicennio del nuovo secolo hanno visto la realizzazione di grandi opere innovative (parziale raddoppio della linea del Ponente ligure, alta velocità tra Torino e Brescia e tra Milano e Firenze, avvio dell’alta velocità tra Genova e Milano e tra Torino a il Frejus, traforo di base del Brennero, Passante ferroviario dei nodi di Torino e Milano) oltre a numerose altre opere interessanti le linee locali che hanno profondamente riqualificato la rete riallineandola agli standard di qualità e di efficienza di quelle di altri Stati europei10. Si tratta di interventi che metteranno il nostro Paese nella condizione di meglio competere con i partner continentali e di garantire al sistema produttivo le infrastrutture necessarie per un efficiente export dei prodotti italiani e un tempestivo approvvigionamento delle materie prime.
Bibliografia
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1 Oggi all’interno delle Forze Armate sopravvive un Reggimento del Genio Ferrovieri stanziato a Castelmaggiore (Bo) (Fonte: Ufficio Storico dello Stato Maggiore Esercito, 2022).
2 V. il Disegno di Legge d’iniziativa del senatore Formica, comunicato alla Presidenza (del Senato) il 2 ottobre 1968 – Norme relative al personale delle Ferrovie dello Stato considerato militarizzato ai sensi del regio decreto-legge 30 marzo 1943, n. 123.
3 In un binario ferroviario lo scartamento è la distanza tra i due bordi interni del “fungo” delle rotaie, ovvero della parte superiore delle stesse che si allarga per costituire il piano di rotolamento.
4 L’odierna Malles Venosta.
5 Fonte: direzione Rhätische Bahn, 2022.
6 Prima dell’annessione, la popolazione dell’alta Val Roia parlava, oltre all’italiano, il piemontese (a Tenda) e l’occitano (a Briga), idiomi che furono tutti radicalmente estirpati da una immediata opera di francesizzazione forzata.
7 Rimasto in esercizio fino al 1997, quando, in seguito agli Accordi di Schengen, i treni tra Innsbruck e Lienz iniziarono ad effettuare servizio viaggiatori anche in Italia.
8 La linea è esercitata congiuntamente dalla SSIF (Società Subalpina Imprese ferroviarie), con sede a Domodossola, e FART (Ferrovie e Autolinee Regionali Ticinesi), con sede a Locarno.
9 Per una serie di motivi organizzativi e culturali che esulano dall’oggetto del presente articolo.
10 V. Atti del convegno “Una stagione straordinaria. Vent’anni di progetti e di realizzazioni ferroviarie nel quadro infrastrutturale del Nord Italia”, Università Cattolica del Sacro cuore di Milano, 20 aprile 2021, in corso di pubblicazione.